Capitolo 4

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Si era fatto estremamente tardi a lavoro e odiavo rimanere ancora per strada quando mio figlio,a casa, reclamava sicuramente attenzioni data la sua salute ,momentaneamente ,cagionevole .
«Char, puoi dare un'occhiata qui?» i miei passi verso l'ascensore furono interrotti dalla voce di Vincent che mi costrinse a rimanere a piedi fermi su quei tacchi che iniziavano a far dolere le mie caviglie esili.
Dalle imponenti vetrate dell'altrettanto imponente palazzo di Vogue, potevo scorgere una serie infinita di taxy che passavano chi da una parte chi dall'altra, mentre i lampioni della magica ville loumiere si accendevano per riscaldare il serale paesaggio parigino.
«una cosa svelta Vincent, devo tornare a casa da Alan che ha la febbre» le sue mani furono leste a sfogliare le pagine del prossimo articolo di moda e mi indicò con le dita giusto quel pezzo che aveva curato personalmente.
Le sfilate di moda per uomo, bussavano alla porta con una certa prepotenza e avevo già ricevuto una serie innumerevole di inviti dall'Italia.
Contavo di andare ad almeno tre di quelle che avevo ricevuto e poi Milano in un certo modo mi era sempre piaciuta.
Benché non vantasse poi chissà quali monumenti è da sempre stata quella capitale della moda da tenere sempre sott'occhio, soprattutto per quello che riguardava l'utilizzo di nuovi materiali da riciclo.
«taglia questo rigo qui perché è noioso ma...sei stato bravo» gli sorrisi e chiamai velocemente l'ascensore.
Desideravo tornare a casa a rilassarmi e a poggiare la testa sul cuscino, talmente la sentivo pensante sulle mie spalle.
La pioggia aveva reso le temperature leggermente più basse e l'idea che i riscaldamenti a casa fossero accesi, mantenendo l'ambiente confortevole, non faceva altro che incrementare la mia voglia di rincasare.
Le mie caviglie nude erano da sempre state abituate al freddo invernale, giusto perché erano più uniche che rare le volte in cui portassi dei pantaloni per andare a lavoro o in qualsiasi altra parte.
Un tempo quando ero stata un ragazzina di diciassette anni, indossavo spesso pantaloni a zampa con stivaletti di pelle; mi piacevano e mi facevano sentire sexy.
Ricordo ancora come mi fasciavano le cosce e ne avevo un armadio pieno ,alcuni dei quali sono rimasti ancora appesi alle loro grucce nella zona più remota della mia cabina armadio.
Separarmi da alcuni capi, specie quelli che ricordavano pezzi della mia vita, era stato del tutto impossibile; cosi come avevo conservato quell'unico paio di jeans premaman che avevo acquistato a San Paul de Vence, nel sud della Francia, quando eravamo andati a visitare una mostra di arte moderna.
L'arrivo di un messaggio nel mio smartphone mi distrasse,accompagnando il mio ingresso in auto.
Cristian si premurava a ricordarmi di raggiungerlo perché i suoi preziosi clienti erano arrivati e non sapeva cos'altro fare oltre ad avergli già offerto pregiato vino rosso francese.
Il mio preferito era il Bordeaux come l'omonima città in cui l'uva veniva raccolta e pestata.
"mi sono messa adesso in macchina" digitai velocemente sulla tastiera del telefono,inviandogli quel breve messaggio.
L'idea di immettermi nel traffico non mi entusiasmava per niente ma ,avevo promesso a Cristian che gli avrei portato quella dannata cartella rossa che sembrava contenesse documenti su segreti di stato o un file rubato direttamente dall'area cinquantuno.
Cosi, controvoglia mi ero immessa nel traffico, totalmente lontana da casa mia, quasi dall'altro lato della città, e mentre ero ferma al semaforo rosso, il terzo in soli dieci minuti, mi permisi di poggiare la testa sul palmo della mano,il cui braccio sfiorava il vetro freddo della macchina.
Ero stanca dal lavoro ed era solo il sedici di Febbraio, un mese e poco più di questo duemiladiciotto e collezionavo già impegni su impegni.
Controllai nuovamente il cellulare nell'attesa che Antoniette mi rispondesse dato che le avevo appena comunicato che avrei ritardato di almeno un'oretta.
Antoniette era come una zia a cui sia io che mio figlio eravamo molto legati, si occupava di molte cose della mia casa e lo faceva con amore e molte volte le sue carezze ,con quelle morbide mani da casalinga, mi avevano confortata in periodi un po' grigi.
Le sue labbra rosa pesca, i capelli costantemente raccolti in uno chignon, quel grembiule che le avevo regalato a natale e che non aveva più tolto di dosso e quel pacco di sigarette slim che fumava in balcone, tra una stanza e l'altra.
Guidai ancora per altri cinque minuti, mentre l'acqua dal cielo cadeva come se non volesse mai arrestarsi, sbattendo contro il vetro e i tergicristalli che si muovevano ritmicamente da destra verso sinistra e da sinistra verso destra interrompendo il silenzio con il loro tipico rumore meccanico.
Guardai dentro l'abitacolo della macchina, non appena parcheggiai, alla ricerca del mio ombrello che di solito tenevo sotto il sedile del passeggero ma questa volta non ve ne era traccia e ricordai vagamente di averlo lasciato due sere prima nel porta ombrelli davanti la porta d'ingresso di casa mia.
«Cristian» lo chiamai per telefono
«sei arrivata? Ti aspetto,ho i clienti dentro lo studio» staccò immediatamente mentre guardai più volte quel cellulare tra me mani cercando di capire se Cristian mi avesse effettivamente o no staccato in faccia.
Mi strinsi il ponte del naso,richiamando tutta la calma che potessi e poi uscii fuori; l'acqua piovana mi cadde addosso e mi riparai con l'unica cosa che tenevo in mano e me ne fregai se quella cartella e quei documenti si sarebbero bagnati, perché Cristian non mi aveva voluta stare a sentire.
Quando avevo messo piede in quell'elegante palazzo del fine seicento, mi asciugai le scarpe sullo zerbino verde bottiglia ai piedi della raffinata porta di mogano e sorrisi alla segretaria anziana che mi guardò arrivare da dietro la sua scrivania.
«Charlotte» mi salutò calorosa mentre le andai incontro per salutarla
«Matilde» ricambiai il suo saluto e le strinsi dolcemente le spalle e le guardai quelle rughe che le stavano bene in quel viso stanco del tempo.
«come mai da queste parti? Guai con Pierre?» scossi energicamente la testa.
«no no, devo lasciare dei documenti a monsieur De Gouille» mi scocciava chiamarlo Cristian e far intendere alla gente che ci fosse una certa intimità tra di noi, trattasi anche solo di confidenza.
Bussai con le nocche due volte consecutive sulla porta del suo studio e attesi in piedi prima che Cristian stesso,  mi aprisse la porta.
Mi introdussi in quello studio, con tutta la raffinatezza che mi contraddistingueva e rapidamente diedi un'occhiata, poggiando la cartella sulla scrivania.
«signori, lei è..» lo anticipati per  presentarmi da sola
«Charlotte Duboise» strinsi la mano prima alle due donne sedute sedute una di fronte l'altra e poi al giovane uomo.
Ebbi l'impressione di aver visto una delle due donne da qualche parte ma, non ricordavo dove.
«Andrea Agnelli» mi strinse la mano con fermezza stando particolarmente attento a non farmi accavallare del dita della mano, evitando cosi che mi facessi male.
Il primo pensiero che mi venne alla mente fu quello che: sicuramente Monsieur  Agnelli doveva essere un uomo da galateo, tutto sistemato dentro quell'elegante completo gessato Trussardi che gli fasciava il corpo.
«prego» porsi la cartella a Cristian che la guardo imbarazzato notando le gocce di acqua che l'avevano bagnata ma non mi scomposi per nulla.
Così,imparava a staccarmi il telefono in faccia!
Non volendo prendere parte ad un divorzio, già sazia del mio, dunque preferii guardare Cristian avvertendolo che mi avrebbe dovuta togliere da quell'impaccio e che mi avrebbe dovuta accompagnare fuori.
«bene, accompagno Char alla macchina e arrivo da voi» bene, capii che Cristian si sentiva a suo agio tra quei clienti, altrimenti non mi spiegavo ad esempio il perché mi avesse confidenzialmente chiamata "Char" .
«scusi» la voce della più giovane delle donne finalmente si fece sentire proprio mentre la mano si Cristian sembrava volersi inappropriatamente adagiarsi sulla base della mia schiena
«è successo qualcosa?» Cristian era leggermente agitato, forse i clienti pagavano abbastanza bene ma, uno come lui doveva essere abbastanza abituato al denaro.
«si?» mi sentii necessariamente chiamata in causa nel momento esatto in cui i suoi occhi non smisero di guardare la mia silohuette.
«lei è Charlotte Duboise? Quella Charlotte Duboise?!» non era certo per me la prima volta che la gente mi fermasse per chiedermi foto e autografi, ma questo capitava spesso durante le settimane della moda a cui prendevo necessariamente parte.
«oui, c'est moi» istintivamente mi portai una ciocca di capelli dietro l'orecchio scoprendo quel paio elegante di orecchini di perle che indossavo ogni tanto, e che mi davano un'aria più elegante e raffinata.
«mi perdoni se la trattengo, ma io ho letto tutti i suoi articoli, lei è...è»sorrisi dolcemente al suo volto.
Adoravo le donne così intraprendenti come lei e il compagno sembrò osservare la donna che gli stava affianco quasi del tutto in grado di capire il suo entusiasmo e allora ne dedussi che si, sarebbero andati lontani.
«io ho fatto la modella prima della gravidanza,adesso vivo in Italia a Torino...vorrei aprire una linea di abbigliamento e volevo consultarmi con lei» annui, comprendendo ciò che volesse fare e poi le sorrisi cortesemente .
La gente chiedeva sempre favori, lei non avrebbe fatto eccezione .
«complimenti e una bellissima idea la sua » di certo non la più originale ma mi complimentai ugualmente contenta delle sue ambizioni e che ci fossero sempre nuove donne a prendere parte alla moda.
Donatella sarebbe stata contenta di ciò.
«possiamo incontrarci per un caffè, qualche altra volta?» rimasi stupita, nessuno però era mai stato cosi sfacciato da chiedermelo direttamente ,mettendomi in una situazione scomoda.
Quasi come se non avessi potuto dirle di no.
«chiami al mio studio e prenda un appuntamento con la mia segreteria, è lei che gestisce i miei impegni» e mi avviai da sola alla porta, salutando gentilmente .
Quando fummo fuori, fulminai Cristian con lo sguardo per avermi tenuta lì dentro a soddisfare le voglie dei suoi clienti.
«Char, scusami» mi pregò con gli occhi
«trova un ombrello e accompagnami alla mia macchina, subito» chiamò uno qualsiasi di tutti quelli che lavoravano li e gli chiese di trovare un ombrello poi, mi accompagnò alla macchina.
Stavo salendo sulla macchina quando provò a toccarmi i fianchi ma il mio sguardo gelido lo dovette intimorire parecchio perché ritirò immediatamente la mano.
«andrò a fare una piega ,domani mattina, dal miglior parrucchiere di Francia e la addebiterò sul tuo conto e...» chiusi lo sportello non appena allacciai la cintura di sicurezza poi aprii leggermente il finestrino
«la prossima volta che mi stacchi la chiamata in faccia, sarà l'ultima volta in cui mi vedrai» così misi in moto la macchina e mi allontanai,talmente nervosa da avere mille diavoli per capello.
Quando arrivai nel mio palazzo, giusto perché la giornata non aveva ancora smesso di essere storta, trovai l'ascensore intasato di gente in abiti costosi che riconobbi con estrema facilità, facevano un baccano pazzesco e tenevano in mano eleganti buste di cartone griffato, con su loghi di brands di alta moda che conoscevo come le mie tasche .
Parlavano velocemente in italiano ed era impossibile seguire tutto ciò che si dicessero tra di loro, mantenendo un tono di voce abbastanza alto che era tipico proprio degli italiani.
Li osservai di sfuggita mentre gesticolavano tra di loro, toccandosi ogni tanto come a voler richiamare l'attenzione del loro interlocutore ed inevitabilmente mi venne in mente Franco, il vicino di casa a Grenoble che si era trasferito da Fara Gera D'Adda per aprirsi un'agenzia di Viaggi.
Aveva riempito il salotto di casa dei miei genitori con infiniti suovenirs da tutti i paesi del mondo che aveva visitato accompagnando quei gruppi di viaggiatori che si affidavano alle sue organizzazioni per visitare posti nuovi intorno al globo.
«prego, entri lei» due uomini furono cosi gentili da lasciarmi entrare per prima, dentro l'ascensore, insieme alle loro mogli, e il mio cattivo umore fece ammutolire tutti.
Controllai velocemente il mio cellulare, pescandolo dalle tasche del cappotto con cui mi stavo coprendo e fortunatamente trovai soltanto un paio di chiamate di Bebby, la mia storica migliore amica ,divenuta ormai British, che avrebbe dovuto aspettare qualche altro minuto prima di sentire la mia voce.
Arrivati al quinto piano e c'era un chiasso assurdo tanto che la musica arrivava forte nonostante la porta di quel dannato appartamento fosse chiusa.
«Federico, di questo passo farà crollare il palazzo» disse una di loro ridendo complice con l'altra mentre si sistemavano sulle spalle dei costosi pellicciotti di volpe, difficilmente ecologici.
Ma stava ridendo di cosa?
Che diamine c'era da ridere!
«scommettiamo che ci sarà Paulo a fare tutto questo chiasso?» perfetto.
Non solo lui, ma pure gli amici che frequentava erano dei cafoni!
I soliti italiani di sempre.
Quando mi chiusi la porta alle spalle, Antoniette era quasi sull'uscio e mi guardò contenta di vedermi entrare.
«finalmente, tesoro sai bene quanto io ti ami ma è da almeno un'ora che questo chiasso mi rimbomba nelle orecchie. Io sono ormai anziana per sopportarlo» mi baciò entrambe le guance e afferrò il suo cappotto e la sua borsa da sopra il divano, spostandosi già verso la porta di casa.
«buon venerdì sera, Char» notai una leggera nota di ironia nella sua voce mentre si apprestava a lasciare casa mia e a guardare confusa quel continuo via vai di gente che si distribuiva dall'ascensore all'appartamento di Veronique.
Pensavo che quella di oggi, giunta ormai alla fine, fosse decisamente la giornata peggiore di questo nuovo anno.
Alan dormiva fortunatamente beato ,con i tappi per le orecchie che Antoniette gli aveva messo, nel suo lettino morbido e sembrava tranquillo e della febbre non vi era più traccia,miracolosamente .
Mi sedetti li vicino solo per osservarlo,in silenzio,mentre il sonno lo teneva con se proteggendolo e mi sorrise il cuore.
Era capace di calmarmi e di migliorarmi la vita, con quella piccola bocca rosa su quel viso da bambino di cui ne ero profondamente innamorata.
Passai le mie dita tra i suoi capelli color del grano e gli rimboccai le coperte evitando che le sue piccole braccia rimanessero spoglie durante la notte e con un ultimo bacio mi apprestai a spegnere la luce soffusa delle abat-jour e a socchiudere la porta della sua cameretta.
Talmente ero stanca che necessitavo di rimanere appoggiata al muro della parete del corridoio, solo qualche minuto prima di dirigermi al bagno.
Mi spogliai, sedendomi sul water e rilassandomi mentre osservai i miei piedi gonfi per avermi tenuta in piedi cosi a lungo.
Quanto avrei voluto qualcuno che me li massaggiasse, alleviando quella sensazione di avere dei mattoni legati alle mie caviglie.
Tirai lo sciacquone, allontanando dai miei piedi la mia lingerie e poi  mi infilai direttamente nella doccia per darmi una veloce lavata, non proprio tipica di me, il getto continuo e deciso dell'acqua calda mi colpì il corpo facendolo arrossire e le mie mani insaponate di bagnoschiuma lavarono velocemente la pelle profumandola nuovamente e come al solito la sensazione di rigenerazione si impossessò di me.
Probabilmente se non fossi stata quasi certa che sarei caduta sulle mie ginocchia da un momento all'altro, mi sarebbe piaciuto rimanere ancora avvolta dalla piacevole sensazione di torpore che l'acqua calda e il vapore avevano creato attorno a me ma, optai per uscire da li fin tanto che ne avessi ancora le forze e così mi asciugai  e infilai semplicemente un vestitino di raso nero e a piedi scalzi scesi in cucina dove ancora la musica arrivata a volume indicibile.
Il raggaeton latino mi era sempre piaciuto e quindi, fintanto che dovetti prepararmi la mia cena salutare,non fu affatto un problema anzi, accompagnò il mio corpo in movimenti fluidi mentre aprivo e chiudevo i pensili e i cassetti della cucina, afferrando mestoli ,piatti e terrine;  ma, quando la mezzanotte era già passata da un pezzo e la musica né diminuiva né cessava di arrivare tanto da non riuscire neppure a sentire il flusso dei miei pensieri, fui sul punto di commettere un omicidio.
Trovare un modo per fargli saltare il contatore della luce e lasciarli al buio, mi sarebbe piaciuto parecchio ma non sapevo neppure dove si trovasse quello del mio appartamento, figuriamoci quello degli altri.
Mantenni la calma fino all'una e ventitré del mattino, quando con una rabbia nera decisi che questa serata si fosse già protratta oltre il limite massimo della mia sopportazione.
Cosi, mi costrinsero a chiamare la polizia.
Digitai velocemente  il numero diciassette sullo schermo del  mio telefono e mi risposero quasi immediatamente.
Denunciai la ragazzina per disturbo della quiete pubblica, ed essendo il nostro palazzo, non solo ubicato in una ricca zona di Parigi ma altresì abitato da gente di un certo livello nella società parigina, la polizia fu lesta a dirmi che avrebbe subito provveduto.
Contai i minuti ,dalla fine della chiamata,osservando la lancetta sull'orologio che scorreva sul quadrante con i numeri romani, e quando la musica ad un certo punto cessò di suonare, sorrisi contenta per il ritrovato silenzio.
Veronique avrebbe avuto vita breve in questo palazzo, se pensava di poter organizzare robe simili a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Quando spensi la luce dei faretti del salotto, controllando di aver messo a posto tutto,salii le scale fino alla mia camera da letto per andare a dormire non prima però di aver lasciato l'ennesimo  bacio sulla fronte di mio figlio.

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