Capitolo 17
Clarke
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La stanza era avvolta dal buio, gli occhi faticavano ad abituarsi all'oscurità e l'unica cosa che riusciva a percepire era il pavimento freddo sotto di lei. Aveva le gambe nude, solo un camice striminzito le copriva il corpo. Stava congelando. La temperatura sembrava essersi abbassata di colpo e ciò la straniva, erano i primi di maggio e la primavera era arrivata da un pezzo, non poteva essere così freddo. Provò a spostarsi in avanti, gattonando sul pavimento mentre si aiutava con le mani, tastando la superficie liscia in modo da non farsi male in caso avesse trovato qualche ostacolo nel suo cammino. La confusione non accennava ad abbandonarla e, man mano che proseguiva la sua avanzata, l'oscurità aumentava, rendendole impossibile abituare la vista.
<< C'è qualcuno? >> Domandò con voce tremante, ma nessuno rispose. Rimase in silenzio per alcuni minuti, le orecchie tese in cerca di qualsiasi suono che l'aiutasse a capire di più su dove fosse. Un leggero cigolio la fece scattare, un rumore quasi raccapricciante. Proveniva da dietro di lei, sembrava lontano. Un sibilo che si ripeteva ad intervalli regolari, si fermava per una manciata di secondi e poi ricominciava.
<< Hey? >> Chiamò di nuovo, spostandosi lentamente verso il suono. Aveva paura, non sapeva cosa fare. La sua testa continuava a ripeterle che non c'era niente da temere, che niente avrebbe potuto farle del male, ma il cuore non sembrava voler smettere di battere all'impazzata dentro al suo petto. Continuò a strisciare sul pavimento fino a quando una mano non si immerse in un liquido viscido e freddo. Il respiro le morì in gola e con uno scatto si ritrasse, andando a sbattere contro una parete dietro di lei. Un gemito di disgusto lasciò le sue labbra non appena l'odore pungente del sangue le arrivò alle narici. I conati crescevano, così come il panico e la voglia di fuggire il più lontano possibile da lì. Se solo fosse riuscita a vedere qualcosa, magari avrebbe potuto localizzare la porta e provare ad andarsene. Sempre che quel posto l'avesse avuta davvero una porta. Aveva girato attorno per quelle che le erano sembrate ore, eppure non aveva trovato niente che non fosse una parete continua. Era in trappola. Il cuore prese a batterle nel petto in modo sempre più veloce, il fiato corto e la testa che le vorticava provocandole la nausea. Si pulì la mano sporca di sangue sul camice che indossava, mentre i conati aumentavano e la nausea l'assaliva con più prepotenza di prima.
<< Morirai. >> Una voce ruppe il silenzio, facendola sobbalzare per la sorpresa. Tese le orecchie e sgranò gli occhi, il respiro intrappolato nei polmoni.
<< Chi c'è? >> Chiese con voce tremante, cercando di scrutare qualsiasi figura nel buio di quelle quattro mura da cui non vi era uscita. La voce non rispose, il silenzio tornò ad avvolgerla. Non riusciva più a muoversi e la paura bloccava qualsiasi movimento. D'improvviso qualcosa di freddo ed appuntito le si posizionò vicino al collo, sentiva il fiato caldo di qualcuno scontrarsi con il suo orecchio sinistro e ciò la fece irrigidire ancora di più. Non c'erano porte, non riusciva a capire come fosse riuscito ad entrare lo sconosciuto che le stava alitando sul collo.
<< Morirai, Clarke Griffin. >> Pronunciò la stessa voce di prima, stavolta direttamente nel suo orecchio. Poi la lama che premeva sulla sua pelle penetrò più in profondità, lacerandola e togliendole definitivamente il respiro. Un urlo di dolore le morì in gola, mentre si portava le mani al collo e cercava di fermare il sangue che aveva preso a schizzare in ogni direzione. Stava davvero morendo? La risata del suo assassino era tutto ciò che riusciva a sentire. Voleva urlare, ma non poteva più farlo. Stava morendo e nessuno avrebbe più potuto salvarla. Era la fine.
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The Great Game
FanficIn un mondo corrotto, dove i pregiudizi sono alla base di tutto, è difficile mostrarsi per chi si è in realtà, soprattutto se ciò potrebbe mettere in pericolo la propria vita. Vivere nell'ombra o lottare per la luce? Questa era la domanda che da sem...