Trentaquattro

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Clelia continuava a ridere in mezzo alla neve ed io iniziavo a non poterne più. Il Conte era molto più abile a fingere di quanto potessi immaginare e sospettavo ormai di essermi cacciata nei guai per l'ennesima volta.

Clelia aveva insistito perchè mi divertissi con loro ed io, per la prima volta, mi ero lasciata coinvolgere. Avevo tentato di provocare il Conte molto più di quanto mi fosse permesso in quanto donna ed in quanto semplice cameriera. E avevo atteso con speranza l'istante in cui avrebbe ceduto e si fosse mostrato a Clelia per quello che era in realtà: un uomo autoritario e spesso indecifrabile, incapace di sopportare anche solo il minimo affronto o una minima divergenza spontanea da ciò che lui credeva fosse giusto e dovesse accadere.

Eppure lui continuava a stare al gioco, non mi rivolgeva la parola, né tratteneva troppo a lungo lo sguardo nella mia direzione, ma mi permetteva di restare con loro, ignorava la mia sfacciataggine nell'aver accettato l'invito di Clelia e tutto questo per chi? Per la Contessina?

Era possibile che la sua presenza lo cambiasse così tanto, snaturasse la sua personalità così a fondo? Clelia stava effettivamente facendo qualcosa di buono per il Conte: lo stava rendendo più umano. 

Tuttavia ancora non mi risultava chiaro se fosse solamente una facciata che lui era tenuto a mantenere o se stesse davvero cambiando. Avevo bisogno di restare da sola con lui, di assicurarmi di avere ragione e di convincermi dell'impossibilità di redimere un uomo come lui. 

Sapevo che Clelia aveva avuto la strada spianata, che la sua statura sociale le aveva permesso comportamenti che per me non erano nemmeno immaginabili, eppure ad ogni sorriso del Conte, ad ogni palla di neve, ad ogni risata mi sentivo sempre più un totale fallimento. 

Il comportamento del Conte nei miei confronti non era e non sarebbe mai stato colpa mia, ma forse ero stata proprio io a far emergere i suoi lati peggiori. Forse il mio essere così sottomessa, il mio accettare le sue punizioni senza mai ribellarmi per davvero avevano contribuito ad accentuare le spigolosità del suo carattere e la sua smania di dominazione.

Continuavo ad avere paura di lui, a temere non solo le sue azioni, ma soprattutto i miei comportamenti in sua presenza. Eppure sentivo un bisogno viscerale di restare sola con lui, di parlargli.

Forse questi abiti lussuosi mi stavano dando alla testa. Non avrei mai potuto conversare con il Conte, nemmeno se Clelia fosse riuscita a stravolgere completamente la sua personalità.

Con me avrebbe continuato a comportarsi come sempre, come aveva fatto appena pochi minuti fa, accarezzandomi davanti agli occhi della donna che stava cercando di corteggiare, senza nemmeno il buongusto di accontentarsi di una donna alla volta. 

Era disgustoso, vile, maleducato. Cosa speravo di ottenere da un po' di tempo da soli? Una conversazione a senso unico e un paio di carezze spinte?

"Sarà meglio rientrare, prima che diventi buio."

Clelia era di fronte a me, un guanto zuppo d'acqua tra le mani, le punte delle dita violacee per il freddo. Il Conte le stava accanto, sfilandosi i guanti con precisione maniacale. Sollevò lo sguardo verso di me, puntandolo ferocemente nei miei occhi. 

Per una volta il suo sguardo non dava adito a fraintendimenti: il mio gioco era finito e lui non si era divertito nemmeno per un istante. Riportai gli occhi a terra, mordicchiando nervosamente il labbro inferiore.

Reagisci, Eloise. 

Era facile ripetersi di reagire, di alzare gli occhi dal sentiero e di affrontare il Conte, invece di sottomettermi per l'ennesima volta. Perchè era così difficile metterlo in atto?

"La Contessina ha perso un guanto nella neve." asserì, recuperando parola dopo parola il tono di voce che conoscevo. Clelia ridacchiò, cercando di allentare la tensione. La percepiva anche lei? 

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