Capitolo sei. - "Ho perso il controllo."

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Il mio nome era Lauren Michelle Jauregui ed ero la cannibale più temuta tra tutti. Avevo perso quasi tutta la mia squadra e stavo perdendo mia figlia insieme alla mia ragazza.

Non potevo digerire tutto questo, la mia vita era già una merda di suo, in più, a sopportare una cosa del genere, mi avrebbe semplicemente distrutta il doppio.

Arrivati a Manhattan, scesi in una piazza piuttosto vasta, Ally mi seguì a ruota come se avesse paura che in qualche modo, avrei fatto le peggior cose.

Infatti era così.

Mi chiesi come minimo cento volte dove si sarebbe tenuto l'incontro, dove avrei ammazzato come bestie quelle tre teste di cazzo. Odiavo perennemente ognuno di loro, non sopportavo il fatto di star lontana dalla mia ragazza.

«Allogeremo al The Wagner Hotel. Lì staremo bene.» intervenne Troy chiudendo lo sportello dietro di sé, facendo un rumore sordo. Alcuni uccelli volarono in alto nel cielo, sicuro per lo spavento.

Picchiettando col piede, alzai il sopracciglio. «Perché ci vuoi far alloggiare in un Hotel di lusso?» chiesi mettendomi lo smartphone nella tasca posteriore dei pantaloni. Ovviamente, avevo cercato l'hotel.

«È un male?» chiese lui e io strinsi la mano in un pugno.
«Non stiamo andando in hotel per farci una fottuta vacanza, Troy! Come cazzo ti salta in mente una cosa del genere? Cioè, io mi sbatterei la testa al muro.» urlai. «E poi, come cazzo faccio ad entrare lì dentro se i soldi che ho mi servono per altre determinate cose e non per una fottuta camera da duecento quarantotto dollari?»

«Infatti, pagherò io.» disse lui e Ally alzò il sopracciglio rimanendo sconvolta davanti all'affermazione del suo fidanzato nonché presto marito.
«Tu... Cosa?!» si ritrovò a sgranare gli oggi e a spalancare la bocca.

«Con il mio lavoro, posso fare questo e altro. Ally, la spesa sarà veramente poca e poi, è per una buona causa.» sorrise Troy e Ally si ritrovò a sospirare.
«Come vuoi.»

Mi spostai, lasciai gli affari ai due e andai in un posto un po' più avanti da dove stavo prima. Mi stiracchiai e vidi come i grattacieli erano alti e luminosi e come lo smog era sempre più presente.

Inalai l'aria inquinata e poco salutare, buttai a pieni polmoni un sospiro di frustrazione. «Andimo in questo cazzo di hotel o cosa?» chiesi il voltandomi interrompendo quella litigata che si era appena accesa tra i due.

Infatti Ally aveva la mano alzata e lui era pronto a pararsi dal colpo di quella sottospecie di nana da giardino con l'animo di una guerriera.

«Scusa.» sussurrò con un fil di voce Hernandez ma io non ci diedi peso e tornai alla macchina, chiudendo lo sportello con molta forza.

Troy e Allyson mi seguirono e finalmente partimmo verso questo maledetto hotel. Il viaggio fu piuttosto corto ma tutto sommato, mi aiutò a catturare tanti particolari della grande città che non avevo mai visto e tantomeno, mai avuto la voglia e l'interesse di vedere.

Mi sporsi in avanti a causa di una brusca frenata. Eravamo arrivati.

👹👹👹

Stavo sistemando la mia valigia per terra, avevo ricevuto le chiavi della stanza duecento ottantasei. Mi piaceva, non c'era un filo di sporco e questo mi sollevava parecchio.

Da quando vivevo con Camila, lei mi aveva insegnato il vero e proprio ordine, sia mentale, che per il luogo che mi circondava. Avevo iniziato a detestare il disordine.

Mi affacciai alla grande e immensa vetrata che mi mostrava un vero e proprio panorama da film drammatico.

Aspettai fino al calar del sole e infatti, non appena quest'ultimo lo fece, io mi fiondai fuori dall'edificio, andando incontro a persone e automobili in piena corsa.

I miei poteri erano sviluppati, la mia velocità era aumentata e lo stesso la mia agilità nel fare le cose. Saltai da un tettuccio all'altro, i clacson suonavano ripetutamente man mano che mi buttavo sopra quelle lamiere.

Arrivai in una zona non tanto bella, un posto orrendo e decisamente oscuro – e no, non perché fa paura ma perché le luci non funzionano... –, un posto decisamente degno di una bella esplorazione.

Mi addentrai lungo la via e vidi come le finestre delle case erano ben chiuse, lo stesso le porte. I miei occhi alla luce della luna piena brillavano di un verde intenso, mi sentii come una sottospecie di faretto ambulante.

Dettagli.

Tornando a noi, continuai a camminare fino a quando non vidi una porta socchiusa e una luce accesa. Decisi di avvicinarmi e di dare un'occhiata. Non c'era nessuno. Entrai.

Il mio respiro era al minimo, non dovevo far tanto rumore.

«Buonanotte, amore mio.» disse una voce femminile. Mi nascosi bene e non appena la donna andò via, andai in camera dove c'era quella persona che stava prendendo sonno.

Non mi stavo più contenendo. Avevo fame e dovevo divorare qualcuno in qualche modo.

Arrivai ai piedi del letto e mi misi sopra il materasso cercando di non toccare la persona che stava dormendo beatamente tra quelle coperte.

Spostai un po' tutto, scoprii il viso e vidi che quello sotto di me che stava dormendo, era un bambino. Stavo veramente ammazzando un bambino.

Decisi di sollevarmi e non appena staccai il mio corpo da lui, quest'ultimo si mosse girandosi dall'altra parte. Mi misi una mano tra i capelli e decisi di uscire dalla finestra.

Che cazzo stava succedendo. Cosa mi stava accadendo di così sbagliato? In quel viso dormiente vidi quello di mia figlia Meredith e sicuramente non potevo fare una cosa del genere.

Perdere un figlio sarebbe stato assurdo, soprattutto per una madre e io, da genitore, mi sentii morire.

Dovevo concentrarmi su altro, dovevo andare a lavorare e a far vivere di nuovo l'animo che avevo perso. Le mie direzioni mi portarono alle case, le più facili da penetrare.

Dovevo darmi da fare, dovevo fare qualcosa per ammazzare il tempo e ci sarei riuscita sicuramente. Decisi di entrare dentro una casa, passando dalla porta del retro.

Le luci erano spente e il silenzio urlava nelle mie orecchie.

Io dovevo ammazzare, dovevo farlo ad ogni costo.

caníbal²Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora