6. La chiamata in-aspettata.

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Era passato un giorno, un giorno da quando l'avevo visto, lì, in quella cucina, tutto imbrattato di salsa e olio.

Lui ad esempio, non mi ispirava antipatia. Cioè, mi spiego meglio, s'é capito che mi piace, e va bene così. Il fatto é che era un tipo semplice, o almeno io lo credevo così. Non aveva magliette che attiravano l'attenzione, o jeans strappati, o muscoli che trasparivano sotto la canottiera. No, lui non era così. Lui vestiva nel modo più semplice in cui una qualunque persona si potesse vestire, ed era bello sapere che se vedeva la moda di quel periodo, lui preferiva sempre una maglietta nera, senza scritte, senza disegni. Un paio di jeans la maggior parte scuri, senza tasche superflue, senza cinture appariscenti, nere, semmai. Era diverso, almeno all'apparenza. Mi piaceva, avevo trovato davanti ai miei occhi, una persona unica nel suo genere, nel suo stile. L'unica cosa che mi restava scoprire, era chi fosse lui nella vita di tutti i giorni. Non avevamo mai avuto l'opportunità, in quelle pochissime volte, di approfondire qualche discorso intimo, famigliare, ecc..

Questa era un'altra delle cose belle che aveva; La riservatezza. Cioé, non era come quel cretino di Marck, quello non faceva altro che parlare di se stesso, dei modi in cui spendeva i soldi, come fossero aria. In una mezza sera, mi ha raccontato la storia dei suoi 22 anni. Che palle, pensai. Quando poi sai tutto, subito di una persona, che ti resta? Nulla. Poi ti stanchi. Devi tenerteli per un po' certi segreti, devi rimuginarteli nello stomaco, quelli più profondi, quelli che dirai soltanto quando sentirai il momento giusto. Che poi, di momenti giusti, non ce ne sono mai. Invece con lui, ero sicura che sarebbe stato diverso. Cazzo, pensavo ste cose, parlando di una persona che conoscevo appena, ma capita a volte di trovarvi davanti persone che credete di conoscerle da sempre, no? Capita. Con lui era capitato, così.

Eppure lo pensavo. Ce li avevo in testa quei suoi occhi castani. Grandi, vispi.

Sembrò telepatia, il telefono squilló ed era lui. Aspettavo ansiosa che mi chiamasse, ed eccola là, la chiamata attesa.

Io: "Metthew!" dissi sorridendo.

Matthew: "Jessi, scusa se ti disturbo. Hai da fare?"

Io: "Non disturbi affatto. No, non ho nulla da fare."

Matthew: "Ti va di andare a mangiare una pizza? Se non hai impegni ovviamente. Ah, e se non hai già cenato."

Io: "No, non ho ancora cenato. E certo che mi va." mentii. Erano le sette, e solitamente cenavamo a quell'ora con mia zia Cecilia. 'Ma che m'importa' pensai. Mi ha invitata, ed io accetto. In fondo, adoro la pizza!

Metthew: "Benissimo. Dove ci incontriamo?"

Io: "In piazza. Ti va bene?"

Matthew: "Certo! Tra un'ora sono là!"

Un'ora. Un'ora. Un'ora. L'ho ripetuto minimo trenta volte 'un'ora.'

Dovevo fare in fretta, dovevo andare a farmi una doccia, scegliere cosa mettere, piastrare i capelli, mettere un po' di mascara, tanto per non sembrare la solita zombie. Tutto di corsa, ma ci riuscii. Indossai un vestitino verde scuro con dei fiori, era corto, quindi di sotto, misi i leggins neri. Per coprire le 'non maniche' aggiunsi anche un cardigan nero. Un paio di ballerine si abbinavano perfettamente con entrambi l'indumenti. Ero nervosa. La piastra non serviva a niente, quel mese di ottobre era piuttosto umido, e i capelli s'arricciavano comunque. Lasciai perdere, trovai il modo per non farli sembrare troppo gonfi, e li sistemai con dei ferrettini.

Mi guardai allo specchio, mi era sembrato di aver messo troppe cose diverse fra loro, ma l'abbinamento non era poi così male.

Uscii di casa, mia zia non mi aveva nemmeno sentita uscire, va bene che tanto non le importava.

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