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Il ministro, ovviamente, aveva un suo preciso desiderio. E il signore del luogo l'avrebbe esaudito.

Minseok  aveva saputo con quattro giorni d'anticipo che Junmyeon intendeva risalire la ripida e gelida collina su cui sorgeva la casa Kim. Il ragazzo non era un estraneo, perché aveva combattuto al fianco di Minseok contro alcuni ribelli durante la feroce battaglia svoltasi sui territori dei Kim. Una volta concluso il cruento scontro, Minseok era diventato signore sia dei suoi seguaci sia della famiglia dei Kim. In veste di nuovo capo, aveva preso la decisione di permettere a Junmyeon di fermarsi abbastanza a lungo per riprendersi dalle gravi ferite subite. Minseok si era considerato molto magnanimo per questo, addirittura gentile, ma aveva avuto le sue buone ragioni. Per quanto gli procurasse fastidio ammetterlo, Junmyeon gli aveva salvato la vita durante la battaglia. Minseok era un uomo orgoglioso. Gli era difficile dire grazie, addirittura impossibile, e così, riconoscente per essere stato salvato da una spada nemica puntata alla sua schiena, non aveva permesso che Junmyeon morisse dissanguato. Dal momento che nessuno era esperto nel medicare, Minseok si era occupato personalmente di pulire e bendare le ferite del ragazzo. La sua generosità non si era fermata lì, benché gli paresse di aver già ripagato a dovere il suo debito. Quando Junmyeon aveva ripreso sufficienti forze per viaggiare, gli aveva restituito il suo magnifico cavallo, dandogli anche un abito da indossare in modo che potesse raggiungere la capitale indisturbato. Nessun membro di un altra famiglia avrebbe osato toccare un Kim, dunque l'abito con i suoi colori era una protezione più sicura di qualsiasi armatura.

Sì, era stato ospitale, e ora  Junmyeon voleva sicuramente trarre vantaggio dalla sua bontà d'animo.

Dannazione, doveva proprio uccidere quell'uomo.

Un solo pensiero gli rallegrava ancora l'umore: questa volta si sarebbe tenuto il cavallo di Junmyeon.

«Date da mangiare a un lupo una sola volta, Minseok, e questi tornerà ad annusare dappertutto in cerca di altro cibo.»

Il comandante, un guerriero alto e dalle spalle larghe chiamato Chanyeol, pronunciò il suo commento ghignando in modo forzato. Lo scintillio nei suoi occhi rivelava che in realtà l'arrivo del ministro gli sembrava addirittura divertente.

«Lo ucciderai?»

Minseok rifletté un istante prima di rispondere: «Probabilmente». Si era imposto di mostrare indifferenza.

Chanyeol rise. «Il ministro Junmyeon deve essere un uomo coraggioso, se è tornato qui.»

«Non coraggioso», lo corresse Minseok «Stupido.»

«Sta risalendo la collina avvolto nel tuo abito, Minseok»

Jongin, aveva gridato l'annuncio entrando dalla porta.

«Vuoi che te lo porto dentro?» chiese Chanyeol.

«Dentro?» esclamò Jongin disgustato. «Qui siamo più all'aperto che all'esterno, Chanyeol. Il tetto è andato in fumo, e solo tre delle quattro pareti rimangono ancora in piedi. Direi che siamo fuori.»

«Sono stati i traditori», ricordò Chanyeol a Minseok «Junmyeon...»

«Venne per liberare le terre dei Kim dai traditori», precisò Minseok. «Junmyeon non ha colpe nella distruzione.» Si scostò dal caminetto, imprecando a bassa voce quando un pezzo di legno si staccò crollando al suolo, quindi uscì. Sia Chanyeol sia Jongin lo seguirono. Sulla sommità della scala presero posto a lato del loro signore.

Minseok torreggiava sui suoi soldati. Non era molto alto rispetto ad alcuni guerrieri, ma per i suoi soldati era un uomo gigantesco, fiero nel temperamento e nell'aspetto, con i capelli corvini e gli occhi profondi. Dava un'impressione di severità. Persino nell'atteggiamento del corpo era bellicoso. Teneva le gambe divaricate, le braccia ripiegate sul petto massiccio, e l'espressione del suo volto era debitamente accigliata.

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