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<<Non siete rimasto dove vi ha lasciato>>

Junmyeon cercò di non ridere. Dall'espressione di suo fratello intuì che la risposta non gli era piaciuta. Se gli sguardi avessero potuto ferire, Jongin in quel momento si sarebbe contorto a terra in preda al dolore.

Jongdae si riscosse, allontanandosi dal fratello. «Ho fatto quello che era necessario», disse a Jongin.

«Quello che tu ritenevi necessario», lo corresse Junmyeon.

Da lontano Minseok annuì. Jongdae capì che stava ascoltando la loro conversazione.

A voce ancora più alta concluse: «Andandomene proteggevo la mia famiglia».

«Ognuno di noi morirebbe per proteggere gli altri.»

L'intervento era di Chanyeol. Sorrideva a Jongdae ripetendo le sue stesse parole. Durante il litigio tra Lui e Seungwoon doveva trovarsi nascosto dietro qualche porta della balconata.

«Quanto hai sentito?» chiese.

«Tutto», rispose Chanyeol.

Jongin annuì. «Noi siamo buoni compagni», disse. «Abbiamo capito la vostra lezione.»

Jongdae cominciò ad arrossire. Junmyeon pensò che l'evidente ammirazione degli uomini fosse la causa del suo imbarazzo. Sia Chanyeol sia Jongin sembravano sul punto di inginocchiarsi di fronte a Lui per rendergli omaggio.

«Ci avete resi molto orgogliosi», mormorò Chanyeol con la voce rotta dall'emozione.

Il rossore di Lui si fece più intenso. Se avessero continuato con le lodi, certo avrebbe cominciato a piangere, mettendoli in imbarazzo. Non poteva permetterlo. Si affrettò a cambiare argomento. Alzò gli occhi verso la balconata, quindi si rivolse a Jongin. «Non ci sono appigli dalle finestre al suolo» cominciò. «Come siete riusciti a entrare?»

Jongin rise. «Non posso credere che me lo chiediate», disse.

«Sì, che ve lo chiedo», ribatté , domandandosi che cosa ci trovasse di tanto divertente. «Per favore, spiegamelo. Come siete entrati?»

« Jongdae, sono tante le vie per entrare in un castello.»

Lui scoppiò a ridere. Quel suono era tanto pieno di gioia che Minseok sentì tutto il corpo risponderlgli. La sua gola si strinse, il cuore cominciò a martellare furiosamente, e gli divenne quasi impossibile fare un profondo respiro. Capì che se non l'avesse stretto subito tra le braccia, sarebbe uscito di senno. Voleva un momento di intimità, perché una volta iniziato a toccarlo, non sarebbe più riuscito a fermarsi.

Come l'amava.

Accennò ad avvicinarsi a lui, ma si costrinse a non farlo. Quel ragazzo doveva prima rendersi conto dell'inferno che gli aveva fatto passare. Gli aveva tolto almeno vent'anni di vita. Quando i suoi uomini l'avevano raggiunto per dirgli che Lui era nelle mani del ministro Seungwoon, un terrore mai conosciuto prima si era impadronito della sua mente, del suo cuore e della sua anima. Doveva esser morto mille volte prima di arrivare alla fortezza dei Jung. Un altro spavento come quello l'avrebbe mandato nella tomba. L'avrebbe confortato solo dopo aver ottenuto la sua promessa che non si sarebbe mai più cacciato in simili pericoli.

Chiese a Zhang di scendere a liberare dalla sua cella il signore del castello, quindi si voltò verso Jongdae.

«Minseok vuole la tua attenzione, Jongdae», sussurrò Junmyeon.

Lui guardò il marito, che annuì invitandolo con un cenno della mano ad avvicinarsi.

La sua espressione prometteva fuoco e fiamme. Jongdae non intendeva certo sprecare tempo ad ascoltare le sue rampogne sui pericoli in cui si era cacciato. Ora tutto era passato, e al sicuro. Solo questo contava. Inoltre, desiderava esser confortato, e aveva aspettato già molto. La sua pazienza si stava esaurendo, e sentiva disperatamente il bisogno della vicinanza di suo marito.

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