Sezione Seconda - Scars

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2017

La signorina Venable la stava aspettando seduta alla sua scrivania quando varcò le porte dell'ascensore di quel piano. Il pacco che trasportava le gravava tra le braccia. Sapeva di essere perfettamente in orario dallo sguardo di fuoco che le lanciò la manager al suo passaggio, sfortunatamente conosceva bene la strada. Odiava stare lì, più di ogni altra cosa al mondo, tutte le volte che la Venable le affidava un incarico lei si sentiva sprofondare dovendo tornare in quei laboratori. Era stata colpa sua per ciò che era successo, forse non sarebbe mai dovuta andare lì, ma ora c'era, e ci aveva rimesso già parecchio, allora perché fuggire via adesso, se non c'era altro che potessero toglierle, o meglio che le importasse potessero toglierle.
I corridoi che percorreva ormai da mesi erano bianchi e lucenti, sentì quasi l'impulso di far scorrere le dita sulla superficie liscia delle pareti, ma il peso del pacco contenente organi vitali la reindirizzò di nuovo verso l'ufficio di Jeff e Mutt. Camminando i suoi lunghi capelli scuri le ondeggiavano lentamente sulla schiena e una volta davanti alle porte girevoli si fermò, prese un grande respiro e bussò contro il vetro sentendo imprecare dall'altra parte. Lo prese come un invito a entrare. Fece scivolare l'anta davanti a lei, ma quello che si trovò di fronte non le permise di muovere un passo. I due scienziati chinati in terra ai piedi di un altro uomo completamente vestito di nero. I presenti nella stanza la stavano guardando, nessuno parlava, solo un mucchio di cenere ai piedi della ragazza li separava.
-Rachele- la richiamò Jeff drizzandosi appena per rivolgerle uno sguardo di rimprovero -Torna dopo, ora... Ora abbiamo del lavoro da sbrigare-
Ma lei non lo stava ascoltando, i suoi occhi erano puntati sulla figura in abiti del colore della pece a pochi metri da lei, ai suoi boccoli dorati e agli occhi azzurri che la fissavano curiosi. Aveva l'aspetto di un angelo e l'anima di un essere umano corrotta dalla malvagità che si era talmente avvicinata a lui da inglobarlo. Il suo viso così calmo, sebbene gli occhi sembrassero accesi di un fuoco che lo bruciava dall'interno.
Lo aveva cercato per così tanto tempo, troppo. Non le sembrava nemmeno reale, ma riusciva a sentire la sua anima urlare e dimenarsi dentro quelle membra che sentiva così estranee. Un magone le salì in gola e temette che potesse in qualche modo capire chi fosse, per questo abbassò lo sguardo richiudendo la porta e allontanandosi da lì.
Girò l'angolo e si abbandonò al muro poggiandoci la testa con uno scatto. Lo aveva trovato, finalmente aveva una flebile possibilità di tornare a casa dalla sua famiglia. Tutto stava per ricominciare a girare, ora poteva finalmente prendere l'intera situazione sotto controllo. L'Apocalisse sarebbe stata solo un lontano ricordo, di qualcosa di cui parlare e mai presa in considerazione. Lei non lo avrebbe permesso, era disposta a qualunque cosa per non lasciare che l'umanità si distruggesse. Sentì un peso sollevarsi dal suo cuore, finalmente la sua esistenza su quella terra poteva servire a qualcosa, a stare accanto a quel ragazzo. L'Anticristo era solo nell'altra stanza, e lei a pochi passi da lui.

Nelle settimane che seguirono quel primo incontro, l'Anticristo cominciò a trovarsi sempre più spesso alla sede della Corporazione e Rachele doveva sapere a cosa stessero lavorando. Ora sentiva il tempo sfuggirle dalle mani, come se fossero agli sgoccioli dell'Apocalisse imminente. Aveva atteso quel momento tanto a lungo da non sapere più come affrontarlo, aveva pensato tante volte a come avvicinarsi a un possibile Anticristo, ma vedere quel ragazzo l'aveva spiazzata, sembrava tutto fuorché la prole di Satana.
Jeff non aveva cercato più i suoi servigi, almeno fino a quel giorno. La Venable la chiamò quella mattina presto, i due scienziati erano rimasti svegli tutta la notte per cercare di risolvere il loro problema di logica e gli serviva un tester, una cavia. L'unico motivo per cui era lì, era sapere cosa voleva da loro l'Anticristo, come fosse arrivato alla Corporazione, chi ce lo aveva portato.
Stava aspettando in quel laboratorio da più di un'ora ormai, ma di Jeff e Mutt nemmeno l'ombra, le sembrava come se tutto le stesse per cadere addosso. E se si fosse ripetuto ciò che era accaduto quel giorno? Brividi freddi le percorsero la schiena. Ma continuava a ripetersi che se l'era cercata, era lì per uno scopo e senza fare da escort di fortuna a Jeff, le era stato chiaramente negato il permesso di restare. Sebbene tutto fosse dipeso da quell'intervento, le cose erano destinate ad andare così. Alzò lo sguardo sulla lavagna colma di informazioni e immagini sviluppate al computer. L'aveva già studiata prima di sedersi ad aspettare, ma non riusciva a capire a cosa servisse. Una donna nemmeno tanto giovane, dallo sguardo severo e una stanchezza che si notava a stento per quanto era ben nascosta nei suoi occhi. Sapeva che Jeff e Mutt stavano sviluppando dei robot umanoidi, ma chi era quella donna per loro?
La porta si aprì e spostò lo sguardo sui due scienziati che entrarono nel laboratorio.
-Vieni, Rachele, spogliati- disse Jeff facendole gesto con la mano di avvicinarsi e si fermò davanti a un lettino di ferro lucido -E tu prendimi il camice- ordinò invece a Mutt che recuperò subito due vesti bianche per entrambi. Rachele si avvicinò riluttante sfilandosi la maglia e i pantaloni, Jeff la fece stendere sulla superficie fredda portando la ragazza ad irrigidirsi dal gelo che la sfiorò, mentre le punte dei suoi capelli le pizzicavano fastidiosi la pelle delle spalle.
-Credo che un semplice robot sarebbe troppo debole- cominciò Mutt, mentre Jeff tastava i fianchi di Rachele premendo sulla sua cicatrice -Per come Michael ce l'ha descritta era una donna forte, forse dovremmo considerare l'idea di renderla un Mossad- 
Jeff si fermò improvvisamente alzando lo sguardo sconcertato sul collega: -Sì, cazzo, sei un fottuto genio!-
I due si batterono le mani facendo alzare al cielo gli occhi di Rachele, tutto sommato da quei due intelligentoni aveva ricavato qualcosa. Michael, era quello il nome dell'Anticristo, e se era così c'era una buona probabilità che quel robot fosse il progetto per lui al quale Jeff e Mutt stavano lavorando. Doveva essere per forza così, si convinse.
In quel momento Rachele sentì la porta spalancarsi di nuovo, ma non si mosse continuando a tenere lo sguardo fisso sul soffitto sopra di lei, mentre i due uomini si voltarono per vedere l'Anticristo entrare.
-Hey, amico- salutò goffamente Mutt, mentre il ragazzo si avvicinava a loro osservando il corpo seminudo di Rachele che deglutì quando sentì il suo sguardo addosso.
-Cosa state facendo?- domandò calmo continuando a guardare la ragazza e facendo ticchettare le sue scarpe sul pavimento con un calmo ritmo regolare. I suoi occhi caddero sui fianchi di Rachele che sentì la lunga cicatrice sul ventre bruciare sotto il suo sguardo.
-Volevamo capire se gli organi sono necessari o meno nella creazione della Mead, sai, per renderla più umana- rispose Jeff tornando a far scorrere le mani sul corpo di Rachele che si sentì sporca sotto il suo tocco -E se sì, quali.-
Poi l'uomo prese una siringa contenente del liquido biancastro per infilarla nell'incavo del braccio di Rachele che strinse i denti presa alla sprovvista. Non voleva che quel ragazzo la vedesse così in quel momento, doveva avvicinarglisi, e forse farlo rimanere a guardare mentre faceva da cavia non prometteva bene. Non si chiese nemmeno cosa le avessero iniettato, ormai non si interessava più al suo corpo. Quando sentì la mano di Jeff posarsi sul suo ventre tastandolo, le venne spontaneo contrarre la mascella e sbuffare dal naso. Si era sentita fin troppe volte le sue mani addosso, ma in quel frangente voleva solamente tagliargliele via.
-Quindi dici che non ci serviranno organi da metterle all'interno?- gli chiese poi Mutt accigliandosi guardando i movimenti dell'altro.
Jeff si fermò di nuovo scuotendo la testa: -Ci servono i file dei robot e dei Mossad-
Senza dire altro i due scienziati uscirono veloci dalla stanza, mentre l'Anticristo continuava a guardare Rachele di sottecchi. La ragazza si alzò a sedere prendendo un grande respiro di quell'aria che sapeva di mentolo.
-Sei magra- notò il ragazzo che ora si era avvicinato al suo fianco, per poi continuare guardando le sue costole e riuscendole a contare con gli occhi -Fin troppo-
Rachele sbuffò in una risatina trattenuta, ma sapeva bene perché si sentiva così smunta, debole. Era passato tanto tempo da quando era via da casa e il suo corpo ne risentiva particolarmente.
-Perché mi dici qualcosa del genere? Non sai proprio come si rimorchiano le ragazze- rispose lei ironica con un mezzo sorriso che non catturò gli occhi del ragazzo.
Scese dal tavolo sentendosi derubata dal calore che la lastra aveva assorbito dal suo corpo, dalla sua pelle pallida, dai suoi polsi fragili. Si infilò di nuovo i suoi vestiti provando un certo disagio a essere nuda sotto lo sguardo giudice di lui che le percorreva la lunghezza della spina dorsale ossuta. Voleva andarsene, ma allo stesso tempo aveva bisogno di gravitare attorno quel ragazzo, doveva fargli cambiare idea sulle sorti del mondo. Ma come?
-Quella donna- cominciò Rachele accennando verso la lavagna -È tua madre?-
L'Anticristo spostò gli occhi dalle immagini alla ragazza studiandola, sembrò per un attimo esitare sul da farsi, ma poi prese fiato e rispose: -È l'unica figura che si possa avvicinare a una madre che io abbia mai avuto, si-
-Intendi dire che ce ne sono state altre, di figure materne?- constatò Rachele stringendosi le braccia al petto a difendersi dal suo sguardo intenso, notando negli occhi dell'Anticristo un briciolo di sentimento, qualcosa di doloroso, come una montagna di aghi ricoperti dalla paglia, pensi che sia morbida, ma le tue dita si ferirebbero se ce le immergessi dentro in cerca di calore.
-Nessuna degna di essere chiamata tale- rispose lui con un sorriso amaro. Lui che aveva sempre sentito il bisogno di qualcuno accanto che lo sostenesse, e che tutti quelli che ci avevano provato se ne erano andati. Quel ragazzo che si chiedeva se fosse lui quello sbagliato, lui che ora più che mai aveva il bisogno disperato di affidarsi a un punto di riferimento.
-Sei un robot, Rachele?- le chiese lui posando le mani sul tavolo che stava perdendo man mano il calore della ragazza.
-No, Michael- azzardò lei sorpresa da quella domanda. Si era vista sanguinare, cambiare pelle, perdere tutto fuorché la sua convinzione nell'andare fino alla fine, il motivo per cui era lì: fermare l'Apocalisse. Ed ora si trovava davanti proprio chi sarebbe stato il suo artefice.
Michael voleva chiederle qualcos'altro e Rachele sapeva esattamente cosa, ma la porta si spalancò di nuovo e interruppe la loro conversazione.
-Ah, Rachele, tu puoi andare- disse Mutt entrando nella stanza con una pila di faldoni tra le braccia, seguito a pochi passi da Jeff. Abbassando lo sguardo, la ragazza si avviò in silenzio verso la porta. Aveva imparato a tenere la testa bassa, a permettergli di credere che l'avessero in pugno, mentre in realtà li stava usando per qualcosa di più grande di loro.
-Aspettami in ufficio- le sussurrò Jeff vicino all'orecchio bloccandola per un braccio prima che varcasse la soglia del laboratorio. Rachele annuì voltandosi verso Michael che ora la guardava con il viso contratto da una smorfia che non seppe definire. E se avesse fallito? E se fosse il disgusto che provava per quello che era costretta e fare? Uscì deglutendo per la frustrazione, non poteva aver mandato tutto in fumo. Non ora.
Poi aspettò in quell'ufficio candido, chissà per quanto tempo, ma nessuno aprì quella porta fino a quando non le dissero di andarsene.

La capigliatura, il vestito, il viso, riusciva a ricondurre tutto alla figura nei suoi ricordi, quei ricordi che aveva estrapolato dalla sua mente uno ad uno per dare ai due scienziati tutto il materiale di cui necessitavano per riportarla da lui, dopo che le zampacce delle streghe si erano posate anche sulla persona che avesse più cara al mondo.
-Ed ora, la Kineros Robotics è orgogliosa di presentare La Tirann... Miriam Mead 2.0- disse Mutt prima che Jeff si avvicinasse al computer per attivare il robot -Ora, non aspettarti che sia se stessa fin da subito. Le ci vorrà del tempo, ha bisogno di imparare da te. Raccogliere le informazioni, come in qualunque rapporto-
Michael riuscì quasi a sentire le articolazioni robotiche che cominciavano a contrarsi, gli occhi di Miriam si aprirono e iniziarono a guizzare in ogni parte della stanza per poi posarsi su di lui. Il robot si drizzò a sedere sul tavolo in un movimento meccanico. I suoi occhi vitrei s'incastonarono nei suoi, come se analizzassero qualcosa che lui non poteva vedere, poi gli sembrò come se assumessero una sfumatura umana, riuscì quasi a leggerci del sentimento.
-Quanto mi sei mancato, Michael- il robot alzò una mano posandola sulla guancia del ragazzo.
Ora era pronto, avrebbe lasciato quel posto portando con sé quel robot che lo riconduceva a casa a ogni sguardo, e avrebbe portato via da lì anche quella ragazza dal volto tormentato così simile a lui, Rachele.

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