Capitolo 7 - Anya

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Capitolo 7

Anya

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Anya fissava il cellulare stretto nella sua mano destra con sguardo vacuo ed assente, cercava di metabolizzare cosa fosse appena successo, ma la verità era che non l'aveva ancora capito nemmeno lei. Non era certa di ciò che aveva appena sentito: la voce di Indra che le arrivava alle orecchie confusa e spezzata, il suono dello sparo, il silenzio agghiacciante che lo aveva seguito, mentre lei ascoltava impotente all'interno di quel freddo ufficio al secondo piano della tenuta Woods. Doveva essere un incubo quello, stava sognando, presto si sarebbe svegliata e si sarebbe resa conto che tutto quello era il frutto di una stupida fantasia nata per colpa della sua immaginazione fin troppo fervida. Eppure lei quello sparo lo aveva sentito davvero. Prima che la linea cadesse e che la voce di Indra si perdesse nel vuoto, lei lo aveva sentito.

Il cellulare le scivolò dalla mano quando prese a vibrare all'improvviso, facendola sobbalzare per la sorpresa. L'enorme tappeto persiano che ricopriva il pavimento attutì la caduta dell'oggetto, evitando che esso si rompesse in mille pezzi, ma ad Anya non importava. Il cuore le era balzato fino in gola ed il respiro era sempre più affannato, non sapeva cosa fare. Il cellulare continuava a vibrare imperterrito, il suono arrivava alle sue orecchie ovattato, coperto dal fischio continuo che aveva preso a tormentarla da quando lo sparo era esploso dall'altra parte del ricevitore. Un numero, a lei sconosciuto, illuminava il display ad intermittenza. Non sapeva chi fosse, ma in quel momento non le importava. Deglutì, cercando di mandare giù il nodo che le si era formato in gola, mentre chiudeva gli occhi e si alzava di scatto dalla poltrona su cui era seduta, allontanandosi sempre di più da quel maledetto telefono e da chiunque stesse cercando di mettersi in contatto con lei. Le mani le tremavano, il respiro era sempre più affannato ed irregolare. Anya Woods, dopo anni da quando le era successo l'ultima volta, stava avendo un attacco di panico. I pensieri correvano veloci dentro alla sua testa, facendole rivivere in un loop infinito la telefonata avuta con Indra. Solo quando il cellulare smise di vibrare, facendo nuovamente piombare la stanza nel silenzio, riuscì a riacquistare un po' di lucidità. Riaprì gli occhi e si osservò attorno, l'oscurità l'avvolgeva. Non si era disturbata ad accendere la luce quando vi era entrata quel tardo pomeriggio, e adesso l'unica fonte di luce proveniva dai raggi della luna, che rischiarava il cielo notturno e filtrava attraverso le enormi vetrate del suo ufficio. Si portò entrambe le mani tra i capelli, incastrando le dita tra le ciocche bionde e tirandoseli all'indietro, in modo da scoprirsi il viso. Lasciò che il respiro si regolarizzasse, inspirando ed espirando con lentezza. Quando anche il cuore tornò a batterle in modo regolare nel petto, e la nebbia che aveva avvolto la sua mente si diradò, ciò che avrebbe dovuto fare le fu chiaro.

Con passo incerto percorse la distanza che la separava dalla lampada posta in un angolo dell'enorme scrivania in legno, avvicinò con lentezza una mano ad essa e, cercando di trovare l'interruttore nel buio del suo ufficio, la fece scorrere lungo tutto il suo profilo, fino a quando le dita non si scontrarono con ciò che stava cercando. Fece pressione sul piccolo bottoncino e la luce della lampada rischiarò immediatamente l'ambiente attorno a lei, costringendola a chiudere gli occhi. Dopo essere stata per più di due ore avvolta dall'oscurità era difficile per lei riuscire a mantenerli aperti, provava fastidio, era come se tanti piccoli spilli si stessero conficcando lentamente all'interno dei suoi occhi, provocandole delle fitte di dolore che le fecero serrare la mascella ed arricciare il naso in una smorfia infastidita. Poggiò le mani sul ripiano in legno della scrivania e rimase ferma, immobile, come se il minimo spostamento avesse potuto causarle altro dolore. Aspettò che la sensazione di fastidio passasse, assieme al leggero giramento di testa che, da quando si era alzata di scatto dalla poltrona, non l'aveva ancora abbandonata. Poi aprì gli occhi, lentamente, cercando di abituarli alla luce che illuminava fiocamente la stanza. Una volta che il fastidio passò si spostò dalla scrivania, analizzando attentamente ogni centimetro del tappeto in cerca del suo cellulare. Adesso che il panico stava scemando, e che la sua mente era più lucida, sentiva il bisogno di contattare l'unica persona che sapeva sarebbe stata utile nello scoprire la verità su quanto era successo ad Indra. Non appena i suoi occhi si posarono sul profilo del suo cellulare, incastrato tra la gamba del tavolo e la borsa contenente i pochi vestiti che era riuscita a recuperare dal suo vecchio appartamento, Anya si abbassò e lo raccolse. Se lo portò ad un palmo dal viso e, con movimenti febbrili, iniziò a far scorrere le dita sullo schermo, in cerca di un numero ben preciso. Si fermò solo quando lo sguardo si soffermò sul nome che stava cercando e, senza stare a pensarci troppo, fece partire la chiamata. Non le importava del fatto che fosse tardi, non le importava se a quell'ora stesse dormendo o facendo qualsiasi altra cosa, sapeva che avrebbe risposto, lo faceva sempre. Si portò il telefono all'orecchio ed attese mentre gli occhi si alzavano verso l'orologio in stile vintage attaccato alla parete, le lancette scandivano inesorabili lo scorrere del tempo, accompagnando il tipico suono della linea libera del cellulare. Erano le 22:45 di un freddo martedì di fine febbraio, lo sentiva penetrare fin dentro le ossa mentre l'impazienza cresceva dentro di lei nell'attesa che dall'altra parte qualcuno rispondesse. Poi d'improvviso il suono acustico si interruppe, sostituito da un fruscio fastidioso.
<< Anya? >> Si sentì chiamare un istante dopo da una voce bassa e roca a lei più che familiare, tanto da farle tirare un sospiro di sollievo.
<< Ho bisogno del tuo aiuto, >> disse lei, senza nemmeno salutare, prima di iniziare a raccontare al suo interlocutore, in modo quasi meccanico, tutto ciò che era successo poco più di un'ora prima.

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