Quella mattina, era fredda. Erano le 05:00. Il sole stava rinascendo, i rumori di Londra ancora non c'erano, o almeno io non li sentivo. L'unico movimento che potevo notare, era quello del fumo della mia sigaretta. Ero in veranda, sola. Come al solito i miei incubi non lasciavano spazio ai miei sogni, e tantomeno al mio sonno. I miei 17 anni, a breve si sarebbero trasformati in 18, mancava solo un mese. I miei genitori non c'erano. Separati da anni, ognuno viveva in due parti diverse dello stesso paese. Italiani, mia madre Siciliana, e mio padre Napoletano. Mia sorella, stava con mia madre, due anni più piccola di me. Mi mancavano, ma allo stesso tempo li odiavo. Erano quattro anni che non ci sentivamo o vedavamo, nessuno ne aveva l'interesse, o il coraggio. Io abitavo con mia zia, persona con cui, non andavo molto d'accordo. Era troppo pesante, dava sempre ordini, ed io, purtroppo, facevo qualsiasi cosa pur di avere un tetto, anche a costo di andare dall'altra parte della città, per comprarle solo un paio di sandali. C'era una ragione se non stavo più con i miei; Mio padre era un alcolizzato, mia madre una donna depressa. Io ero stanca, stanca di subire e vedere certe cose. Così, su richiesta di mia zia, decisi di partire ed andare via da lì. Qui, per fortuna, conobbi mio cugino George, Mary e David. In quattro anni mi hanno aiutata tantissimo, ed io, ne andavo fiera.
La luce della cucina si accese, io gettai la sigaretta dalla veranda che sporgeva sulla strada principale.
Zia Cecilia: "Che ci fai qui a quest'ora?
Io: "Non riuscivo a prendere sonno zia."
Zia Cecilia: "I tuoi soliti incubi, eh?"
Io: "Già." sospirai. "Porteró Tobby a fare una passeggiata."
Zia Cecilia: "Ecco brava. É una notte che non fa altro che abbaiare." sbuffò. "Devi passare dalla signora Angelinah. Devi darle una cosa."
Annuii e andai in camera. Decisi di farmi una doccia e poi uscire col cane, così, tolsi i vestiti ed entrai in doccia. L'acqua scorreva veloce, era come se mi lavassi dai pensieri, dalle brutte esperienze. Come se dimenticassi, solo per quell'istante, chi ero.
Appena finii, mi vestii. Presi il biglietto sul tavolo in cucina, la torta che avrei dovuto portare alla signora Angelinah, e uscii. Stranamente, l'aria non cambiava, rimase fredda tutto il tempo, e qualche nuvola grigia decise di occupare il cielo.
Tobby era tranquillo, il suo scodinzolare in presenza di altri cani per le strade, era buffo. Il mare che guardavo dal grande ponte, era calmo, limpido, sembrava quasi disegnato, un quadro, per l'esattezza.
Ero di nuovo immersa e sommersa nei miei pensieri, di nuovo quei pensieri che non mi lasciavano andare. Nemmeno una lunga passeggiata fino al centro riuscì a scrollarmeli di dosso. Presi la strada per andare a casa della signora Angelinah, lasciai a lei la torta e ripartii per il centro. Mi ricordai di avere il bigliettino che zia Cecilia mi lasciò sul tavolino, così lo aprii. 'Vai al supermercato, compra questo e quell'altro' come al suo solito. Allora andai al supermercato più vicino. Cercai tra gli alimenti, ma non trovai tutto quello che mi serviva, quando camminando sentii una voce famigliare. Era la cameriera del Best Day, quella che entrò in cucina quando andai ad aiutare Matthew. Stava parlando al telefono, aveva una voce bassa, e ogni tanto rideva così forte da far girare le persone che vi erano presenti. Poi lei mi vide.
X: "Ciao scolaretta!" disse guardandomi.
Io: "Jessica, grazie."
X: "Oh scusa, ti sei offesa? Non volevo. Piacere Natasha!" fece un finto sorriso. Si vedeva che non le stavo molto a cuore. "Tu sei una delle amichette di Metthew, giusto?"
Una delle amichette di Matthew? Che voleva dire? Io: "No. Non sono sua amica. L'ho conosciuto l'altro giorno e al massimo so il suo nome ed il cognome. Quindi no, non sono sua amica."
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La mia salvezza.
RomanceDopo i suoi anni difficili, l'incidente, e la famiglia ormai quasi separata, Jessica, incontra la sua possibile salvezza, di una vita. Il suo modo di vivere cambia radicalmente, e pian piano, scopre cosa sia veramente l'amore, che poi, porterà con s...