Sentivo le urla, dei pianti, le sirene di qualche autoambulanza, dei passi veloci, svelti, scaltri. Non avevo ancora aperto gli occhi, non ci riuscivo, ero stordita, confusa, ma ricordavo.
*FLASHBACK*
George: "Andiamo al mare?"
Io: "Ma mia zia non saprà nulla no? Lo sai che se sa qualcosa smette di farmi uscire da casa!"
George: "No no, tranquilla. Lo sai che per te mantengo come sempre i segreti no? Le inventeremo qualcosa.." mi disse con aria convinta.
Io: "Adesso chiamo pure Mary, David, e chiedo se hanno voglia di venire con noi. "
*CHIAMATA*
Mary: "Pronto?"
Io: "Ciao Mary, io e mio cugino George stavamo andando al mare, tu e David avete da fare?"
Mary: "Ma sono le quattro del mattino! Io e David non siamo insieme, lui a casa sua e io a casa mia non credi? Ahaha! Comunque, adesso provo a chiamarlo, ma so già che dirà di sì. Quindi appena sei pronta, passa da casa mia! A dopo cinderella!" dice staccando la chiamata.
Mezzora dopo arrivammo sotto casa sua, aspettavamo in macchina, con la musica già forte.
Io: "Ragazzi! Svelti salite in macchina!"
Appena salirono, cominciammo ad andare verso il mare. Era ancora buio il cielo, si potevano vedere anche poche stelle, la strada era deserta, e noi tranquilli.
Ad un certo punto, si intravede un piccolo camion da lontano nell'altra corsia, di fronte, poi nella stessa corsia in cui eravamo noi. Che stava facendo? Mi chiesi. Non sapevamo cosa fare, Mary era spaventatissima, David preoccupato, George cercava un idea prima che quel camion ci si schiantasse addosso. Si avvicinava, era troppo vicino, Mary urlava e piangeva, David la teneva stretta a se, io ero muta, con gli occhi spalancati, non riuscivo a parlare, avevo paura. Chiudo gli occhi, sento lo sforzo dell'auto girare per schivare il colpo, poi solo silenzio, e tutto si blocca.
*FINE DEL FLASHBACK*
Apro gli occhi, vedo mia zia, i miei cugini, e alcuni amici che piangono. Io cerco con lo sguardo disperatamente George, Mary e David, ma non li vedo. Non posso muovere il braccio e la gamba sinistra, non ho voce, non posso quasi muovere tutto il corpo. Sono spaventata più per gli altri che per me. Sono sdraiata a terra, un medico mi sta controllando. Da qui riesco soltanto a vedere i resti dell'auto e del camion ribaltato. Vedo i genitori degli altri, piangono, ed io mi sento quasi in colpa.
Medico: "Come ti senti? Hai dolore? Riesci a parlare?"
Feci sì con la testa, ma non riuscì ancora a parlare. Mi misero su una barella, e mi entrarono nell'autoambulanza.
Il tragitto fin l'ospedale fu silenzioso, c'erano mia zia e un infermiera con me, entrambe guardavano altrove. Ero ancora spaventata, mi chiedevo ripetutamente che fine avessero fatto gli altri, e che fine avrei fatto io.
Mi portano a fare varie visite, cominciai ad urlare dal dolore ogni volta che mi toccavano il braccio o la gamba, mi fecero un anestesia, e ore dopo mi ritrovai in stanza, in ospedale. Sentivo la voce di mia zia, sicuramente stava parlando al telefono con uno dei miei cugini, ma non la disturbai. Avevo troppa paura di ció che mi avrebbe detto, dei suoi rimproveri, della sua preoccupazione, del fatto che avevamo deciso di andare al mare in mattinata, senza dirle niente. E oltre questo, pensavo a cosa mi avrebbe detto degli altri. Erano morti? Si erano salvati? Il solo pensiero mi fece rabbrividire e scendere una lacrima che mi rigó il viso. Poco dopo aprì gli occhi, dovevo, per forza, non potevo fingere di dormire tutto il tempo. Come pensavo, mia zia cominció con la predica, e ne aveva la più totale ragione. Per mia fortuna, una bella notizia, mi corse all orecchio dal corridoio; la madre di Mary, urlava al telefono che tutti stavano bene, erano vivi, ma anche essi con qualche frattura. Una piccola luce mi si illuminó in cuore, e sorrisi piangendo.
David: "Jessica! Stai messa male eh!" disse sorridendo ed entrando in stanza.
Io: "David! Che bello rivederti! Ah sicuramente sto peggio di te!" mi guardai incredula. Non mi ero ancora accorta dei miei due gessi, e del mio collo bloccato dal collare. "E Mary? L'hai vista?"
David: "Si si, sta bene. Lei é stata l'unica a non essersi fatta nulla. Solo qualche graffio e qualche livido. Sua madre é arrabbiata con me per averle permesso di venire con noi, e sì, ce l'ha anche con te."
Bene, pensai. Ero pronta a difendere lei e me stessa da qualsiasi rimprovero, pur sapendo di aver torto. Mary era la mia migliore amica, i suoi 17 anni erano la metà di quelli che lei dimostrava; mi era stata accanto quando la mia famiglia si divise, e quando mi venne la fantastica idea di scappare senza un soldo e senza qualcuno, chissà dove. Era la mia ancora, dividermi da lei per quei due mesi estivi, fu straziante.
Per tanto, lei rimaneva la migliore.
David, invece, era il suo ragazzo. Lo amava sin da quando erano insieme alle scuole elementari, amore nato, poi, in primo superiore. Erano pazzi l'uno dell'altra, ed era bello vedere quanto si volevano bene. George, era mio cugino fidato, 34 anni, ma pur sempre ragazzino. Teneva i miei segreti, o le mie sigarette.
Comunque, andando al sodo, dopo una settimana, ci mandarono a casa. Per fortuna, le nostre vite, continuarono come sempre. I nostri famigliari non ci impedirono di stare insieme, e noi ci vedavamo ogni giorno. Quando ci rimettemmo in sesto, Gioel, il cugino di Mary, ci portó a mangiare una pizza al ristorante. La sera ci preparammo, e lui ci venne a prendere. Quando entrammo al ristorante, il passaggio era diviso dalla cucina, e poco prima di passare da lì, si apri la porta. Un vassoio cadde a terra e pure il suo cappello, un ragazzo, direi uno dei cuochi di lì, inciampò e fece dei suoi piatti, una frittata mista. Lo guardai, era carino. I suoi occhi castani si intonavano con la sua pelle chiara, e un piccolo ciuffo marrone, sporgeva dal grande cappello da cuoco bianco. Il suo naso era grande e perfetto, e la sua statura era molto alta.
X: "Scusa!" mi disse premuroso.
Io: "No, non preoccuparti. Non fa nulla."
X: "Tieni." mi porse un tovagliolo di stoffa bianco che teneva in tasca. Ancora pulito e piegato. "Così almeno puoi pulirti le scarpe." mi fece notare. Gli sorrisi, e gli porsi il vassoio da terra.
Mary: "Jessiii! Vieni!"
X: "Quindi ti chiami Jessi? Piacere."
Io: "Jessica, per l'esattezza. Piacere mio, ora devo andare. Grazie per il tovagliolo eh!" gli sorrisi di nuovo e lui ricambió. Mi avviai verso il tavolo scelto da Gioel, e mi sedetti con loro. Ordinammo le pizze e non appena finimmo, ci avviammo verso l'uscita. Lui era ancora lì, guardava il suo orologio argentato e blu, nascosto dalla divisa. Gli volsi un lieve sorriso e gli chiesi: "Scusami chef, il tuo nome non lo so ancora peró."
X: "Lo saprai presto. Ciao." fece cenno con la mano e sorrise.
Facemmo una passeggiata e poi tornammo a casa.
FINE CAPITOLO.
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La mia salvezza.
RomanceDopo i suoi anni difficili, l'incidente, e la famiglia ormai quasi separata, Jessica, incontra la sua possibile salvezza, di una vita. Il suo modo di vivere cambia radicalmente, e pian piano, scopre cosa sia veramente l'amore, che poi, porterà con s...