10. Ciao Luca

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17 Ottobre 1995

Quella mattina mi svegliai con i vestiti ancora sporchi di terra. La sera prima, appena arrivai a casa fortunatamente trovai i miei genitori a letto... e il mio cane sveglio ad aspettarmi. Mi lasciai cadere nel letto, e mi immersi in un sonno profondo. Sempre la sera prima, dopo aver lasciato Luca alla masseria, tornai a casa ed avvertii i miei genitori che stavo andando a casa di un amico e che mi sarei ritirato tardi. Ricordo di averglielo detto a voce, dall'entrata... Cercai di non farmi vedere in quanto si sarebbero chiesti il perché dei miei vestiti ridotti in quel modo e del gesso rotto. Appena ricevuto il loro consenso, presi un pacco di fiammiferi da garage e mi diressi nuovamente verso la masseria. Tornando alla mattina dopo... mi svegliai con i vestiti sporchi e strappati, mi guardai allo specchio e notai che anche la mia pelle era del tutto sporca di terra... decisi quindi di chiudermi in bagno e di darmi una ripulita. Appena uscii, quando mia madre mi vide il gesso rotto, mi chiese cosa fosse successo... le dissi che nel viaggio di ritorno a casa cadetti e che il gesso si ruppe. "Non si trattava di una vera e propria bugia dopotutto"
Papà si trovava già a lavoro quando mia madre mi disse che saremmo tornati in ospedale per rifare il gesso.

-Faccio la doccia e andiamo- mi disse con il suo solito tono rassicurante, annuii alle sue parole e mi strofinai gli occhi di conseguenza ad uno sbadiglio... ero ancora molto assonnato, non riuscii a prendere un velo di sonno, ero continuamente in dormiveglia e di conseguenza feci fatica a rapportarmi con quel mattino freddo e nebbioso. Nella mia mente si proiettavano solo le immagini del fuoco, delle lingue di fiamme che mi circondarono quella notte alla masseria, e l'intensa apatia che provai nel guardarle. Tornai in camera mia quando udii il suono dell'acqua della doccia riecheggiare in tutta la casa. Vidi il pacchetto di fiammiferi poggiato ancora sopra la scrivania, per non destare sospetti li afferrai e li posai dove conservavamo tutti i pacchetti di fiammiferi aperti: in cucina, accanto agli accendini oramai scarichi di papà. Aveva un'enorme collezione, da quelli in plastica a quelli in metallo, con e senza stampe. Erano tutti posti sopra una lunga mensola in legno, accanto al frigorifero. Per la prima volta in quei giorni mi sentii liberato. Liberato dal male che mi stava affliggendo. Nella mia mente fu come se avessi annullato quell'errore attraverso il fuoco, e il mio peccato in esso. Ciò che non sapevo però è che era tutta un''illusione... cercai solo di auto convincermi che non fosse successo niente, che fosse stato come cancellare uno scarabocchio con la gomma da cancellare... "Caro Timothee del passato, se potessi parlarti, ti direi che i segni sulla carta restano lo stesso, anche se provi a cancellarli... e in quel momento il tuo foglio era stato calcato in tal modo da aver strappato la carta." Il fuoco magari mi aveva liberato dal dolore, ma aveva lasciato posto ad un'altra emozione, l'apatia. Quella durò poco però, perché presto sparì anche quella... e lì iniziarono i problemi. Ma torniamo alla mattina del 17 ottobre 1995, quando dopo aver dato un'occhiata alla collezione di accendini di mio padre, pensai di tornare in camera mia per infilare i miei cari e vecchi anfibi, ma venni fermato dagli abbai del mio cane, provenienti dall'esterno. Ricordo che sobbalzai e che tornai in cucina per vedere il perché di quei continui abbai. Scostai le tende bianche e guardai attraverso la finestra che dava al giardino scuro e incolto. Gli abbai di quel grosso Labrador si fecero più forti e prolungati.

-Dylan! Shh- dissi picchiettando le dita sul vetro sottile per attirare la sua attenzione -Fai silenzio!- dissi alzando la voce vedendo che il cane non voleva saperne di smetterla. Non capivo a chi o a cosa stesse abbaiando in quel modo, era un cane tranquillo dopotutto, era un'azione abbastanza insolita da parte sua. Aprii la porta che va al giardino -Dylan!- lo chiamai, il cane non mi degnò neanche di uno sguardo perché era concentrato oltre al recinto, ma non vidi nessuno -Dylan!- lo chiamai ancora e ancora, ma niente. Decisi quindi di uscire in giardino ma prima che potessi farlo e vedere a chi stesse abbaiando, udii alle mie spalle bussare dalla porta d'ingresso. C'era qualcuno alla porta, e quel qualcuno bussava insistentemente. Chiusi la porta che va nel giardino, e andai nel corridoio da dove vidi l'ombra di due gambe attraverso la porta d'ingresso. Per un attimo mi prese il pensiero che quella persona alla porta potesse essere Arianna, ma dubito dopo mi ricomparvero le immagini raccapriccianti che vedetti la sera prima. Sentii il mio stomaco rigirarsi, ero quasi impaurito ma non abbastanza da impedirmi di capire chi si trovasse dietro quella dannata porta. Camminai a passi veloci fino ad arrivare davanti ad essa e appoggiai le mani sopra la gelida maniglia di metallo da dove vidi per qualche secondo il mio riflesso, e la girai. Aprii lentamente la porta, che fu subito spalancata e fatta sbattere nel muro. Si trattava di Luca, era furente. Aveva lo zaino di scuola in spalla, i capelli spettinati e leggermente bagnati dalla pioggia che aveva appena iniziato a cadere.

-Mi spieghi che cazzo sta succedendo?- urlò. Lo guardai con uno sguardo interrogativo per un attimo. -GUARDA!- indicò il cielo, verso la masseria... era completamente nero. Nero di fumo, c'era della cenere che volava e cadeva in contemporanea alla pioggia e un odore di legna bruciata misto a terra bagnata. Un fiammifero. Utilizzai un solo ed unico fiammifero, lanciato sopra un mucchietto di erba secca accanto alla masseria... volevo eliminare quel ricordo, volevo eliminare ciò che avevo fatto, perché arrivai a un punto dove capii che se non l'avessi fatto io, lo avrebbero fatto i ricordi. -Che cazzo hai fatto?- urlò -Che cazzo hai fatto Timothée, che cazzo hai fatto?- ripetette ancora e ancora, mi afferrò per le spalle e continuò a ripetere quella frase.

-Fai silenzio- dissi con una mia insolita tranquillità -Mia Madre è in bagno- indicai la porta del bagno che si riusciva a vedere anche dall'ingresso.

-Non ci posso credere- Si prese la testa tra le mani, e si strinse i capelli guardando il fumo disperdersi nell'aria -Siamo fottuti- disse -Siamo fottuti per colpa tua-

-Io volevo solo...- venni interrotto dalle sue parole

-No. Tu non volevi proprio niente. Non avrei dovuto scegliere te- disse -Troppo ingenuo, troppo stupido- continuò -È solo questione di minuti prima che scoprano il corpo- disse -MINUTI. MINUTI CAPISCI?- sentii la sua voce affannarsi -Siamo finiti, siamo finiti... la nostra... LA MIA VITA È FINITA- iniziò ad avere gli occhi lucidi -cazzo!- sferrò un pugno al muro.

-È finita- dissi, come se fossi soddisfatto. In quel momento non mi importava se il corpo di Arianna sarebbe stato ritrovato o meno, anzi... per qualche assurdo motivo speravo che venisse ritrovato.

-Si, è finita. È finito tutto- abbassò finalmente la voce -Hai solamente dato una pista alla polizia- sospirò -Solamente... una pista-

-Ora dovresti andartene- gli riferii

-Ora tu esci- disse con fermezza -Ora esci da quella dannata casa e vieni con me a vedere come siamo messi-

-Non posso- dissi

-Timmy sei pronto?- sentii la voce di mia madre alle mie spalle -Chi è alla porta?- disse avvicinandosi, mentre si metteva gli orecchini

-È solo... Luca- dissi

-Ciao Luca- Mia madre salutò il mio complice, notai in lui un sorriso strano, misto alla disperazione

-Sal- si schiarì la voce -Salve-

-Vado in ospedale per rifarmi il gesso- gli dissi, mostrando la mano mezza ingessata

-Salutami i poliziotti- disse Luca -Devo allontanarmi il più possibile da questa merda di posto- sussurrò facendo attenzione a non farsi ascoltare da mia madre. -Se pensavi di risolvere la cosa in questo modo, ti sbagliavi- sussurrò -Se pensavi di mettere fine alle tue allucinazioni in questo modo, ti sbagliavi- mi guardò fisso negli occhi -Lei è impressa dentro di te mio caro Timothée e non andrà più via- quelle parole mi spiazzarono, ma rimasi impassibile davanti ai suoi occhi -Sei diventato pazzo- continuò -Arrivederci madre di Timothée- disse Luca, riferendosi a mia madre e facendole un sorriso tiratissimo, mentre scese a passi veloci ma pesanti le scale del mio portico e si diresse verso il paese in fretta e furia.

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