Chapter 4: Outer Space

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Calum

«Ciao, Cal».
Chiudo la porta dello studio e rivolgo un piccolo sorriso ad Harry, il mio psicologo. Lo riconosco perchè ho impresso nella mia mente la sfumatura dei suoi occhi, i suoi capelli e le sua fossette.
Io preferisco chiamarlo analista della mente e risolutore di domande, ma lui dice che nessuno ha mai risposte e quindi mi ha imposto di chiamarlo "semplicemente Harry".

«Ciao, semplicemente Harry. Come stai?» mi siedo sulla poltrona e il riccio mi osserva con un sopracciglio alzato. «Sono io che lo dovrei chiedere a te, non il contrario».
«Lo so».
«È un modo carino per farmi capire che non hai intenzione di parlare dei fatti tuoi, oggi?»
«Probabilmente» mi stringo nelle spalle.
«Cosa sei venuto a fare, allora?»
«Ho paura.»
«Di cosa?»
«Di rimanere solo e provare di nuovo a suicidarmi» borbotto «E sono qui anche perchè i miei mi hanno costretto».
«Hai ragione»
«Ho sempre ragione. Allora, come va?»
«Non c'è male. A te come va?»
«Ti ho detto che non alluderò alla mia vita, oggi.»
«Tecnicamente l'ho detto io»
«Tecnicamente ora l'ho detto anch'io».

Silenzio.
Sento gli occhi verdi di Harry addosso e istintivamente alzo lo sguardo, iniziando ad osservare il soffitto.
«Hai tentato il suicidio?»
«Sì, l'ho detto prima. Sai che non mi piace ripetere le cose.»
«Quando?» sembra agitarsi, ma non ci scommetterei. Spesso è più impassibile di una roccia.
«Circa... cinque giorni fa».
«La notte di Capodanno?»
«Come fai a saperlo?»
«Ti conosco. So che progetti una morte plateale e che non ti limiterai ad andare in overdose in un'anonima sera di inverno.»
«Io punto più in alto».
«Il tetto di un palazzo?»
«Capisci al volo. Ti hanno mai detto che sei davvero un bravo psicologo?» ghigno.

«Nei miei quattro anni di carriera ho avuto a che fare con persone che credevano di essere invisibili o morte o assassini. Credimi, Calum, dopo un po' ho iniziato a farci l'abitudine.»
«Davvero?»
«Cosa?»
«Davvero qualche tuo paziente credeva di essere invisibile? Fico.»
«Non è "fico", Calum. È... complicato.»
«E fico».
«Si, come vuoi.»

Di nuovo silenzio.

«E perchè ora sei qui, vivo?»
«La vita fa schifo».
«Cosa te lo fa dire?»
«La vera domanda è: cosa non te lo fa dire?»
«C'è amore, nella vita. Reputi l'amore una cosa brutta?»
«L'amore è una stupida illusione. È per i perdenti. Non dico che sia brutto, ma che alla fine finisci sempre per farti male e allora sì che diventa schifoso. Come una rosa, hai presente? È bello vederla, annusarla, ma quando vai a coglierla ti fai male con le spine. È tutta una fregatura. Una presa in giro.»

«Parli di un'esperienza in particolare?»
«No... non lo so. È tutto confuso.»
«Fai ordine».
«Non ci riesco, cazzo!»
«Chiudi gli occhi».
«Cosa?»
«Fallo e basta, Calum.»

Chiudo gli occhi. Ancora silenzio.

«Ora fai pace con te stesso.»
Spalanco le palpebre e le braccia, mentre un cipiglio di riluttanza e confusione si dipinge sul mio volto. Harry posiziona la caviglia destra sul ginocchio sinistro e fa coincidere tra loro i polpastrelli di entrambe le mani, appoggiando i gomiti sul bracciolo della sedia.
«Chiudi gli occhi, Calum, e ascolta le mie parole.»
«Stai per lanciarmi una specie di incantesimo, Harry Potter

Alla fine faccio come dice e lui, soddisfatto, comincia a parlare.
«Ora pensa a qualcosa che ti fa soffrire», mi lascia il tempo per pensarci e «Fatto?» sussurra dopo.
Annuisco.
«Ora chiediti il perchè quella cosa ti fa soffrire».
«Oh, Cristo...»
«Fallo, Calum. Fidati di me.»
Sospiro e, ancora una volta, faccio come dice.

«Ora chiediti scusa».
«Ma che cazzo-»
«È impossibile lavorare con te.»
«Mi impegno».
«No, non lo fai!»
«Sì, invece!»

Harry si prende la testa tra le mani e scuote il capo. Poi si alza, si siede sopra la scrivania e mi lancia contro la pallina antistress rossa che tiene sempre affianco al portapenne.

La afferro al volo e gliela rilancio contro. «Io voglio stare meglio, porca miseria!» urlo.
«Sono stufo di sentirmi costantemente a un passo dalla morte, come se qualcosa mi stesse distruggendo da dentro. E non so neanche per quale fottutissimo motivo sto urlando!»
Sento le lacrime, pronte a uscire dagli occhi. A stento riesco a trattenerle e Harry continua a guardarmi, con la stessa espressione che si rivolge a qualcuno che ha appena sparato una gran cazzata.

«Sei tu che non vuoi stare bene, Calum. Tutto dipende da te, dalla tua testa, dal tuo cuore!»
«Io voglio stare bene!»
«Ma non ci provi davvero!»
«E chi te lo dice, questo?»

«Non puoi presentarti a una manifestazione per la pace quando dentro di te c'è una guerra.»
Harry chiude gli occhi.
«Quando hai davvero intenzione di sentirti bene e sei completamente convinto di volerlo fare, vieni da me. Qualunque giorno della settimana, a qualunque ora. Non è mai troppo tardi.»

Poi mi congeda e io esco dallo studio, non senza prima aver sbattuto la porta alle mie spalle, pensando che vita è solo un enorme ammasso di contraddizioni.

𝐂𝐎𝐔𝐍𝐓𝐃𝐎𝐖𝐍Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora