Capitolo 2

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Le pareti della stanza erano completamente bianche, se non per quelle tracce di sangue che nessuno si era mai degnato di rimuovere. L'arredamento era più che spartano: una branda con coperte polverose e grigiastre era l'unico mobilio.

L'alternarsi del giorno e della notte era scandito dalle visite dei medici e degli ufficiali incaricati di seguire il suo caso. Era chiaro che lei sarebbe dovuta morire come qualsiasi altra persona presente durante l'incidente alla centrale e come loro avrebbe dovuto semplicemente lasciare quelle strisce magenta sui muri.

Eppure era sopravvissuta.

La febbre era scesa e la fame era in parte cessata.

Nessuno si azzardava a parlare con lei e nessuno si era mai scomodato a chiederle come stesse.

I medici le facevano prelievi di sangue, consultavano i propri appunti e se ne andavano in silenzio seguiti dallo sguardo vigile di un paio di soldati.

A volte rimaneva in quel silenzio bianco per ore. In quei momenti di assoluto nulla iniziava a contare i propri battiti del cuore o il lasso di tempo tra uno sfarfallio e l'altro della lampada al neon sopra il suo giaciglio.

Continuò a fare questo per giorni, finché una voce nella sua testa iniziò a parlare. Era la stessa voce che aveva udito quel giorno, mentre la incoraggiava a correre fino all'ultimo respiro.

Non ne fece parola con nessuno. Si diceva che era semplicemente impazzita e non poteva certo fidarsi di coloro che la tenevano prigioniera.

Un giorno la porta della propria stanza si aprì con forza e la donna riuscì finalmente a vedere per la prima volta il corridoio oltre quelle mura sporche, ma qualcuno occupava l'uscio.

Era vestito come lei: una maglia e dei pantaloni bianchi e asettici da ospedale.

Ma i suoi vestiti erano ormai completamente rossi, impregnati di sangue ancora fresco. Persino il viso era cremisi.

I suoi occhi vuoti vagarono per un attimo sulla sua figura, "Oh" esclamò, come se fosse sorpreso di vederla lì.

Nat aprì gli occhi di scatto e qualcosa di freddo e liquido iniziò a scorrere veloce sulla propria guancia.

Era da tanto tempo che non sognava più quei ricordi così vividi.

Si rigirò nel letto mettendosi supina e, asciugandosi la lacrima traditrice, guardò per un attimo la schiena di Eddie.

Inizialmente si era offerto di dormire sul divano, per evitare l'imbarazzo, ma dopo un paio di mesi avevano deciso diversamente.

Pensi che sia proprio lui?

I ricordi immediatamente successivi a  quello strano incontro erano confusi, come avvolti da una costante nebbia biancastra.

Non c'erano alternative. Poteva essere soltanto lui.

Ricordava vagamente che i dottori erano giunti di corsa, scossi psicologicamente dai numerosi cadaveri che avevano incontrato lungo la strada.

Lo avevano sedato con una dose da cavallo, convinti che sarebbero riusciti a controllarlo, come nuova arma segreta.

Persino lei si era convinta e il pensiero della sua esistenza non la aveva più sfiorata da quel giorno.

Forse perché era costantemente in fuga da quegli spettri che non la avevano ancora abbandonata.

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