4. Cambio di programma.

211 12 1
                                    

Avevo lasciato che Marck mi riaccompagnasse a casa. Ma senza fini. Gli dissi 'ciao' e rientrai senza voltarmi.

Passò una settimana, e in quell arco di tempo non vidi né sentii per niente Matthew. Perché lo pensavo? Era strano. Io ero strana, e mi ci sentivo fino al collo. Mi capitava di pensarlo spesso durante quei giorni.

*Squillò il cellulare*

Io: "Si?"

Marck: "Ciao Jessica!"

Io: "Marck? Stavolta cos'hai fatto per trovare il mio numero di cellulare? Una ricerca con l'FBI?"

Scoppiò a ridere.

Marck: "No, sciocca. L'ho cercato tra le impostazioni del tuo cellulare quando hai dimenticato la borsa al parco."

Io: "Ti metti a frugare i telefoni di persone che non conosci? Direi molto affidabile."

Marck: "Dimmi che adesso ti sto veramente sulle palle, ti prego. Diventi più carina quando ti infastidisco."

Avevo sentito bene o era frutto della mia immaginazione? Aveva detto 'carina' o sbaglio? No, mi sa proprio di no.

Io: "Che vuoi Marck? Perché mi hai chiamata?"

Marck: "Ti va di andare a mangiare un gelato, stasera?"

Sì, non mi stava molto simpatico, lo ammetto. Ma perché dirgli di no? I miei amici erano come scomparsi. Ci pensai un po' su e poi risposi: "Va bene."

Marck: "Davvero? Fantastico allora! Alle otto verró a prenderti. A stasera."

Io: "D'accordo. A stasera. Ciao."

Quel pomeriggio ero un po' stanca, così decisi che prima di uscire, avrei dormito un po'.

*INCUBO*

Io: "Papà, ti prego. Lasciami andare. Mi fai male! Ahi, basta ti prego!" gli urlavo contro ma lui non mi dava retta. La forza dell'alcol era superiore a quella mentale. Le sue mani erano pesanti, mi lasciavano il segno ovunque. Io piangevo, e le mie lacrime non facevano minimamente effetto su di lui. Ero stanca, stordita, ogni volta che mi sfioravo il naso, le mie mani si riempivano di sangue. Era crudele vivere in quel modo. Ogni volta era la stessa; dovevo prepararmi alle stesse mani e agli stessi piedi che mi riempivano di pugni e calci. Ne avevo il terrore ormai, ma anche l'abitudine. Poi, quando smettevo di urlare, perché ormai il dolore non era nient'altro che sopportazione e rumore, lui si fermava. Come se non avesse più un motivo per picchiarmi, come se senza le mie urla, non provasse più soddisfazione nel farlo.

*FINE DELL'INCUBO*

Ogni volta, dopo aver fatto uno dei miei soliti incubi, mi risvegliavo con le lacrime agli occhi. Era orribile sopportare anche i ricordi. Facevano ancora male.

Si fecero le 18:45, così decisi di iniziare a prepararmi.

Mia zia fortunatamente non era in casa, altrimenti avrebbe fatto mille domande insensate, ed io avrei cambiato idea.

Alle 20:00 puntuale, Marck suonó al campanello. Il suo look non era niente di che, ma nemmeno il mio. Indossavo la mia gonna preferita; era lunga fino ai piedi, il colore era un verde petrolio, l'amavo.

Una canotta nera abinava con la gonna, e un paio di sandali. Semplice, a mio parere. Lui invece aveva una camicia a quadretti azzurra, e un paio di jeans. In poche parole, io e lui, non c'entravamo un cazzo. Ma va bene. Chiusi la porta e cominciai a camminare.

Marck: "Ma dove vai?"

Io: "Non lo so nemmeno io. Dove dovrei andare?"

Marck: "Ho la macchina parcheggiata proprio lì." indicò con l'indice una BMW nera.

La mia salvezza.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora