Trentadue

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"Stai diventando brava" sorrise Clelia, avvicinandosi ulteriormente.
Sentivo i suoi capelli solleticarmi il collo, mentre cercavo di concentrarmi sulle parole davanti ai miei occhi.

Mi sentivo una stupida ad allungare le parole quasi le stessi cantando, cercando di unire tra loro le lettere, una dopo l'altra. Ma Clelia ripeteva che non c'era nulla di cui vergognarsi, che ora dovevo imparare l'alfabeto, le pronunce, qualche regola e poi, un po' alla volta, la velocità sarebbe arrivata anch'essa e sarei riuscita a leggere una frase intera senza borbottare, né strascicare le vocali in quel modo.

Dovevo ammettere che era una persona estremamente paziente e gentile. Non mi aveva mai messo pressione, né rimproverata, tutt'altro.
Mi riempiva di lusinghe e complimenti, senza che essi però risultassero mai falsi.

Era capace di convincermi che ogni parola pronunciata dalle sue labbra fosse la più sincera possibile. Che credesse veramente ad ogni più minuscolo complimento che mi faceva.

Raggiunsi il punto e sollevai il viso dalle pagine, voltandomi verso di lei, seduta accanto a me.
"Sono un po' stanca" mormorai, sussultando per la vicinanza del suo viso al mio.

Avevo compreso ormai da qualche giorno il bisogno di Clelia di affetto e contatto fisico. All'inizio mi aveva spaventato e confuso.
Il suo starmi così vicina, le sue mani che sfioravano le mie ogni qualvolta fosse possibile, le sue dita che mi spostavano i capelli dietro le orecchie, mentre mi chinavo sul libro a leggere.

Ora, le sue carezze continuavano a mettermi a disagio, ma il più delle volte iniziavano a sembrarmi naturali, quasi come se lei fosse diventata per me una madre o una sorella.

Trascorrendo il mio tempo con lei, tentando di leggere o ascoltando i suoi racconti, o aiutandola a prepararsi per qualche appuntamento, iniziavo a dimenticare la lontananza della mia famiglia e, soprattutto, a dimenticare il Conte.

Ormai non lo vedevo da settimane e avevo smesso di contare i giorni, nella consapevolezza che il mese sarebbe finito a breve.
Non poteva mancare che qualche giorno, poi il Conte avrebbe dovuto scegliere e io temevo soltanto che portasse via Clelia da me.

Al castello mi ero sempre sentita sola, così sola da lasciarmi manipolare dal Conte e da lasciare che mi facesse credere di essere un mio alleato, di essermi vicino, quando in realtà avrei dovuto solamente stargli lontana.
Ma ora avevo Clelia, che mi rispettava molto più del dovuto, che mi insegnava qualcosa, che condivideva la sua vita con me e che mi permetteva di distrarmi da lui.

"Hai fatto grandi progressi" annunciò, chiudendomi il libro tra le mani, "e ti meriti una ricompensa."
Accennai un sorriso, confusa.
"Mi avete già fatto un grande regalo insegnandomi a leggere" risposi, appoggiando il libro sopra al letto, accanto a noi.

Clelia scrollò le spalle, prendendomi le mani tra le sue.
"Io mi fido di te, Eloise" continuò, sollevando le nostre mani tra di noi.
Il sorriso sulle sue labbra iniziava a preoccuparmi.
"E mi fido della tua opinione."

Deglutii a fatica, iniziando ad intuire dove il suo discorso stesse andando a parare.
"Il Conte Styles mi sta aspettando per una passeggiata e desidero la tua compagnia. Vorrei chiederti di trascorrere il pomeriggio con noi."

Strabuzzai gli occhi, liberandomi con rapidità della sua presa e mi alzai in piedi, indietreggiando appena.

Scossi il capo, sistemandomi i capelli, le mie mani che si muovevano da sole, scosse dalla preoccupazione.
"Non lo posso fare" mormorai, evitando il suo sguardo.

Non avrei mai potuto accettare, non potevo rivedere il Conte, non ora che stavo facendo progressi, che stavo iniziando ad allontanare la sua presenza tossica da me. 

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