Chapter 12: Babylon

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Ashton

Il campanello sopra la porta d'ingresso suona e mi affretto ad alzare lo sguardo, pronto a dire a chiunque sia entrato che il bar sta chiudendo e se ne deve andare, ma vedo Calum Hood avanzare con il passo di uno zombie verso il bancone e mi viene davvero voglia di tirargli un pugno.

«Ciao,» borbotta, lasciandosi cadere sopra lo sgabello del bancone. Inarco le sopracciglia, nervoso. «Il bar sta chiudendo.»
«Lo so.»
«Dovresti andartene.»
«Lo so.»
«Mi stai rompendo i coglioni.»
«So anche questo.»

Alzo gli occhi al cielo accompagnando il mio gesto con un sonoro sbuffo, complici le estenuanti ore passate a servire persone scorbutiche e avere Calum Hood davanti a me, in questo momento di estrema stanchezza fisica e mentale. Non riuscirei a sopportarlo senza prenderlo a pugni.

Sbatto le mani sul bancone, richiamando a me tutta la pace interiore che in questo momento sembra avermi abbandonato, e prendo un respiro profondo prima di chiedere un «Cosa vuoi?» che pare più una minaccia.

«Parlare. E anche un caffè, se non ti dispiace.»
Incrocia le braccia sopra al bancone e vi appoggia la testa.
«Puoi anche fartelo da solo, quel fottuto caffè. Devo chiudere il bar, Hood.»

«Va bene», il moro si alza, sospirando «Allora me lo faccio da solo». Mi raggiunge dietro il bancone e prende una tazzina dalla pila sulla mensola più bassa, lasciandola poi sotto la macchina per il caffè.
«Sai come fare?»
«L'anno scorso ho lavorato nel bar davanti alla vecchia biblioteca, ma questo non dovrei raccontarlo a te.»
«E perchè no?»
Si volta e incrocia il mio sguardo, mentre mi accorgo solo ora che i suoi occhi nocciola sono contornati da dei lividi. Lo zigomo sinistro è arrossato e il labbro inferiore gonfio.
«Perchè, qualunque cosa io ti dica, la tua opinione su di me non cambierà.»

Aziona la macchina per il caffè e aspetta in silenzio, invece io apro il freezer e ne tiro fuori alcuni cubetti di ghiaccio, che poi avvolgo in un panno da cucina.
«Tieni». Glielo lancio e lui lo afferra al volo, ringraziandomi con un cenno del capo. Un grugnito di dolore lascia le sue labbra quando appoggia il ghiaccio sopra lo zigomo e soffoco una risata.
«Cosa hai combinato per essere ridotto in questo stato?»
«Sono andato a cercare l'ex di mia sorella per dirgliene quattro, solo che ho sbagliato persona. Era un tossico, in uno stato davvero penoso, se non fosse svenuto prima di tirarmi un altro cazzotto, probabilmente ora mi avresti potuto trovare all'ospedale.»
«E chi ti dice che sarei venuto a trovarti?»
Ridacchia appena e annuisce. «Hai ragione.»

Beve il suo caffè e lava la tazzina, lasciandola asciugare sul ripiano apposito.
«Perchè sei qui?» mi appoggio al bancone e lo osservo, le braccia incrociate e un ciuffo di capelli ricci che mi ricade davanti al volto.
«Non sapevo dove andare e mi trovavo da queste parti. In più volevo chiederti scusa».

«Scusa?»
«Per... la faccenda di Lauren e tutto il resto.»
«Non è a me che devi chiedere scusa.»
«Lo so. Ma voglio iniziare da te.»
«Cazzo, sei complicato.»
«Lo so.»
«Sai che non accetteró le tue scuse.»
«Almeno moriró con la consapevolezza di averci provato.»

Sospiro. «Devo davvero chiudere questo bar».
Calum annuisce, tornando davanti al bancone e afferrando il cellulare che vi aveva lasciato prima. Lascia due dollari sul bancone, per il caffè, e arriva davanti alla porta. Quando si stringe nelle spalle, salutandomi con un gesto fugace della mano, lo ignoro alzando gli occhi al cielo di nuovo.

Non gli ho messo le mani addosso e sono fiero di me.

«Maledetto trentuno dicembre,» sibilo, sistemando un'ultima volta i soldi nella cassa. La chiudo con un giro di chiave e sbuffo di nuovo quando, dalle vetrate del bar, scorgo Calum Hood dirigersi di nuovo verso la porta.
Il campanello suona di nuovo e la voce del moro mi fa imprecare silenziosamente.

«Hey, Ashton?»
«Cosa vuoi.» Ringhio, chiudendo gli occhi per placare la mia ira.

«Mi dai un passaggio?»

________

«Ma andiamo,» sbuffo una risata, le mani attorno al volante e Calum Hood che si volta verso di me, seduto al mio fianco. «Cosa?» chiede, visibilmente confuso. Toglie il fazzoletto bagnato dal suo labbro, che ha iniziato a sanguinare, tenendolo nella mano destra.

«Come hai fatto a confondere l'ex di tua sorella con un fattone per strada?»
«Ehm... N-non lo so. Sono arrivato sotto al suo condominio e ho visto quel tizio. Si somigliavano.»
Grugnisco; a quanto pare confondere le persone gli riesce sempre bene.
Svolto a destra, sapendo perfettamente dove abita Calum.

«Non che cambi poi molto,» lo sento sussurrare. «Per me si somigliano tutti.»

«Cosa intendi?» chiedo, ma sono già fermo davanti a casa sua e lui scende dall'auto.
«Grazie per il passaggio, ci si vede in giro.»
«Sì certo, contaci».
Calum alza gli occhi al cielo e si incammina sul vialetto in ciottoli, così io riparto e posso finalmente tornarmene a casa.

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