Finalmente l’intervallo, Luke e Clary non avevano aspettato altro per tutta la durata di quelle tre interminabili ore di lezione. Parlavano come al solito del più e del meno nell’atrio, davanti ai loro armadietti, sentivano gli schiamazzi dei giocatori di basket, le voci da oche delle cheerleaders, i sussurri dei primini che, come ogni anno, rischiavano sempre di perdersi in quell’enorme edificio e sussurravano tra loro se dovessero andare da questa o da quella parte. E poi, tutto d’un tratto il silenzio più totale, le persone che si schiacciavano ai lati del corridoio, i ragazzini di prima che non capivano cosa stesse succedendo e andavano avanti a sussurrare mentre si spostavano sui lati come gli altri, tutto quello che si sentiva erano dei passi e i sussurri di quelle pettegole delle cheerleaders. Come ogni anno, come ogni primo giorno di scuola, era arrivato il ragazzo misterioso, il ragazzo dai capelli di mille colori: Michael Gordon Clifford, diciotto anni, bocciato in prima, frequentava il quarto anno di superiori. Clary era disgustata dalle altre persone che, ogni volta che lo vedevano, lo evitavano, come se avesse avuto qualche strana malattia contagiosa; e Luke era d’accordo con lei, non era giusto che quel povero ragazzo venisse schifato da tutti solo per delle dicerie. Ma a loro non importava nulla di quel ragazzo, così, mentre nel corridoio tornava gradualmente il solito rumore, loro si precipitavano fuori. Vennero bloccati da una ragazza del primo anno che, con la sguardo totalmente perso e implorante, aveva chiesto a Clary dove si trovasse l’aula di trigonometria. Dopo le spiegazioni della diciassettenne, la ragazzina stava per ringraziarla, ma iniziò a balbettare, bloccata dal sorriso di Luke. Il ragazzo arrossì notando che la primina lo stava fissando quasi a bocca aperta, con lo sguardo estasiato. Il giovane Hemmings notò anche che la sua amica passava lo sguardo dalla matricola a lui, poi lo prese per il polso e lo trascinò fuori, sotto la tettoia. La ragazza si prese la sigaretta tra le labbra e l’accese.
«Mio caro Hemmings, dovresti smetterla di fare così, fai sempre lo stesso effetto alle matricole che appena sorridi iniziano a boccheggiare.» disse imitando la ragazzina di prima, per poi scoppiare a ridere. Luke proseguì con la risata, ma si bloccò tutt’un tratto, fissando un punto preciso. Clary si voltò e vide un professore. «Cazzo!» esclamò a denti stretti, per poi mettersi la sigaretta tra le labbra e trascinare di nuovo l’amico per un polso. Arrivarono dietro l’edificio e, seduto s’un gradino a finire la sua sigaretta, videro proprio Michael. Luke e Clary si guardarono dritti negli occhi, come per leggersi nel pensiero un’altra volta. Ovviamente si capirono al volo e si palesarono davanti al ragazzo, il quale li guardò interrogativo.
«Hai… hai una sigaretta?» chiese Luke, trovando una scusa. Clifford si alzò leggermente in piedi per prendere il pacchetto, che nascondeva nella tasca posteriore dei pantaloni verdi, e lo porse al biondo. Clary, che nel frattempo aveva finito la sigaretta e l’aveva spenta a terra senza farsi vedere da nessuno, lanciò al suo migliore amico l’accendino, che l’afferrò al volo. Luke si accese quella sigaretta e porgendo la mano al castano, disse «Luke Hemmings, piacere, lei è Clary, Clary Cooks.» la ragazza sorrise. Michael non strinse la mano di Luke, né ricambiò il sorriso di Clary.
«So perfettamente chi siete. Che volete?» disse senza nemmeno guardarli. Clary si fermò a pensare, effettivamente cosa volevano da lui? Perché erano andati da lui? Era come se provenissero da due mondi diversi: Luke e Clary erano bravi ragazzi, mentre di Clifford non si sapeva nulla, se non che fumasse erba e non frequentasse buone compagnie. La ragazza abbassò lo sguardo. Anche Luke nel frattempo si mise a riflettere: erano andati lì, da lui, d’impulso, l’avevano visto solo, ma non c’era un vero perché. «Allora?» la voce del castano interruppe i loro pensieri. Entrambi i ragazzi si misero a balbettare, borbottando qualcosa d’incomprensibile. Fortunatamente la campanella che annunciava la fine dell’intervallo li salvò. Si voltarono e corsero via, cercando di raggiungere i loro armadietti il più velocemente possibile, altrimenti avrebbero fatto tardi alla lezione, non si ricordavano nemmeno di quale materia. Arrivati si piegarono a metà per riprendere fiato e scoppiarono a ridere.
«Luke, ma perché siamo andati da Clifford prima?» domandò Clary, mentre si dirigevano alla lezione di storia della musica. Il ragazzo si mise a pensare, mettendosi una mano sulla nuca facendo una buffa smorfia interrogativa con la bocca, alla quale la ragazza sorrise. Erano ormai giunti davanti alla porta dell’aula, così il giovane Hemmings l’aprì facendo passare prima la ragazza. Per loro fortuna il professore entrò subito dopo che si furono seduti. Per tutta quell’ora il biondo rimase a pensare perché, durante l’intervallo, si fossero palesati davanti al ragazzo più strano della scuola; rimase completamente distratto e non ascoltò una parola di quello che il professor Carter stesse dicendo; per sua fortuna Clary aveva annotato ogni parola uscita dalla bocca di quell’uomo. E Luke rimuginò su quell’azione per tutta la durata delle successive tre ore. Usciti dall’edificio, mentre si dirigevano verso la stazione, la ragazza bloccò il suo amico che stava per infilarsi le cuffie e isolarsi. Era una cosa che Luke odiava, ma se lei non l’avesse fatto non avrebbe mai ricevuto la risposta alla domanda che gli stava per porgere. Il biondo si voltò verso di lei e la fulminò con uno sguardo omicida.
«Hemmo, eri distratto nelle ore dopo l’intervallo, sembravi perso nel tuo mondo. A che pensavi? Non è da te.» disse seria. Lui si fermò cercando di trovare una scusa, non poteva dirle che aveva ripensato per tutto il tempo a quello che avevano fatto durante l’intervallo. Non poteva certo dirle che aveva rischiato che la sua piccolina s’infilasse in guai seri, non poteva certo dirle che aveva fatto in modo che si avvicinassero ad un possibile pericolo. Non poteva certo dirle che non aveva svolto bene il suo ruolo di migliore amico, non poteva mica dirle che non l’aveva protetta. Stava iniziando a farsi influenzare anche lui da quelle voci che giravano sul ragazzo dai capelli di mille colori. «Luke? Hey? Terra chiama Lukelandia!» la mano della ragazza che si agitava davanti alla sua faccia e la voce della stessa lo riportarono coi piedi per terra.
«Scusa, dicevi…?» disse scuotendo la testa e abbassando lo sguardo. Come poteva spiegarle tutto ciò? No, non poteva e basta. Lei non doveva sapere che lui aveva deciso di prendersi questa responsabilità, non doveva sapere che lui aveva deciso di proteggerla dalle persone come Michael Clifford, quelle persone che avrebbero potuto farle del male.
«Luke cazzo! Si può sapere che hai? Continui a distrarti! Dimmi che sta succedendo!» sbottò la ragazza. Si era fatto beccare perso nei pensieri e ora la pagava. Clary si era preoccupata e non avrebbe smesso di esserlo finche lui non l’avrebbe rassicurata. Aveva deciso che avrebbe optato per un “niente” secco e semplice, ma ora che la sua migliore amica era andata in ansia non sarebbe bastato.
«Ma è tardissimo! Scusami devo scappare, rischio di perdere il treno altrimenti!» cercò di sviare Luke, perciò l’abbracciò, nonostante lei fosse contrariata e cercasse di respingerlo, e le lasciò un bacio sulla testa. Così si mise a correre verso la stazione senza voltarsi indietro, si mise le cuffie e appena salito sul treno tirò un sospiro di sollievo. Era riuscito ad evitare quella conversazione, almeno finche non fosse arrivato a casa e avesse ricevuto la fatidica chiamata di Clary in cui gli avrebbe chiesto tutto per filo e per segno, senza accettare un «Non stavo pensando a niente, tranquilla. Ero solo stanco perché non sono più abituato ad alzarmi presto la mattina.» e una risata come risposta. Ma almeno aveva un po’ di tempo in più per pensare a una scusa credibile da usare, cosa che avrebbe fatto per tutta la durata di quel viaggio in treno. Gli vennero in mente diverse opzioni, ma nessuna di esse sarebbe risultata credibile agli occhi della sua migliore amica, che lo conosceva meglio di sé stessa. Avrebbe dovuto trovare una scusa veramente buona e avrebbe dovuto dirla in una maniera davvero convincente per far in modo che lei gli credesse. Non ne trovò nessuna, per sua sfortuna. Arrivato a casa ricevette la tanto inattesa chiamata.
«Andiamo Hemmings! Sono la tua migliore amica da tempi indefinibili, dimmi a cosa pensavi!» disse con insistenza e curiosità la ragazza al telefono, dopo vari tentativi del ragazzo di sorvolare quell’argomento; e la risposta fu un altro dei tanti. «Non dirmi che pensavi al perché siamo andati da Clifford all’intervallo!» esclamò quindi. Beccato con le mani nel sacco; il giovane Hemmings non rispose. «Luke, stavo scherzando, non era importante. Rasserenati ora, dai!» cercò di rassicurarlo. Perché era così: non le interessava davvero saperlo, era un’azione fatta d’impulso, nulla d’importante. Perciò si salutarono e chiusero la chiamata. Il biondo tirò così un sospiro di sollievo e si lanciò sul letto, in attesa che sua madre gli annunciasse che il pranzo era pronto.
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She Hasn't Been Caught // Michael Clifford
Teen FictionLe amicizie sbagliate possono far finire in strane cerchie, ma se non fosse solo un’amicizia? Se finalmente avessero trovato il pezzo mancante che li completa? Per amore ci si può far trascinare in situazioni che mai si vorrebbero affrontare? Una...