Il ragazzo sorridente - Capitolo n°1

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Camminavo. Guardavo il cielo, al tramonto tutto si tingeva di rosso, di arancione, di rosa. Quelle sfumature mi facevano sentire rilassata. Cercavo di non pensare a niente, cercavo di togliermi dalla testa tutti i pensieri negativi che la affollavano.

Adoravo passeggiare sulla strada che costeggia il fiume, e che porta alla "torre del fulmine". Qualunque momento era buono per scappare dalla realtà e rifugiarmi nel mio mondo -perfetto-. Ero quasi arrivata al campo al fiume, campo da calcio nei pressi del fiume, vicino al ponte che porta alla scuola media del quartiere, se non sbaglio si chiama "Raimon Junior High". Da un po' di tempo non arrivavo così vicina al campo, di solito attraversavo la strada prima e poi svoltavo a destra; quel giorno, invece, sentivo il bisogno di arrivarci, volevo solo essere sicura che fosse ancora lì. Fino alla fine ho provato con tutte le miei forze a convincermi a cambiare strada ma... niente. Pochi passi mi dividevano dal campetto ma già riuscivo a sentire le miei gambe tremare, il mio cuore battere forte, il mio corpo e la mia mente tornare a quei giorni in cui giocavo spensierata, o quasi, in mezzo ad un campo come quello. Era una bella sensazione. Peccato che dopo neanche due secondi, il tremolio delle mie gambe ers diventato più insistente, quasi rischiavo di cadere, e il cuore sembrava essersi fermato, e con esso la voglia di ricordare qualcosa di quello sport che amavo: il calcio. I ricordi di una me bambina, spensierata in un campo da calcio erano diventati cupi, tristi e dolorosi. Mentre il buio calava sulla città e su di me, un rumore, accompagnato da uno strano verso, quasi sembrava una risata, aveva interrotto i miei pensieri. Cercavo di capire cosa fosse, ma avrei potuto riconoscere quel suono anche a mille kilometri di distanza: qualcuno stava tirando calci ad un pallone. Ormai ero lì, e la curiosità non mi permetteva più di andare via, perciò: perché non avvicinarsi al campo e vedere chi stava giocando?

Detto fatto ed ero già sulle scale che scendevano al campetto. In mezzo al campo c'era un ragazzo, apparentemente molto strano, aveva grandi occhi scuri, capelli un po' arruffati, una grande fascia arancione sulla fronte e un sorriso a trentadue denti che quasi era riuscito a farmi sorridere. Si stava allenando: calciava il pallone con tutta la forza di cui disponeva, poi lo rincorreva cercando di arrivare prima di lui alla porta, in tempo per poterlo parere. Doveva essere un portiere, avevo visto solo ora i suoi guantoni, ma da solo non riusciva ad allenarsi molto. Correva avanti e indietro, non stava fermo un attimo, ogni tanto cadeva, non era molto capace di calciare un pallone, ma nonostante il sudore gli si vedesse grondare a fiumi dalle tempie, e il respiro affannoso, non smetteva di sorridere, di ridere, non smetteva di tirare calci a quella palla. Ad un tratto, però, si bloccò. Era fermo in mezzo al campo. Forse lo avevo disturbato, forse mi aveva vista ma non voleva essere visto. Feci per girarmi e andarmene, ma una voce allegra mi fermò immediatamente:

M(Mark): Ehi, ciao. Ti piace il calcio?

Non sapevo cosa rispondergli, volevo mentire ma non ci riuscii

Io: Chi, io? Ehm... Si, il calcio mi piace parecchio ma-ma non sono molto capace, non ho mai calciato un pallone. A te invece piace molto, vero? Giochi in una squadra, ho riconosciuto la divisa.

M: Io amo il calcio. Il calcio è uno sport meraviglioso, ti fa conoscere tante persone, amici e avversari, ti fa divertire. Ti va di provare?

Gli si illuminavano gli occhi mentre parlava del calcio, quasi mi faceva tenerezza.

Io: Provare? C-cosa? Io?

Sapevo cosa mi stava per chiedere, forse sarei dovuta scappare via, ma qualcosa me lo impediva: c'era una parte di me che, inaspettatamente, non vedeva l'ora di rispondere sì alla domanda di quel ragazzo

M: Giochiamo a calcio? Ti va?

Non ho avuto il tempo neanche per rispondere, che già mi aveva trascinata in campo e messo un pallone sotto i piedi.

M: Non è difficile. Tira un calcio al pallone nella mia direzione.

Io a calcio sapevo giocare, e anche bene, ma per una volta che nessuno mi aveva riconosciuta, che avevo la possibilità di calciare un pallone senza dover preoccuparmi di nient'altro, di alcun giudizio, ritorsione, volevo dimenticare tutto quello che sapevo e tornare ai tempi di quando ero ancora una bambina e tiravo male i palloni a mio fratello.

Io: Ok.

Calciai la palla nel peggior modo possibile. Nonostante la traiettoria fosse completamente sbagliata lui riuscì a prenderla senza alcuna fatica. Poi me la ripassò. E io a lui, di nuovo.

M: Impari in fretta. Hai del talento

Mentre parlava, il pallone era in aria. Stavolta era lui ad aver tirato male.

M: Scusa, ho sb-

Non gli feci finire la frase che già ero a mezz'aria con il pallone alla caviglia. Non so cosa mi prese in quel momento, ma... calciai il pallone in rovesciata, quasi vidi l'alone scuro avvolgerlo per poi scomparire subito. Il ragazzo dalla fascia arancione non se lo aspettava, la sua mascella inferiore sembrava star per cadere, si era messo davanti alla porta, sorrideva. Nonostante lo stupore parò il mio tiro con non poche difficoltà, lo vidi indietreggiare un po', e vidi la sua mano illuminarsi di una luce strana.

Io: Anche tu hai del talento. Scusa, era troppo forte...

M: Stai scherzando? Era perfetta. Avevi detto che non sapevi giocare. O mi hai mentito o tu hai davvero del talento innato.

Io: Io...Ehm. Non ho mai verament-

Non sapevo più che dire.

M: Che scuola frequenti? Dovresti iscriverti ad un club di calcio. Una squadra con te come giocatrice non può che vincere.

Io: Grazie dell'offerta. Ma ho lasciato la vecchia scuola un po' di tempo fa. Ora studio a casa.

La cosa lo aveva reso un po' triste, il suo sguardo era cambiato. Dopo aver lasciato la Royal Academy, ho cambiato tante scuole, ma mai avevo mi ero avvicinata al loro club di calcio, preferivo star lontana da quello che poteva farmi male.

M: Sul serio? Non deve essere noioso

Io: Un po'

Per alcuni minuti rimanemmo lì, in piedi, a parlare. Il suo sorriso era contagioso. Anche la sua passione, sentivo il mio corpo ardere di un fuoco davvero strano, ma era una bella sensazione. Guardai l'orologio che portavo sul polso e mi resi conto di che ore fossero: erano le 21. Se non rientravo subito a casa mio fratello sarebbe potuto impazzire.

Io: Scusami, ehm... tu, sono in ritardo per... a presto.

Stavo già salendo le scale.

M: A presto. Ah, comunque mi chiamo Mark, Mark Evans. Frequento la Raimon Junior High, sono il capitano.

Io: Io Mira, Mira Stark. Allora ciao Mark.

Credo che stessi sorridendo, veramente, per la prima volta dopo tanto tempo. Raimon? Interessante...

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Grazie per aver letto la mia storia. Commentate. I primi due commenti verranno pubblicizzati nel prossimo capitolo.

Cosa succederà adesso? Come continua la storia di Mira.

A presto con il prossimo capitolo.

Baci,

L'autrice

Una nuova luce in quel campo da calcio...Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora