Capitolo 8

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8.

Alessandra era stesa sul letto a fissare il vuoto da ore. In realtà non sapeva dire da quanto tempo si trovava in quella posizione; aveva la sensazione che tutto intorno a lei si muovesse a rallentatore.

Si portò le mani sul viso e cominciò a piagnucolare. E a imprecare. E a piagnucolare ancora.

«Ma cosa c'è di sbagliato in me?» frignò, strofinando le gambe tra loro per la frustrazione.

Non poteva credere che il destino fosse stato tanto meschino da catapultarla in quell'incubo.

Come se non ne avesse già passate abbastanza e di problemi non ne avesse già a sufficienza, quella che doveva rivelarsi una scappatoia per fuggire dagli ostacoli che aveva incontrato a Napoli, si era rivelata essere una vera e propria trappola.

Si era trasferita a Roma solo per trasformarsi in un topolino indifeso. E Simone Rizzoli era il gatto, pronto a tirarla per la coda e torturarla, per poi mangiarsela in un solo boccone.

Nell'immaginarsi la scena, si ritrovò a deglutire vistosamente.

«Sarai contento adesso, vero?» sbottò, rivolgendosi al cielo «Posso sapere almeno che cosa ho fatto di male per meritarmi tanto accanimento?!»

Continuò a fissare il soffitto, nella ingannevole attesa che potesse giungerle una risposta che chiaramente non arrivò. Un gemito affranto scappò dalla sua bocca e con una lieve spinta delle gambe si lasciò scivolare giù dal letto. Il suo capo si ancorò al pavimento e assunse una posizione tutt'altro che comoda: il busto eretto in posizione di candela e le gambe incrociate ancorate al materasso. Sperava così che la gravità favorisse l'afflusso del sangue al cervello e che a un certo punto avrebbe smesso di pensare, ma solo una forte botta in testa avrebbe potuto mettere fine al caos incontrollabile che governava la sua mente.

Non aveva minimamente idea di come uscirne, ma soprattutto di come dirlo a Marco Ferraro. Già si immaginava la sua reazione. Uno sguardo sconcertato prima, uno sprezzante dopo e infine lui che si rinchiudeva in camera da letto. Non una parola, né un insulto, né un imprecazione: solo due occhi gelidi e la più spietata indifferenza. Tremò al solo pensiero.

«Sono fottuta!» constatò amareggiata, scivolando di ancora qualche centimetro al suolo.

Poggiò le spalle al suolo e la schiena si era inarcata in un modo tutt'altro che naturale, ma non le importava. Voleva solo scomparire, o quanto meno tornare al momento in cui aveva preso quella barbara decisione di mollare la sua Napoli per trasferirsi nell'inferno del suo passato. Desiderava catapultarsi al giorno in cui si era convinta che andare Roma fosse la scelta giusta, desiderava incontrare la se stessa di un mese prima e prenderla a padellate con la forza necessaria per farla rinsavire.

Non riusciva a credere di aver rincontrato Simone Rizzoli, il suo primo amore. Nel ripensare al momento in cui i loro occhi si erano incatenati dopo tanti anni, si ritrovò ancora una volta a rivestire i suoi panni di una appena sedicenne con il cuore in frantumi e senza fiducia nel mondo. Non ripensava mai a quei momenti, se lo era imposto fermamente. Quando le capitava di guardare al passato, cercava di rivivere solo i momenti belli: ripensava al suo gruppo di amici, a Valerio in particolare, il suo migliore amico di quel periodo, e a tutte le esperienze stupide e divertenti che contraddistinguevano la vita di una normale adolescente. Qualche volta aveva anche pensato a Simone. Lo aveva amato tanto, lo aveva amato sul serio, ma in un modo diverso. Lo aveva amato con quell'ingenuità di chi non sapeva nulla dell'amore, con la leggerezza di chi pensava che fosse solo farfalle nello stomaco, tachicardia e salivazione abbondante. Era l'amore delle prime esperienze, di chi si lasciava toccare il corpo senza nemmeno avere la consapevolezza di averne uno, di chi permetteva che qualcun altro lo conoscesse, senza nemmeno conoscerlo lei stessa.

Non chiedermi di scegliereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora