Capitolo 13
Clarke
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Il ticchettio di un orologio spezzava il silenzio della stanza, non aveva alcuna voglia di aprire gli occhi ed essere accecata dalla forte luce dei neon che, da che ne avesse memoria, avevano accompagnato ogni singolo risveglio all'interno di quella prigione in cui era rinchiusa da fin troppo tempo. Anche quella volta si era svegliata, anche quella volta sarebbe stata costretta a vivere, se ciò che faceva ogni giorno poteva essere considerato tale, all'interno di quelle quattro mura asettiche. Anche quella volta, si sarebbe svegliata dentro al suo personale incubo. Ci aveva provato, stavolta ci aveva provato davvero, ma se era ancora lì, cosciente abbastanza da capire che era sveglia, aveva miseramente fallito. Eppure le dosi di sonnifero che era riuscita a prelevare dal carrello dei medicinali le erano sembrate abbastanza, ma evidentemente si era sbagliata. Aveva avuto un'unica possibilità e aveva fallito. Adesso le guardie sapevano, i medici sapevano, e non avrebbero mai più commesso l'errore di entrare all'interno della sua cella con i farmaci, ne era certa. C'era qualcosa di strano però in quel risveglio, qualcosa che all'inizio non aveva notato, troppo concentrata com'era a maledirsi per non essere riuscita a togliersi la vita. Nella sua cella non c'era alcun orologio, eppure lei sentiva chiaramente il ticchettio fastidioso delle lancette che si muovevano, scandendo secondo dopo secondo il lento scorrere del tempo. Avrebbe dovuto aprire gli occhi, probabilmente l'avevano spostata nell'infermeria subito dopo averla trovata priva di coscienza sul pavimento, ma non aveva alcuna voglia di scoprirlo. Sapeva già cosa avrebbe dovuto affrontare se avesse deciso di aprire gli occhi e lei non era pronta.
Clarke
Una voce femminile sovrastò il rumore provocato dalle lancette dell'orologio. Conosceva quella voce, l'aveva già sentita, ma non ricordava dove o quando ciò fosse successo. La sua mente stava cercando di convincerla che fosse solo uno scherzo, che la sua immaginazione stesse lavorando troppo e quella era solo una conseguenza di ciò che aveva fatto. Però lei l'aveva sentita quella voce leggermente bassa e roca, che aveva raggiunto le sue orecchie in un flebile sussurro che però lei aveva udito in modo forte e chiaro.
<< Clarke? >> Sentì dire una seconda volta, e a quel punto i suoi occhi non riuscirono più a rimanere chiusi. Doveva sapere, voleva sapere, a chi appartenesse quella voce. Socchiuse le palpebre con diffidenza, il timore di essere punita un'altra volta per il gesto commesso ad attanagliarle lo stomaco.
<< Clarke, sei sveglia? >> Un tocco delicato sulla sua mano la fece sobbalzare, abbassando lo sguardo riuscì a scorgere delle lunghe dita affusolate stringerle il polso con delicatezza. I suoi occhi scattarono verso l'alto, in cerca della proprietaria di quella voce così familiare da scaldarle il cuore, ma quando le sue iridi cristalline si posarono sul viso stanco della giovane donna, la confusione tornò a travolgerla per l'ennesima volta. Dischiuse le labbra e provò a parlare, ma l'unica cosa che fuoriuscì fu un gorgoglio indistinto e a malapena udibile. Sentiva la bocca asciutta e la gola riarsa. Provò a deglutire un paio di volte, ma fu inutile, l'unica cosa che ottenne fu bruciore. Un lancinante bruciore che le fece strizzare gli occhi ed irrigidire il corpo, era come se un tizzone ardente le stesse percorrendo la gola. Alcuni colpi di tosse le fecero vibrare il petto, mentre la sua bocca si apriva in cerca d'aria. Avrebbe voluto parlare, dire qualsiasi cosa, ma non ci riusciva. Sentì lo stridio di una sedia che strusciava sul pavimento, un rumore che le provocò dei brividi di fastidio e le aumentò il mal di testa che la stava uccidendo assieme al bruciore che provava alla gola. Socchiuse gli occhi una seconda volta, ritrovandosi il volto della donna ad una spanna dal suo. I lunghi capelli castani le ricadevano ai lati del viso arruffati, mentre profonde occhiaie accentuavano ancor di più la sua stanchezza, ma ciò che attirò davvero la sua attenzione furono un paio di iridi color smeraldo, con delle sfumature azzurrine ed argentee ad impreziosirli ancor di più. Quegli occhi le tolsero quel poco di fiato che aveva nei polmoni, li aveva già visti da qualche parte, ne era certa, ma non ricordava dove. Strizzò le palpebre quando una fitta dolorosa la colpì alla testa. La mano destra scattò verso la sua fronte, il palmo gelato a contatto con la pelle bollente riuscì ad alleviare parte del dolore.
<< Clarke, >> sentì dire dalla donna al suo fianco, la preoccupazione che trasudava da ogni lettera pronunciata, << Clarke, so che sei confusa, >> continuò a parlare, ma lei non la stava realmente ascoltando. Più di una domanda affollava la sua mente; dov'era? Chi era quella sconosciuta? Ma soprattutto, chi era Clarke?
Sentiva la testa pulsare mentre le voci tornavano a perseguitarla, tutti quei pensieri, quelle grida d'aiuto, non facevano altro che peggiorare la situazione. Cercò di concentrarsi, ma l'effetto del siero doveva essersi esaurito assieme a quello dei sonniferi e adesso si ritrovava a soccombere, travolta da tutte quelle voci sconosciute. Alzò gli occhi verso il soffitto e portò il capo all'indietro mentre il dolore e la confusione non accennavano a smettere. In lontananza sentì un grido disperato squarciare il silenzio, era il suo. La voce le era tornata e stava urlando tutto il dolore che provava in quel preciso istante. Poi d'improvviso ci fu solo buio, una coltre di tenebra che calò su di lei e la stordì fino a farle perdere i sensi.
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The Great Game
FanfictionIn un mondo corrotto, dove i pregiudizi sono alla base di tutto, è difficile mostrarsi per chi si è in realtà, soprattutto se ciò potrebbe mettere in pericolo la propria vita. Vivere nell'ombra o lottare per la luce? Questa era la domanda che da sem...