Flied Away

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Partenza Sydney, arrivo Londra. Sul suo biglietto c’era scritto questo. Clary non si sentiva pronta neanche un po’. Lasciare tutti i suoi amici lì, no, non era parte dei suoi piani, non lo era mai stato. Ogni anno si chiedeva se li avrebbe rivisti l’anno successivo. Sì, si erano scambiati i numeri di telefono, avrebbero continuato a sentirsi, fino a che non si sarebbero rivisti, l’estate successiva.

L’intera compagnia si comportò come se quella fosse stata una mattina normale, come le altre: verso le 6.00 si sarebbero ritrovati al molo, tutti un po’ assonati, sarebbero andati insieme a fare colazione e poi sarebbero andati in spiaggia, finché c’erano poche persone avrebbero fatto surf e quando invece avrebbe iniziato a popolarsi si sarebbero rifugiati sulla scogliera. Era tradizione fare un tuffo dall’alto di quella roccia, come un saluto a chi partiva, un arrivederci che era solo loro, solo di quegli amici. E così fecero, anche quella triste mattina di settembre. Verso le 10.00, quando il loro rituale era terminato, andarono tutti a casa a farsi una doccia e poi si sarebbero ritrovati il pomeriggio, per accompagnare Clary all’aeroporto.

Si salutarono all’ingresso del gate, erano stati tutto il tempo con lei, a cercare di farla rilassare e ridere, ma ogni anno questo era sempre più inutile, erano tutti sempre più tristi. Quando avrebbe finito le superiori si sarebbe trasferita definitivamente a Sydney, da suo padre. Abbracciò tutti, allacciò la zip della felpa, prese la sua tracolla e avviandosi verso l’imbarco si tirò su il cappuccio. Era tornata la Clary londinese, quella con il cappuccio sempre alzato e le cuffie nelle orecchie a un volume esagerato; quella con lo sguardo basso e i capelli a coprirle il viso; con le mani sempre nelle tasche delle enormi felpe e le sigarette lì nascoste. Quando si trovava a Sydney era una persona completamente diversa: era sempre sorridente, fiera di quello che era, si divertiva, non aveva mai le cuffie, non c’era tempo anche per quelle, ma canticchiava sempre una qualche canzone di un gruppo rock, conosciuto da lei e altre quattro persone nell’intero pianeta, che finiva per mettere in testa anche agli altri ragazzi della compagnia, aveva sempre qualcosa da dire, gridava, si fumava una sigaretta in compagnia e soprattutto non pensava ai problemi che avrebbe avuto quando sarebbe tornata a Londra. Capitava a volte che si prendeva un po’ di tempo per se stessa, magari per leggere qualche pagina di un libro, ma gli altri la capivano sempre e nessuno le andava a dire nulla, semplicemente se scendevano a riva per farsi un bagno la invitavano, più per cortesia, perché sapevano che avrebbe rifiutato con un sorriso: avevano capito che per lei leggere significava evadere totalmente, anche quando stava bene aveva bisogno di un po’ di tempo per se stessa, per rimettere a posto e riorganizzare, ma ciò non capitava spesso, per questo erano tutti comprensivi con lei.

Prese posto sull’aereo, tirò fuori il cellulare e mandò l’ultimo messaggio ai suoi amici di Sydney, segno che sarebbero potuti tornare alla loro vita quotidiana.

“Grazie ragazzi, di tutto. Mi mancherete infinitamente quando sarò a Londra. Siete i migliori, all’anno prossimo.

Clary xx.” Scrisse e premette invio, così prese le cuffie e fece partire la riproduzione casuale, respingendo le lacrime che volevano farsi strada sulle sue guance. Quel volo le sarebbe servito per ritornare la Clary di Londra e questa Clary non si sarebbe mai permessa di piangere. Perciò appoggiò la testa sul finestrino e guardò l’aereo decollare, la sua Sydney farsi sempre più piccola e tutto l’accaduto diventare altri ricordi da aggiungere alla lista. Quando presero quota si addormentò sulle note di Wonderwall degli Oasis.

Si svegliò a causa di una turbolenza dovuta a un leggero vuoto d’aria. Nelle sue orecchie non sentiva alcun suono, eppure aveva ancora le cuffie. Cercò nella tasca della sua enorme felpa il cellulare, ma trovò solo le sigarette e il cavo delle cuffie scollegato. Si raddrizzò sul sedile con uno scatto e con la stessa velocità si tolse le cuffie, il cappuccio le scivolò dalla testa. Si guardò intorno cercando di capire se il cellulare le fosse per caso scivolato sul pavimento del velivolo. Il suo vicino si voltò verso di lei e «Cerchi per caso questo?» le chiese con un sorriso beffardo indicando il cellulare della ragazza.

She Hasn't Been Caught // Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora