Chapter 31: Pity Party

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Aurora

La casa di Mitchy Collins non è mai stata più gremita di persone. Per terra, stesi sull'erba, in piscina, con le gambe penzoloni fuori dalle finestre, seduti sui tavoli. Tutti che sembrano divertirsi da matti accollati a quelle bottiglie di birra.

Stringo la mano di Luke prima di attraversare il vialetto in ciottoli. Lui mi sorride e finisce di digitare un messaggio al cellulare, poi lo infila in tasca e saluta Liam Payne e Niall Horan, già sbronzi che cercano di sostenersi a vicenda per stare in piedi. Pochi secondi dopo aver ricambiato il saluto, cadono entrambi sul prato.

«È da tanto che non vado a una festa,» borbotta Luke. Entriamo per la grande porta-vetrata e veniamo investiti da un forte odore di alcol, erba, vomito e sudore. «Già, anche io,» borbotto. Arriccio il naso a quell'odore acre.
In un attimo la musica si alza fino a far tremare il pavimento.

Calum si avvicina, un bicchiere che oscilla tra le mani tremanti. Un po' di birra cade sul pavimento e mi sposto prima che possa finire sulla mia maglietta.
«Ops, scusa», ride. Si infila tra me e Luke, poi allunga un braccio sulle spalle del biondo e mi cinge la vita. Ci trascina fino alla penisola della cucina e, senza dire nulla, Ashton ci passa due bicchieri.
«Che roba è?» chiede Luke al mio fianco, urlando per sovrastare il rumore della musica. Osservo con circospezione il liquido rossastro nel bicchiere.
«Un Bloody Mary. L'ha fatto Ashton.» Calum sorride rassicurante, ma quando Ashton si volta per prendere dei bicchieri puliti, ci fa cenno di svuotarlo nel cestino.
«Deve ancora esercitarsi con i cocktail. Peró mi sarebbe dispiaciuto dirgli la verità.»
Poi, con il solito sorriso sornione, lascia la birra sul bancone e inizia a muoversi a tempo di musica con Ashton, che se la ride di gusto.
Lascio il bicchiere su un tavolo vicino. Magari a qualche anima pia potrebbe venire voglia di berlo.
Luke mi prende la mano e avanza fino al centro della sala, dove tutti stanno ballando come iperattivi sotto effetto di droghe. La stanza è chiusa e non tira un filo d'aria, se non per la porta aperta che da sulla veranda.

«Ti va di ballare?»
E ormai ci siamo, quindi annuisco e provo a muovermi più fluidamente possibile. Probabilmente sembro un pezzo di legno, e ne ho la conferma quando le mani di Luke si poggiano sui miei fianchi e mi aiutano a coordinare i movimenti.
«Non ci sono portata, affatto.»
«Stai andando bene», ride. Allora incrocio le dita delle mani dietro al suo collo e mi avvicino. Attualmente sembriamo l'unica coppia che non ha intenzione di scopare davanti a tutti, e mi sento tremendamente a disagio. Ma a Luke sembra non importare, anzi, sorride con quelle fossette illuminate dalla luce ad intermittenza. Come se non possa essere toccato da nulla, si muove con disinvoltura tra tutte le altre persone, quasi ci fosse abituato.
Mi chiedo se prima di me lo abbia fatto con altre ragazze. Probabilmente è così.

La canzone finisce. Ne inizia un'altra. Questa volta comincio a prenderci la mano. Sembro ancora un pesce fuor d'acqua, ma almeno non inciampo più sui miei stessi piedi.
Luke inizia a ridere.
«Sono talmente incapace?», chiedo allora. Faccio una giravolta e mi avvicina al suo petto.
«No, solo...» Gli faccio fare una giravolta a mia volta e lui quasi travolge Harry Styles, che non sembra neanche essersene accorto. Continua imperterrito a strusciarsi con una ragazza che sono sicura aver visto per i corridoi scolastici.

Provo ad esibirmi in un moonwalk improvvisato e, tra le risate mie e di Luke, rischio di cadere quasi subito. Adesso tocca a lui: tenta uno shufflin', che gli riesce particolarmente bene.
Ashton esulta, seduto su un divanetto, e vedo Calum intraprendere una gara di twerking con Miley Cyrus. Brendon Urie e Ashley Frangipane fanno da giuria. Chi vince si aggiudica un po' d'erba.

Continuiamo a ballare fino a che non riusciamo più a stare in piedi, poi con le gambe appesantite ci trasportiamo in veranda. Un piccolo palchetto è stato allestito per la console, e Dylan O'brien si improvvisa dee jay inventando remix improbabili.

«Oh, Dio», sospiro. Abbiamo entrambi il fiatone e mi butto a peso morto su un divanetto. «Non ballavo così dal mio ottavo compleanno.»
Luke si porta alle labbra un bicchiere di birra, ma poi sembra ripensarci e lo poggia sul tavolino davanti a noi.
Per un attimo pare estraniarsi dal mondo. Lo vedo con l'espressione impassibile e gli occhi che guardano un punto indistinto.
Lo scuoto per un braccio e si riprende. «Luke, tutto okay? Ti senti bene?»

Si passa una mano sul volto. «Sì, sì sto bene. Fa caldo.»
«Siamo in Australia; qui fa sempre caldo.»
Questo è uno dei motivi per il quale non vedo l'ora di andarmene all'estero. Via, lontano, in un posto talmente freddo da mettere i brividi solo al pensiero.

Rimaniamo entrambi in silenzio. Fuori dalla nostra bolla è in corso una festa, ma adesso sembra essere tutto più calmo.
La cosa che detesto più di tutte è il silenzio. Quando non c'è più niente da aggiungere, quando non c'è il coraggio di dire qualcosa in più. È in quei momenti che desidero solo smettere di pensare e riuscire ad avere una conversazione normale; parlare dell'università, del lavoro dei nostri sogni, la nostra infanzia.
Eppure, tra me e Luke, sono più i momenti di silenzio che quelli parlati.
E questo mi fa pensare: se non funzionasse? Se il silenzio rovinasse tutto?
Una relazione si basa sul dialogo, sullo scambio di pensieri, di idee, di un qualsiasi argomento. Ma per noi due non è così, perchè io sono solita pesare le parole con cura maniacale e, ad un certo punto, dopo averle trovate, quelle mi sembrano solo fittizie e superficiali. Inutili, un modo per occupare il tempo. E quindi non apro bocca. Lascio che sia lui a trovare le parole giuste.

«Mi piaci.»
Peró non questa volta. Adesso sono io ad aver parlato per prima, e me ne accorgo solo alcuni attimi dopo. Luke volta il capo e fa incrociare i nostri sguardi.
Ma rimane in silenzio.
«Non so perchè. Ma sono certa di non aver provato queste emozioni per nessun'altra persona. Forse mi sono legata a te perchè... perchè se non fosse stato per te io sarei morta, quella notte. Prima o poi mi sarei buttata di sotto.»
Ingoio un groppo in gola.
Ti prego, mi ritrovo a sperare, di' qualcosa.

Ma non dice nulla. Come se un pezzo di lui fosse rimasto in quello stato di trance di poco fa, mi osserva senza battere ciglio.

«So di non essere una grande compagnia, me ne sto sempre nel mio e poche volte sembro mostrare interesse per ció che mi circonda, ma» non piangere. «Ma anche se non ti dovessi piacere nel modo in cui tu piaci a me, ci tenevo a ringraziarti. Per avermi salvato la vita, Luke. Perchè se non fossi salito lassù, io adesso non sarei qui. E neanche Calum, e Michael, Ashton. Nessuno di noi. Sarebbero bastati solo due minuti per fare la differenza, per cambiare il corso degli eventi, ma non è stato così. Michael dice che l'Universo voleva ci incontrassimo, quella notte. E ci siamo incontrati. E siamo vivi.»

La sua mano si allunga e si posa sulla mia guancia. Le dita affusolare scostano una ciocca di capelli e avvicina il mio volto al suo prima che io possa aggiungere altro.
Mi bacia. E sento le scariche elettriche lungo tutto il corpo, le dita che formicolano e il cuore che rimbalza nella cassa toracica. È un bacio dolce, semplice, come quelli che si scambiano due bambini. Le nostre labbra si toccano e basta, nessun movimento azzardato, in netto contrasto con l'ambiente in cui ci troviamo.
Poi ci allontaniamo. Lo guardo negli occhi.

«Non farmi apparire come un salvatore di persone, Aurora. Io non ho salvato proprio nessuno. Ho solo posticipato la morte di alcuni di voi.»

E, anche se non ho capito appieno ció che vuole dirmi, lo bacio di nuovo.
Fin quando la musica si spenge, le persone si innalzano in un coro di disappunto e poi tutto cala nel silenzio totale.

«Ascoltate tutti, signore e signori. Devo dirvi una cosa.»

𝐂𝐎𝐔𝐍𝐓𝐃𝐎𝐖𝐍Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora