Capitolo 11

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11.

Alessandra si strofinò gli occhi con eccessivo vigore, prima di riuscire ad aprirli definitivamente e tornare nel mondo dei vivi. Era in mutande, con la maglietta smessa di Marco della sua vecchia squadra della pallanuoto e le coperte malamente attorcigliate tra le gambe. La parte di letto accanto a lei era vuota, ma i rumori provenienti dalla cucina l'avvisarono che Marco non fosse ancora uscito per andare a lavoro.

Si stiracchiò come un gatto, con le braccia tese verso l'alto e versi squillanti che scappavano dalla bocca, poi balzò in piedi barcollando.

Marco stava bevendo il suo caffè amaro quando Alessandra piombò ciondolante in cucina.

«Buongiorno principessa!»

«Dimmi che è rimasto del caffè. Ho talmente tanto sonno che svengo sui libri!» frignò, portandosi una mano davanti alla bocca per contenere uno sbadiglio.

«Nottata movimentata, per caso?» insinuò Marco, ghignando malizioso.

Alessandra si versò una tazzina di caffè e gli rifilò un'occhiata divertita.

«Non capisco, il vecchiaccio della coppia sei tu. A rigore dovresti essere tu a soffrire certi ritmi!» lo provocò, abbandonandosi sulla sedia.

«Faccio tanta palestra, sono allenato.» affermò presuntuoso, scoccandole un occhiolino «In più sono un uomo molto mattiniero. Tu potresti ronfare anche quindici ore di fila e svegliarti assonnata!»

«Quanto è vero!» esclamò Alessandra, afflosciandosi sul tavolo.

Marco sorrise e si portò una fetta biscottata con la marmellata di albicocche alla bocca.

«Studi oggi?»

«Sì e poi volevo passare a casa da Flami per vedere com'è andata a finire con Luca.»

«Brava, anche se sospetto che abbiano fatto pace. Diversamente, ci saremmo trovati Luca sul divano a sbraitare insulti contro l'ex di Flaminia.»

Alessandra convenne ridendo. Da quando aveva iniziato a convivere con Marco, aveva potuto avere piena contezza del rapporto che lo legava a Luca. Erano migliori amici sin dalle elementari, le loro stesse famiglie vantavano un'amicizia pluridecennale, e non c'era momento della vita che non avessero attraversato insieme.

Marco le aveva confessato che, quando capitava qualcosa di brutto a uno dei due, quando qualcuno stava male, trascorrevano la serata sul suo terrazzo a bere birra ascoltando Bruce Springsteen. Solitamente non dicevano nulla, o comunque niente più del necessario. Non erano tipi da frasi circostanza e banalità preconfezionate. Erano tra quelli che preferivano il silenzio, che più che di un abbraccio avevano bisogno della sola idea di una spalla sulla quale appoggiarsi. Erano tra quelli che afferravano con un'occhiata i pensieri dell'altro nascosti sotto strati di orgoglio, rispondendo solo con un sorriso mesto e un semplice ho capito, liberandosi dell'arduo compito di farli uscire fuori.

Alessandra guardò Marco e si ritrovò a constatare per l'ennesima volta quanto fossero diversi. Lo stesso rapporto che aveva con Flaminia era differente. Alessandra era una persona che non poteva trattenere i pensieri, che faceva indigestione di sentimenti. Aveva bisogno di farli uscire fuori per sentirsi meglio, di vomitare parole, lacrime, gioia. E così era Flaminia. Loro appartenevano a quella categoria di persone che non censuravano i sentimenti, che a un silenzio orgoglioso di chi voleva proteggere il cuore dagli altri preferivano lunghe chiacchierate senza filtri, certe di non incorrere nel reciproco giudizio. E anche se erano arrivate al punto di capirsi con un solo sguardo, era con la parola cruda, con il cuore nudo, che avevano costruito il loro rapporto.

Le piaceva, però, quel loro essere diversi. Non era solo per quel modo tutto loro di incastrarsi, ma per l'illusione che avrebbero potuto sempre attingere qualcosa di nuovo dall'altro. Alessandra aveva portato nella loro relazione la spontaneità, mentre Marco le aveva insegnato la bellezza di un rapporto più maturo.

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