Quarantasei

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Riaprii gli occhi con fatica, la fronte che mi faceva male ed un fischio acuto e costante nelle orecchie. Emisi un gemito soffocato, portandomi una mano alla fronte e sfiorando una ferita apparentemente superficiale poco sotto i capelli.

Osservai le dita coperte di sangue, rabbrividendo. Dove mi trovavo?

Il fianco mi faceva male e non ci misi molto a rendermi conto che il dolore era dovuto allo spigolo appuntino della seduta che mi spingeva contro la pelle. Cercai di alzarmi compiendo piccoli movimenti controllati, la testa che mi girava. 

Una volta seduta, cominciai a guardarmi attorno, ricordando rapidamente gli ultimi avvenimenti.

Il Conte era seduto al suo posto, la testa reclinata all'indietro ed il corpo immobile, quasi fosse svenuto. Mi voltai verso il posto della contessina accanto a me, senza però trovare nessuno. Il mio cuore iniziò ad accelerare il suo battito, le tempie che mi pulsavano. 

Mi allungai verso il Conte, tenendomi alle pareti della carrozza per non cadere, la ferita in testa che limitava ulteriormente il mio equilibrio.
Dove poteva trovarsi Clelia? Che fosse uscita? Che stesse cercando aiuto?

Mi voltai verso la porta chiusa della carrozza, indecisa se provare a raggiungerla ed aiutarla. Qualcuno sarebbe dovuto rimanere con il Conte però, caso mai si svegliasse. Clelia sarebbe tornata presto con un aiuto, sperai, cercando di ignorare possibili scenari peggiori.

Afferrai piano una spalla del Conte, provando a scuoterlo con delicatezza, senza ottenere risultati.
Provai a spostarmi accanto a lui, sollevandogli la testa da dietro, cercando ferite o lividi che spiegassero lo svenimento, ma non trovai nulla.

Lo spinsi ancora, questa volta con più forza. 
"Conte Styles." provai a chiamarlo, ora battendogli su una spalla, ora scuotendogli la testa. Nessuna risposta. Insistetti ancora per svariati minuti, spingendo, chiamando, alzando anche la voce, ma il Conte restava immobile, respirando appena.

Forse sarebbe stato meglio provare a cercare Clelia. Mi toccai la ferita, sperando di fermare per un istante i capogiri che mi impedivano di ragionare lucidamente, ma ottenendo il solo risultato di provare una fitta atroce di dolore e sporcarmi ulteriormente di sangue. Sfilai in fretta la pelliccia che mi aveva dato la contessina, nel timore di sporcarla e la adagiai sopra il cappotto del Conte, ancora abbandonato accanto a lui.

Cercai di ragionare, ricordando mia madre tamponare le ferite di mio padre e pulirle dal sangue. Sfilai un fazzoletto dal corpetto e lo spinsi, rabbrividendo di dolore, sulla ferita, cercando di fermare la fuoriuscita di sangue. 

Un pensiero mi attraversò e con le dita pulite andai rapidamente a cercare la lettera, nascosta dentro il corpetto. Il cuore mi si fermò nel petto.

Infilai entrambe le mani nella scollatura, non curandomi di come stessi sporcando di sangue la stoffa bianca, poi provai a cercare nella gonna, nella sottoveste. Tastavo convulsamente la stoffa, un desiderio febbrile di trovare la lettera che mi scuoteva, il terrore di averla persa che ormai mi soffocava. Mi sarei potuta spogliare ed esaminare i vestiti uno ad uno, non sarebbe cambiato nulla. 

La lettera non c'era.

Mi guardai rapidamente intorno: l'arrestarsi immediato della carrozza mi aveva spinta in avanti, la busta poteva essermi caduta nello sbalzo. Spostai frettolosamente la mia mantella e la giacca del Conte cercando sopra la seduta, dietro, nelle intercapedini e sotto i cuscini, senza però trovare nulla.

Mi inginocchiai a terra, aspettando qualche istante sul pavimento per recuperare l'equilibrio e cercai sotto le panche, spostando le gambe del Conte per permettermi di scrutare ogni angolo.

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