Tredici

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4 mesi prima

Josh

Ormai era diventata un'abitudine sentire quelle voci. Erano ovunque. Volevo poter comunicare con loro, ma era come se la mia bocca non riuscisse a pronunciare delle parole. Bastava solo un segnale, magari avrebbero smesso di fare casino. Con il passare del tempo, le loro voci erano sempre più opprimenti.

«Non mi frega nulla! Dovete svegliarlo subito!», era impossibile dimenticare anche da morto quella voce. Lui è sempre stato al mio fianco.

«Robert devi calmarti. Si sveglierà e ritornerete di nuovo a giocare a football. Devi solo saper aspettare», colui che cerca di tranquillizzare il mio migliore amico è Peter. Per quale ragione sono tutti qui?

«Non me ne fotte nulla del football, vuoi capirlo? Giuro che li ammazzo con le mie mani a quei banditi!», sembra furioso, questo è molto grave, perché se perdesse le staffe potrebbe succedere di tutto.

«Sono stati tutti arrestati, hanno avuto ciò che meritavano. Ora rilassati e cerca di non farti vedere così da Mary, perché sono da giorni che non mangia e l'unica cosa che fa è piangere», sapere che mia madre sta così non fa che farmi sentire un verme. Dovrei abbracciarla e rassicurarla, ma non posso poiché qualcosa mi blocca e l'unica cosa che riesco a fare è sentire i loro lamenti, accompagnati da un terribile dolore, che sono sicuro che c'entri con me.

Le porte si chiudono, lasciandomi da solo. Sono in un posto sperduto, che ovviamente non riesco a vedere. Una mano molto morbida, si poggia sulla mia fronte. Sembra un contatto familiare, che si avvicina a quelli che mia madre mi dava da bambino, quando stavo male.

«Sei il figliolo che tutti vorrebbero avere. Tuo padre sarebbe orgoglioso di te», ho ragione. Lei è sempre la donna forte e premurosa di un tempo. Vuole starmi vicino, però sarebbe bello poter fare lo stesso. «Lui non voleva abbandonarti. Sai i primi anni ci mandava sempre delle lettere, poi non le ricevetti più e il mio cuore ne risentì. Gli avevo promesso di crescerti, con o senza di lui. Mi dispiace se non si è fatto più sentire. Spero che almeno io sia stata in grado di crescerti», le sue parole cessano a causa dei singhiozzi. Si fanno sempre più sentire. «Tesoro non piangere», credo che suo marito sia corso da lei, almeno qualcuno può fare ciò che desidero fare io in questo momento. «Peter, perché tutto questo alla nostra famiglia? Perché si stanno prendendo i nostri figli?», le domande di mia madre sono piene di rancore.

«Farò ciò che è possibile per sistemare le cose. Ritorneremo ad essere una fantastica famiglia. Te lo prometto», la promessa del mio patrigno sembra anche sincera. Mi sento in colpa a sapere che il loro dolore è provocato da me. Vorrei solo poter far qualcosa.

La porta viene di nuovo aperta, quindi sarà entrato qualcun altro.

«Vi ho portato dei caffè», sento che glieli porge, ma sapere che sia ancora qui ad aspettare qualche novità, mi riempie il cuore di gratitudine. «Hanno novità?», chiede, però loro non rispondo, quindi dal lungo silenzio, suppongo di no. «Mi sono scocciato! Questo non doveva succedere!», qualcuno si alza per avvicinarsi a lui.

«Cosa ti avevo detto prima? Andiamo tutti fuori, lasciamolo riposare», è Peter a prendere questa decisione, lasciandomi da solo in questo posto.

Perché non rimangono? Non voglio stare da solo. Non mi resta chiudere gli occhi e farmi annegare dall'oscurità. Ci provo, ma non succede. Sono ancora lì, continuo a sentire le loro voci.

«Josh ti supplico svegliati. Non puoi abbandonarmi. Ho bisogno di te, sei come un fratello per me. Ti giuro che al tuo risveglio la troveremo, ma ti scongiuro rimani». Non sono solo parole dettate al vento. Sono le parole dell'unico amico di cui mi sia mai importato. Quello che mi sconvolge sono i suoi singhiozzi. Robert non ha mai pianto in vita sua. Aveva tanti motivi per piangere, soprattutto da bambino voleva solo affetto, ma i suoi genitori non era presenti, eppure non ha mai mostrato una solo lacrima. Adesso è inevitabile non sentirlo, perché il suo pianto aumenta e mi stringe pure la mano. «Se te ne vai pure tu, che senso ha la mia vita? Cazzo sono solo come un cane!», vorrei dirgli che non è solo. Io sarò sempre con lui. «Sono solo un fallito. Oltre al football non so fare nient'altro», non è vero ha tante doti, che ha paura di mostrare agli altri, ma questo non significa che sia un fallito. «Non sono stato nemmeno capece di proteggerti», perché si sta facendo del male? «Merito di soffrire anch'io».

Non posso più sentirlo. Devo fermarlo. Provo a parlare, ma ancora una volta non succede nulla. Tranne le mie palpebre, quelle si sollevano e riesco a vederlo. È proprio davanti a me. I suoi capelli sono un pò più lunghi, i suoi occhi sono incorniciati da leggere occhiaie, come se non riuscisse a dormire da giorni. Per il resto è sempre lui.

«Oddio Josh! Sei qui?! Infermiera! Qualcuno venga!», urla, ma questa volta di gioia, infatti lo dimostra il suo sorriso. «Non ci credo!», continua ad essere euforico.

I medici si avvicinano a me, pronti per controllarmi. «Aspetta!», richiamo l'attenzione di Robert, che era pronto ad andarsene. «Lei dov'è?», il suo sguardo cambia. È dispiaciuto perciò che vuole dirmi.

«Non sappiamo dove sia» in che senso? È scomparsa? Vorrei dirgli altre domande, ma i medici lo portano via.

Questa volta sono vivo, ma dentro di me rimane solo una cosa:

il vuoto.

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