Capitolo 13

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Alessandra guardò svogliatamente il manuale di diritto penale opportunamente sistemato sulla scrivania. Nonostante l'orario spezzasse già da un pezzo la mattinata, era intenta a fissare la stessa pagina da ore.
L'ingerenza del diritto europeo nell'ordinamento interno. Competenze indirette dell'Ue in materia penale.
Il suo sguardo non si era spostato dal titolo, costretto in quelle due frasi da tempo immemore. La sua mente rifiutava di concentrare le sue energie nello studio, non con tutto quel malessere in corpo che le aveva fatto persino saltare la colazione.
Avrebbe voluto essere al tirocinio, a fare probabilmente poco, ma almeno avrebbe continuato a sentirsi parte di qualcosa di più grande e diverso dallo studio che aveva conosciuto sin dai tempi dell'università. Nonostante il contesto, il fato di traverso e un passato terribilmente ingombrante e persecutorio, a lei piaceva svegliarsi la mattina e andare in Procura.
Ciononostante, era a decisa a non arretrare nemmeno di un millimetro.
Quello che aveva subito andava oltre la più umana affabilità. Le aveva spezzato l'orgoglio, calpestato la dignità, riempito lo stomaco della rabbia e l'insofferenza verso l'ingiustizia. E più ci ripensava, più non si capacitava di quanto fosse stata stupida lei ad aver creduto in un cambiamento verso una direzione più positiva e di quanto fosse stato cattivo lui a usare la sua posizione per farle scontare un torto commesso da adolescente.
Nel rievocare il ricordo di quanto accaduto il giorno precedente, l'unica immagine che la perseguitava, era quella del suo sorriso compiaciuto. Quel sollazzo proprio di chi si gustava una vendetta ben servita e l'assenza di qualunque accenno di resipiscenzale facevano male, male da morire.
E allora scuoteva la testa con forza, cercava di allontanarlo dalla mente, di condannare la sua immagine nell' oblio con la stessa fermezza con la quale la sua rabbia lo aveva reso destinatario dei suoi insulti.
Eppure, nonostante gli sforzi, nonostante i libri aperti e le improvvisate di Manuel, che si stava impegnando tanto per risollevarle l'umore con invitanti dosi di cioccolato e teatrini grotteschi, non ci riusciva.
Perché di fondo, in quel groviglio di immagini e pensieri, aleggiava spaventosamente una domanda. Perché l'avesse fatto e soprattutto cosa ci celasse dietro quell'odio ancora fin troppo vivido per poter essere considerato normale.
Afferrò saldamente la matita, decisa a dare un senso a quella mattinata, procrastinando tutti i dubbi e le decisioni relative al suo futuro. Non sapeva che fine avrebbe fatto; per il momento aveva solo acquistato il biglietto di sola andata per Napoli.
Nel momento esatto in cui la mina graffiò la pagina intonsa del manuale superiore di diritto penale, il suo telefono cominciò a squillare.
Alessandra sbirciò lo schermo e nel riconoscere il numero di Federica, la sua collega tirocinante, tergiversò.
Non sapeva che aria tirasse al tirocinio, né come e se Simone Rizzoli avesse giustificato la sua assenza.
Neanche lei aveva idea di come comportarsi. Se rispondere, fingere qualche scusa dozzinale, oppure ignorare la telefonata. L'unica cosa di cui era certa e che non voleva in alcun modo che si sapesse che tra lei e Simone ci fossero stati dei trascorsi sentimentali.
Solo dopo cinque squilli decise di accettare la chiamata. Lo fece d'istinto e nel dire pronto si rese conto di non sapere davvero cosa dire.
Federica la riempì di domande e frasi sconnesse. C'era un  dove sei, un ma che diavolo è successo, e qualche riferimento all'improrogabile necessità di recarsi in un Procura.
Alessandra tentò di frenare quel fiume di parole, nel vano tentativo di venirci a capo, ma Federica fu perentoria.
- Devi correre qui. Non so cosa diavolo stia succedendo, ma devi venire qui!-
Federica aveva già attaccato quando Alessandra aveva chiesto perché. Aveva troncato bruscamente la telefonata, lasciandola di stucco, con il dubbio su cosa diavolo fosse successo di così grave da richiedere la sua presenza.
Con quell'ansia, che sapeva di preoccupazione e curiosità insieme, Alessandra si fiondò in bagno e si preparò in quattro e quattrotto.
Si muoveva impazzita verso ogni angolo della stanza, infilando alla rinfusa cose nella borsa mentre si infilava gli stivali.
Lo stesso Manuel la guardò con sorpresa, quando la vide uscire dalla stanza in giacca, pantalone di velluto e l'aria trafilata.
- Dove vai?-
- In Procura.-
- Sul serio? Ti ha chiamata Iago?-
- Ma figurati! Mi ha chiamato Federica e mi ha detto di correre. Vado a vedere che diavolo è successo.-
Manuel socchiuse gli occhi, in quel modo che Alessandra aveva imparato a interpretare come sintomo che non fosse convinto di qualcosa. La lasciò andare con un bacio sulla guancia e un monito a chiamarlo senza indugi qualora avesse avuto problemi e necessitasse di essere venuta a prendere.
Alessandra lo ringraziò e mentre si chiudeva la porta alle spalle, si ritrovò a sorridere. Non lo aveva mai pensato fino a quel momento, ma si sentiva davvero di aver trovato un nuovo amico e non solo un coinquilino. Quando era con Manuel, si sentiva meno sola nella capitale.
Alessandra impiegò più di un'ora a raggiungere la Procura. Mai come quel giorno detestò Roma, la sua magnificenza e la sua immensa grandezza.
Aveva il batticuore quando entrò in ascensore. Non sapeva cosa aspettarsi e non si era psicologicamente preparata ad affrontare Simone Rizzoli di nuovo. Non sapeva dire cosa temesse di più: doversi difendere ancora una volta dalla sua cattiveria oppure scontrarsi con l'indifferenza verso la sua decisione di mollare.
Passò davanti alla porta della sua stanza, in quel momento chiusa, ma non ebbe il coraggio di bussare. La oltrepassò, dirigendosi speditamente verso la stanza dei tirocinanti.
Non era stato lui a chiamarla, quindi non avrebbe fatto l'errore di presumere che ci fosse lui dietro a tutto questo. Né di entrare nel suo ufficio, dandogli prova di aver fatto un passo indietro nella sua decisione. Non aveva affatto cambiato idea, lei davvero non lo voleva vedere. Aveva solo seguito il monito di una collega e mai avrebbe voluto che passasse un messaggio diverso. Era una questione di orgoglio.
Entrò nella stanza dei tirocinanti con un po' di disagio e Federica, non appena la riconobbe, si alzò in piedi e le andò incontro.
-Meno male che sei arrivata. Oggi non si capisce niente!-
Alessandra guardò la ragazza con i capelli ricci con perplessità e si guardò intorno con sospetto.
-Mi spieghi che succede?-
Federica la tirò per un braccio verso la macchinetta del caffè, al riparo dalle orecchie indiscrete dei tre colleghi impegnati nello studio del fascicolo.
-Senti- esordì, infilando la cialda nella Nespresso - Io non so cosa diavolo succede tra te e Rizzoli, ma da stamattina non mi dà tregua.-
-Cosa vuoi dire con quel "tra te e Rizzoli"?-
Federica fissò Alessandra in silenzio. La scrutò attentamente, senza nessuna parvenza di superiorità, né Alessandra percepì giudizi tra le righe. Le sembrò solo critica, nel modo di chi cercava di dare una spiegazione a qualcosa che non comprendeva.
Alessandra però sostenne il suo sguardo con fermezza, decisa a stroncare sul nascere qualunque accenno di insinuazione.
- Ok, questo è quanto. Rizzoli stamattina è piombato qui e mi ha chiamata in disparte per parlare in privato. Mi ha chiesto se ti avessi sentita e di avvisarlo se e quando saresti venuta. Ho provato a chiedere spiegazioni, ma lui è stato piuttosto evasivo. E, soprattutto, mi sembrava agitato.-
- Agitato? In che senso agitato?-
- Agitato come una persona che ha commesso uno sbaglio e sta cercando di riparare.-
Alessandra restò impassibile. Non si lasciò impressionare dal racconto di Federica, anche se non poteva negare che le facesse piacere che lui provasse del rimorso. Eppure, nonostante il senso di colpa, Simone Rizzoli non aveva alzato direttamente il telefono, non si era degnato di contattarla di persona per chiederle scusa. Aveva delegato e questo le era sembrato fin troppo comodo e vigliacco per lasciarsi rabbonire.
- Che altro ti ha detto?-
- Nulla di specifico. Prima di andare in udienza, è passato di nuovo per chiedermi se ci fossero novità. Vedendo che tu non arrivavi, mi ha chiesto il favore di chiamarti e di convincerti a venire. Mi ha quasi pregato, oltre che intimato di non farne parola con nessuno!-
-Sul serio? Ti ha persino pregato?-
-Beh...diciamo che per i suoi standard, quei suoi due per favore li ho interpretati come una sorta di supplica.-
Alessandra non riuscì a trattenere un risolino, ma lo troncò immediatamente scuotendo il capo.
- Come se un per favore bastasse a renderlo meno stronzo!-
- Si può sapere che cosa è successo tra voi due?-
- Niente, è successo che io mi sono ribellata al fatto che non mi facesse fare nulla. Gli ho fatto notare che rispetto agli altri ero indietro, che non avevo fatto alcuna attività diversa dallo stampare carichi pendenti o dal fare qualche ricerca giurisprudenziale. E gli ho detto che non mi stava più bene e che se quello era l'andazzo, allora forse sarebbe stato il caso di chiuderla lì.-
Alessandra omise tutti i retroscena, ma tutto sommato il riassunto le sembrava abbastanza soddisfacente.
Federica infatti non sembrò sospettare che ci fosse dell'altro.
- Caspita, che coraggio! Ma se vuoi sapere la mia, hai fatto benissimo! Avevo notato una certa ostilità da parte sua e il non averti portato in udienza l'ultima volta è stato davvero un colpo basso gratuito! Ma perché lo ha fatto?-
-Bah, sarà perché è stronzo a basta!- minimizzò Alessandra con una scrollata di spalle.
Federica ridacchiò e le lanciò un'occhiata di intesa.
- Penso che anche la Magri sarebbe d'accordo con noi. Ho sentito che sono andati a letto insieme, ma a quanto pare lui non se la fila proprio.-
Alessandra alzò gli occhi al cielo.
- Tipico di Simone.-
-Come, scusa?-
Alessandra sgranò gli occhi e trattenne il respiro. Guardò l'espressione perplessa di Federica e sentì il sangue affluire alle guance. Addentò con forza la lingua nel desiderio di staccarsela a morsi.
- Ehm, nel senso che è classico dei tipi come Simone. Sai, quegli uomini stereotipati che vanno a letto con le donne ma non si affezionano mai. Cioè, almeno così mi sembra!-
Federica scoppiò in una risata. Si lasciò andare a commenti su quanto la Magri fosse presa da Rizzoli, al contrario di lui che sembrava assolutamente indifferente al suo continuo ondeggiare in sua presenza.
Alessandra tirò un sospiro di sollievo e si concesse ancora qualche minuto per consumare un caffè in compagnia, prima di tornare al punto focale della questione.
- Fede, ora che sono qui, che devo fare? Ti ha detto che vuole da me?-
- Mi ha detto di dirti di andare nel suo studio. Non so altro.-
Alessandra la ringraziò con un sorriso tirato, poi girò i tacchi e si diresse verso lo studio di Rizzoli. In un certo senso, fremeva di avere quel confronto. Era proprio curiosa di vedere cosa si sarebbe inventato Simone per scusarsi.
Quella situazione le creò uno strano senso di familiarità.
Pensandoci attentamente, era sempre stato quello il modus operandi di Simone.
La sua superbia e il suo irreprensibile ego lo portavano spesso a spararla grossa, ma poi faceva macchinazioni assurde per vedere come rimediare.
Lo aveva fatto la prima volta che si erano conosciuti presentandosi sotto casa sua. E lo aveva fatto ancora quella volta che lei lo cacciò di casa, lo stesso giorno in cui si lasciò guardare per la prima volta nella sua completa nudità e gli diede il permesso di abbattere le prime barriere del pudore e dell'intimità.
Ricordava bene quel lunedì dopo a scuola. Aveva un aspetto orribile e aveva fatto il compito di chimica con gli occhi gonfi di pianto. Si sentiva male, male dentro, irrimediabilmente sporca, e troppo stupida per aver creduto di aver iniziato una relazione seria con Simone.
Aveva desiderato che quella giornata finisse, di tornare a casa e infilarsi nel letto. E magari inventarsi una scusa con zia Bianca ed evitare di andare a scuola il giorno dopo. In fondo, a stare male, stava male sul serio. Avrebbe potuto scrivere nella giustifica mal d'amore, e nessuno avrebbe mai potuto mettere in dubbio il dolore delle pene d'amore, soprattutto se avevi sedici anni e di amore credevi di sapere tutto, senza in realtà sapere nulla. Faceva più male a sedici anni, quando di te stesso e del tuo valore non eri ancora consapevole, quando era tutto doveva essere dramma, quando eri ancora un bocciolo incapace di stare davvero al mondo e il tuo ordine di priorità dava la stessa importanza a tutto e niente.
Si era davvero convinta di aver sbagliato tutto, che la sua inesperienza nei rapporti l'avessero portata a fraintendere. Invece si era dovuta ricredere.
Quel giorno, quando era uscita da scuola, aveva sentito lo stomaco arrovellarsi su se stesso nel vedere Simone appoggiato al muretto, nell'angolo adiacente all'uscita.
Era intento a fumare una sigaretta, mentre controllava spasmodicamente l'orario e e il piede accompagnava le lancette picchettando l'ansia sull'asfalto.
- Guarda chi c'è!- le aveva detto Valerio nell'orecchio con un sorriso sornione.
-Come se tu non lo sapessi già!- lo aveva schernito lei bonariamente.
Valerio aveva scrollato le spalle, ammiccando verso di lei con aria da furbetto. Alessandra aveva scosso il capo, ma quella prima nota di sorriso aveva dato prova di quanto fosse felice. Se non altro, la sua presenza lì aveva dimostrato che lei non avesse preso una totale cantonata.
Gli si era comunque parata davanti con le spalle ritte e l'aria algida. E anche con imbarazzo; averlo davanti era stato come essere di fronte alla consapevolezza che lui l'avesse vista nuda, come mamma l'aveva fatta, e di quanto lui l'avesse fatta sentire insignificante.
- Che ci fai qui?-
Simone l'aveva squadrata da capo a piedi.  Aveva anche lui un pessimo aspetto e quel suo silenzio perdurante sapeva di vergogna, di penitenza, un continuo inciampare della lingua sull'arcata dei denti, senza trovare uno straccio di sillaba. E i suoi occhi, quelli sempre superbi, arroganti, le stavano chiedendo pietà.
- Sono un coglione.-
- Sì lo sei. E sei cattivo. Mi hai fatto credere che tra noi ci fosse qualcosa, ti ho permesso di fare cose che non ho mai concesso di fare a nessuno, perché pensavo che stessimo insieme.
Non mi sono mai sentita così stupida e umiliata in vita mia. Il tuo vergognarti di me ha fatto in modo che mi vergognassi davvero di me stessa. Solo che io non ho nessuna colpa.-
- Mi dispiace, davvero. E hai ragione. È solo che io, sai, ho ventidue anni, vado per la laurea e tu sei una liceale. Non mi sarei mai aspettato di stare con una liceale e l'idea mi terrorizza.-
- Non c'è problema. Ti levo da questo inghippo, perché è evidente che non siamo sulla stessa lunghezza d'onda. E mi hai ferita. Davvero, mi hai fatto proprio male. E giusto perché tu lo sappia, quello che si è comportato da ragazzino sei tu, non io.-
Quelle parole le uscirono con una tale durezza che Alessandra si era stupita della sua fermezza. Aveva temuto di sgretolarsi davanti a lui. E invece guardarlo negli occhi, sentire la rabbia, toccarla con mano e scagliargliela contro, l'aveva fatta sentire tremendamente forte.
Si era voltata con uno scatto, non avendo più niente da dire. Non era riuscita nemmeno a fare un passo, perché si era sentita afferrare per le spalle. E l'attimo dopo Simone l'aveva baciata, davanti a tutta la scuola, come a volerle dare prova di non vergognarsi di nulla.
- Ho avuto paura, ma l'idea di perderti è molto peggio.- le aveva mormorato sulla bocca, mentre lei, immobile come uno stoccafisso, ancora cercava di metabolizzare l'accaduto.
- Non te l'ho fatto credere. Tra noi c'è qualcosa. Ci ho messo solo un po' a realizzare che la mia ragazza è una liceale.-
- Chi ti ha detto che sono la tua ragazza?- aveva ribattuto Alessandra torva.
Simone aveva sorriso e aveva intrecciato le loro dita.
- No?-
- No. Non crederai mica che un bacetto davanti a tutti e due paroline siano sufficienti? Hai da lavorare bello, se davvero vuoi che io sia la tua ragazza!-
Simone era scoppiato a ridere.
- Sarà fatto.- poi si era guardato intorno ed era arrossito lievemente -Ora, però, ti prego, andiamo via! Ci guardano tutti e comincio a sentirmi a disagio!-
Alessandra sorrise. Tutta quella messinscena era proprio da lui e le faceva strano rivivere tutti quei ricordi, constatare di conoscerlo ancora così bene dopo dieci anni.
Non si stupì di trovare qualcosa per lei, quando entrò nello studio vuoto di Rizzoli.
Sulla sua scrivania, giaceva un fascicolo bello grosso (che poteva significare solo una bella indagine piena piena) e un pacco di barrette Kinder in segno di pace.
Alessandra nascose una risatina dietro uno sbuffo, perché quel vecchio trucco delle barrette Kinder la divideva tra l'irritazione e la dolcezza della prova che lui non avesse mai smesso di conoscere qualcosa di lei.
Si avvicinò alla sua postazione e sfiorò con le dita prima il cartone bianco del fascicolo, poi la confezione del suo peccato di gola preferito. Solo allora notò anche la presenza di un biglietto.
Sono un coglione. Mi dispiace "pulce".
Alessandra strinse i denti e sentì quel senso di irritazione acuirsi. Quel modo di fare le sembrava giocare sporco; usare vecchi trucchi e persino quello stupido nomignolo che le aveva affibbiato quando stavano insieme. E soprattutto la irritava che, alla fine dei conti, quelle mosse funzionassero. Detestava constatare che più volte, quando si trattava di lui, finiva col rivestire i panni della vecchia Alessandra. E rivivere i momenti passati, come cadenzati da una ciclicità storica, la stava sfinendo emotivamente.
Alessandra si portò una mano in fronte e sbuffò, tirando fuori l'aria con forza, quasi con un ringhio.
Odiava tutto questo, odiava dover fare i conti con capitoli chiusi del passato che il destino si sforzava di voler riaprire.
Proprio quando fu tentata dal darsela a gambe ed evitarlo, Simone aprì la porta e piombò nello studio.
Si immobilizzò sulla soglia, spiazzato di trovarla lì. Aveva fatto tanto per indurla a venire, eppure a giudicare dalla sua espressione sbalordita, non sembrava si aspettasse di trovarsela davvero davanti.
- Ciao!- mormorò lui con sorpresa, chiudendosi la porta alle spalle.
Alessandra incrociò le braccia al petto.
- Viste le circostanze, esigi sempre che io ti dia del lei, o possiamo saltare i convenevoli?-
Simone la studiò per un lungo attimo.
L'espressione di Alessandra sembrava scolpita nel granito e la lingua sembrava aver intinto le parole nel veleno.
- D'accordo, sei ancora arrabbiata e lo capisco.- disse, mettendo le mani avanti.
- Ancora? Che diavolo significa ancora? Credi che un fascicolo, due barrette Kinder e un nomignolo del cazzo siano sufficienti per rimediare alla tua cattiveria? Sei stato cattivo Simò, porca puttana se sei stato cattivo!-
- Mi dispiace, sono stato davvero un coglione.-
- Ah su questo siamo d'accordo!-
Alessandra si appoggiò con il fondoschiena alla scrivania e chiuse gli occhi. Si portò entrambe le mani in fronte e cercò di strofinare via quella rabbia che le stava appesantendo la testa.
- È così che credi che dovremmo passare un anno e mezzo insieme? Pensi davvero che possiamo fare questo tutto il tempo? Ti avviso, io non ce la faccio. Non voglio passare diciotto mesi a difendermi da te.-
Simone si liberò della giacca e della ventiquattrore e avanzò verso di lei infilando le mani nelle tasche.
- Ascolta, non dovrai difenderti ancora da me. Mi dispiace davvero per il brutto tiro che ti ho fatto, è stato davvero infantile e poco professionale. Non accadrà più, te lo prometto!-
- Ma perché?- sbottò Alessandra incredula - Perché lo hai fatto? Possibile che tu abbia ancora questo rancore nei miei confronti?-
Simone si fermò a pochi passi da lei. La guardò negli occhi, quegli occhi verdi lucidi di rabbia, e si trovò disarmato. Faticava ad ammetterlo, detestava pensarlo, ma aveva ragione.
Si era illuso che quello fosse stato più una difesa, un modo per prevenire che lei acquisisse spazio, per impedire che la sua indole prepotente lo calpestasse facendole capire ab origine che dovesse stare al suo posto.
Invece era stato un attacco bello e buono, l'occasione ghiotta per il suo orgoglio per farle scontare un torto lontano. Anche se in quegli anni non aveva più pensato a lei, averla di nuovo davanti gli aveva fatto ricordare il dolore di chiudere una relazione da un giorno all'altro, la difficoltà nel cancellare un amore bello con un solo colpo di spugna.
- Hai ragione tu. È stata una vendetta.- confessò a un tratto - Quando ho capito che saresti stata tu la mia tirocinante, ero convinto che mi saresti stata indifferente. Non mi fraintendere, non nel senso che io provi ancora qualcosa per te, ma credevo che rivederti dopo dieci anni sarebbe stato come avere di fronte una sconosciuta. E invece non è andata così. La prima volta che ti ho visto, ho avuto come la sensazione che il tempo non fosse mai trascorso.
Sei sempre uguale, tu, le tue facce grottesche, la tua lingua lunga, la tua indole prepotente che ti porta a fare sempre quello che vuoi.
Ti avevo completamente rimossa, ma rivederti è stato come se qualcuno mi avesse strappato un cerotto a tradimento. Mi sono ricordato perché avevo deciso di cancellarti, tutto quello che ho odiato di te.-
- E ora ti senti meglio? Dopo avermi umiliata, ti sei sentito meglio?- lo sfidò Alessandra stringendo i pugni.
Simone scosse il capo.
- No, affatto. Mi sono sentito una merda. Quando te ne sei andata, ho realizzato che era stato illogico ferirti oggi in nome del ricordo di una ferita che mi hai inferto dieci anni fa. È stato solo meschino, completamente gratuito. Avevo creduto di dimostrarti cosa significa realizzare di non valere niente per una persona, facendoti provare la stessa identica sensazione. Che l'essere stato vittima in passato avrebbe reso te meno vittima oggi. Invece non ho dimostrato nulla, solo che sono stato un gran pezzo di merda.-
Alessandra addentò con forza l'interno della guancia e abbassò lo sguardo a disagio.
- Non è vero che non valevi niente per me.- si limitò a dire.
- Lascia stare, è passata una vita. È inutile parlarne adesso!- si oppose Simone, ma Alessandra lo afferrò per un braccio.
- No, giacché ci siamo, parliamone. Non ho mai avuto l'occasione per dirtelo, ma voglio che tu sappia che, all'epoca, l'unica cosa che avrei voluto era che tu non mollassi tutto per la distanza. Io ti amavo e volevo stare con te. La mia decisione  di tornare a Napoli non  stava assolutamente a significare che tu fossi poco importante per me.
Questo ti avrei detto se tu mi avessi lasciato spiegare, se non mi avessi completamente cancellato dalla tua vita.-
Simone socchiuse lievemente gli occhi. Sembrava diffidente, quasi infastidito da quella confessione. Ma Alessandra continuò a guardarlo negli occhi con decisione, con la limpida tranquillità di chi non aveva problemi a fare uscire fuori i suoi pensieri, che non aveva bisogno di nascondersi dietro il muro dell'orgoglio.
E Simone la rivide ancora una volta la ragazzina che aveva conosciuto dieci anni prima. Quella che con la sua decisione, con la sua forza nascosta dietro un faccino ingenuo, lo aveva fatto capitolare. Era stata forse proprio quella scintilla che ardeva nel  colore verde dei suoi occhi la prima cosa che lo aveva colpito di lei.
-  Io avrei voluto solo che tu non mollassi tutto quello che avevamo costruito per inseguire la tua vecchia vita.-  mormorò, quasi sottovoce.
Non l'aveva nemmeno guardata negli occhi; Simone faceva molto più fatica di lei ad ammettere di essere stato ferito. Eppure quella confessione tardiva, che ormai non valeva nulla, la disarmò ugualmente.
Simone captò il disagio di entrambi e abbozzò un sorriso forzato che aveva la pretesa di chiudere il discorso.
- Ma tralasciamo il passato, ormai è andata così, parliamo del presente invece! Mi perdoni, per quello che è successo?-
Alessandra socchiuse gli occhi.
- Dipende, devo aspettarmi qualche altro brutto tiro?-
- Nessun brutto tiro. Solo cose belle!- ribatté Simone ammiccando.
Alessandra sorrise e il suo corpo finalmente si rilassò. Guardò di sottecchi il pacco di barrette Kinder e scosse il capo ridendo.
- Un pacco di barrette Kinder per comprare il mio perdono, eh?-
- Beh, ho pensato che anche questo non fosse cambiato! Ho pensato male?-
Alessandra ne scartò una e se ne infilò metà in bocca con un'espressione da furbetta.
-No, affatto!- bofonchiò a bocca piena.
Simone rise di gusto e si accomodò alla sua scrivania, esortandola a dare un'occhiata al fascicolo comunicandole che il lunedì avrebbero tenuto il primo interrogatorio insieme.
L'aria si era nettamente alleggerita nella stanza: Alessandra sfogliava gongolante il suo vero primo caso di stalking e Simone la osservava divertito ingozzarsi di cioccolata mentre leggeva attentamente le carte processuali.
Si sentiva meglio, ora che lei lo aveva perdonato. E guardarla aggrottare la fronte, masticare mentre leggeva, con quel suo modo buffo di arricciare le labbra, per la prima volta gli evocò ricordi diversi legati a lei. Non la rabbia, non la sofferenza, né la delusione. Per la prima volta, nello stare con lei, gli vennero in mente cose belle di loro due insieme.
- Ti va se lo guardiamo insieme il fascicolo?-  disse di getto.
Alessandra si illuminò e annuì vigorosamente con il capo. Raccolse tutti gli atti e nel spostarsi alla scrivania di Simone, inciampò sui suoi stessi piedi e fece cadere l'intero fascicolo a terra.
- Oh merda!-  squittì, ancora con la bocca piena, accovacciandosi su se stessa per recupare tutti i fogli.
Simone scoppiò a ridere di gusto e accavallò le gambe.
- No, pulce, non sei cambiata proprio per niente!-
Alessandra rimase per un momento interdetta, ma cercò di mascherarlo. Abbassò il capo, lievemente arrossita, e recuperò meccanicamente gli atti.
Non le era sfuggito quel nomignolo, né la strana sensazione di sentirglielo pronunciare dopo tanto tempo.
Si sentì avvolgere da una bolla densa di ansia, disagio e imbarazzo che le rallentò i movimenti.
E l'unico pensiero che le venne in mente, fu il dubbio se dirlo o meno a Marco Ferraro.





**Note dell'autrice**
Sì, i'm back! Lo giuro, Marco e Alessandra sono tornati!
Ora le cose si iniziano a movimentare, (Luca e Flaminia torneranno anche loro nel prossimo capitolo) prometto di essere più assidua.
Vi consiglio di rileggerla un po' (lo sto facendo pure io), così da ricordare che cosa diavolo sta succedendo.
Ne vedremo delle belle, questo Simone è un osso duro.
E voi che dite? Vi piace?
Marco Ferraro mi sa che ha una bella gatta da pelare!
A presto (lo giuro), fatemi sapere che ne pensate!❤️❤️❤️
Vostra siuri!

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 27, 2020 ⏰

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