Capitolo 9

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9.

Alessandra camminava a passo accelerato, mentre controllava spasmodicamente l'orario segnato sul telefono, stando al contempo attenta a non rovesciare il bicchiere di caffè che portava nella mano destra. Erano le otto e ventotto e lei aveva appena fatto ingresso nella Procura di Roma per dare inizio alla sua esperienza nell'ufficio inquirente capitolino. Era in orario, stranamente, eppure non bastava. Lei doveva spaccare il secondo, perché si era ripromessa di non dare alcun espediente a quella serpe di Simone Rizzoli.

Osservò con una certa trepidazione i numeri segnati a caratteri cubitali sul suo Iphone e sbuffò spazientita nell'attesa che le porte dell'ascensore si aprissero, maledicendo coloritamente la lentezza del mezzo. Quando il tanto atteso trillo giunse al suo orecchio, sospirò rincuorata e si fece spazio tra la folla, per nulla intenzionata ad aspettare il turno successivo. Per tutta la salita controllò l'orario con un nodo alla gola e giunta finalmente all'ottavo piano, balzò fuori e marciò spedita verso l'ufficio del dott. Rizzoli.

Non bussò nemmeno prima di entrare: scoccate le otto e trenta, Alessandra si fiondò nella stanza ed espirò sonoramente.

«Buongiorno!» disse, con un sorriso vittorioso.

Simone Rizzoli, impegnato nello studio di un fascicolo, distolse svogliatamente lo sguardo dalle carte e si soffermò sulla ragazza. Alessandra aveva le guance arrossate per la corsa e una mano sul petto che si gonfiava e sgonfiava energicamente per recuperare fiato. La squadrò da capo a piedi, poi controllò l'orario.

«Sono le otto e trentuno.» si limitò a dire, senza nemmeno guardarla.

«Quando sono entrata erano le otto e trenta.» si difese Alessandra, perché no, non gliel'avrebbe data vinta.

Il magistrato arricciò il labbro con sufficienza e con il capo la invitò ad accomodarsi alla piccola scrivania situata vicino alla finestra. Alessandra fece come le era stato detto, ma non senza un lieve imbarazzo. Le faceva strano condividere gli spazi con lui, dopo tutto quel tempo e soprattutto dopo i loro trascorsi.

Simone Rizzoli la guardò di sottecchi togliersi il cappotto e si concesse un minuto per osservarla meglio. Non era cambiata per niente in quegli anni, a parte i capelli lunghi. Il viso era sempre un po' tondo, la pelle pulita con solo qualche traccia di trucco e gli occhi verdi brillanti spiccavano come protagonisti sul quel faccino carino. Forse il corpo era un po' cambiato. Era sempre molto minuta, ma con il tailleur nero le sembrava più donna.

Distolse subito lo sguardo, quando Alessandra si voltò verso di lui e fece finta di non vedere le mani che si strofinavano timide che palesavano tutta l'esitazione di chi non sapeva da dove cominciare per rompere il ghiaccio. Continuò a ignorarla, riprendendo la lettura di una memoria difensiva, poi Alessandra si schiarì la voce.

«Mh, allora...come va?» esordì incerta.

«Bene.» rispose Simone atono, poi annusò l'aria e percepì il forte aroma di caffè «Oh brava! Mi hai portato il caffè!» disse, allungando la mano per afferrare il bicchiere.

Alessandra fece subito per dire qualcosa, ma si frenò mordendosi il labbro con fare titubante.

«Ehm, veramente...» mormorò con una smorfia imbarazzata, ma non ebbe il coraggio di finire la frase quando vide l'uomo portarsi il bicchiere alle labbra.

Simone Rizzoli assaggiò appena la bevanda scura, poi con la coda dell'occhio notò l'espressione amareggiata della ragazza e si bloccò.

«Fammi indovinare? Non era per me il caffè!» l'accusò, socchiudendo gli occhi.

Alessandra azzardò una risata colpevole e si grattò la nuca.

«Ma certo che era anche per te!» tentò di rimediare «Ne ho preso di più perché è per entrambi!»

Non chiedermi di scegliereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora