Trentanove

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Il Conte strinse le mie dita tra le sue, senza abbandonare il mio sguardo. 

Lo raggiunsi camminando piano, cercando di mantenere l'equilibrio. I pochi passi che ci separavano dalla finestra mi sembrarono infiniti, mentre cercavo di prendere una decisione, di capire che cosa fare. 

Le scuse del Conte mi avevano colta impreparata, ma di certo non sarebbero state sufficienti. Per quanto sapessi quanto fosse poco incline a scusarsi, non dovevo permettere che questo desse loro più valore di quanto ne meritassero realmente. Mi aveva fatto del male più volte, fisicamente e soprattutto mentalmente e un semplice "Mi dispiace" non sarebbe stato in grado di cancellare quello che mi aveva fatto.

Finora avevo usato due pesi e due misure con il Conte. Conoscendo, per quel poco che mi era permesso, il suo carattere, ero stata incline ad accettare di buon grado dei comportamenti che perpetrati da altri sarebbero stati di semplice umanità. 

Il fatto che si comportasse, per una volta, meno orribilmente del solito non significava che fosse cambiato o che meritasse il mio perdono. O anche solo che lo volesse in realtà. 

Purtroppo non avevo avuto altra scelta che seguirlo all'interno del palazzo, ma ero piuttosto convinta che il suo fosse solamente un altro tentativo di ricondurmi sotto il suo controllo.

Allungai l'altra mano verso gli uomini dentro la stanza e lasciai che mi aiutassero a scavalcare il cornicione e rientrare. Il Conte mi seguì subito dopo e con un gesto del capo congedò i due uomini che ci lasciarono soli, richiudendosi la porta alle spalle.

Li seguii con lo sguardo, prima di tornare a specchiarmi negli occhi del Conte. Aveva le guance e la punta del naso rosse a causa dell'aria fredda, lo sguardo confuso, il respiro quasi affannoso.

Si avvicinò di un passo e sollevò entrambe le braccia, circondando il mio corpo infreddolito e, senza darmi il tempo di rendermene conto, mi strinse a sé. 
"Mi dispiace." lo sentii ripetere, il viso nascosto tra i miei capelli.

Mi diedi un istante. Volevo allontanarmi, sapevo di doverlo fare, ma avevo bisogno di un momento così. Di un istante di silenzio, dissociato da tutto quello che mi stava succedendo, in cui io non ero Eloise e lui non era il Conte Styles, ma eravamo semplicemente due persone che avevano bisogno di conforto e che lo cercavano l'una nell'altra.

Non sapevo quale conforto potesse mai lui necessitare, ma sapevo che ne aveva bisogno. Certamente non quanto me, però. Chiusi gli occhi, prendendo un respiro profondo contro la giacca del Conte e quando li riaprii mi decisi ad allontanarmi, liberandomi dal suo abbraccio.

"Non farò finta di niente." annunciai, indietreggiando di un altro passo. Il Conte annuì piano, stringendo i denti.

"Non ti ho chiesto di farlo." rispose pacatamente. "E non mi aspetto che tu creda alle mie parole, Eloise." Sollevò una mano, cercando nuovamente di sfiorare una delle mie, ma questa volta non glielo lasciai fare. 

Sollevò le labbra in un mezzo sorriso malinconico, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi.
"Mi dispiace davvero, Eloise. Mi dispiace di non averti detto nulla, di averti fatto attraversare il bosco di notte, di averti tenuta rinchiusa."

Incrociai le braccia davanti al petto, cercando di riscaldarmi. 
"Non ho bisogno di credere alle vostre parole." spiegai, "So per certo che non comprendete nemmeno che cosa significhi dispiacersi." 

"Mi dispiace davvero." lo sentii ripetere. Scossi il capo, sopportando a fatica l'ennesima ripetizione.

"Questo vostro continuo ripeterlo non convince nemmeno voi." continuai, "Se non avessi tentato di scappare, cosa sarebbe successo?"

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