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Chi non vuole ascoltarti non lo fa nemmeno se urli, e chi vuole capirti ti capisce anche se non parli

Quel giorno mi resi conto di quanto fosse distruttivo camminare lungo un corridoio pieno di persone mentre si sentiva la necessità di urlare a pieni polmoni. 

Passo dopo passo iniziai a provare sempre maggiormente un senso di pesantezza che mi impediva di respirare con regolarità. 

Mi ritrovai di fronte alle mie amiche con le mani tremanti, i pensieri in subbuglio e la consapevolezza che, a discapito di tutto, avevo fatto la scelta giusta.

Doveva essere la scelta giusta. 

«Ho chiesto a Samuele una pausa», dichiarai senza mezzi termini, interrompendole bruscamente. 

Si guardarono a vicenda, come se volessero capire se qualcuna fosse stata aggiornata su quella decisione. Percepii della confusione e del sollievo nelle loro occhiate. Poi mi abbracciarono. Senza dire una sola parola mi avvolsero in una stretta traboccante di calore e comprensione.

Avevo bisogno di quello. Non necessitavo sproloqui esagerati e insulti gettati al vento. Un abbraccio era più che sufficiente.

Non dissi molto durante la ricreazione e nemmeno nelle lezioni a venire. Continuavano ad osservare in silenzio il ragazzo con il quale avevo condiviso molto, immersa in una nuvola di ricordi.

Mi chiesi per quale motivo, nel bel mezzo di situazioni complesse ed estenuanti, mi ritrovavo a rivangare il passato. Sembrava fosse un riflesso incondizionato volto al fine di sentirmi nuovamente piena.

Piena di amore, gioia e felicità.

Ogni tanto Samuele si girava nella mia direzione, ma gli bastava incrociare il mio sguardo per distogliere immediatamente il suo. Come se quel breve contatto a distanza lo avesse scottato. 

Così come la nostra relazione aveva scottato me. 

Ero intrappolata in una gabbia dalla quale non riuscivo ad uscire. I sentimenti che provavo nei suoi confronti erano la base di quelle convinzioni che mi facevano ancora sperare vi fosse qualcosa di reale da salvare. 

In macchina lasciai che le ragazze proseguissero con i loro discorsi, perdendomi ad osservare il paesaggio sfrecciare sotto i miei occhi. Guardare fuori dal finestrino mi aiutava a non sentirmi oppressa da emozioni che non volevo affrontare. 

Mi distrassi solo una volta, controllando l'anteprima di alcuni messaggi ricevuti.

Erano tre. Tutti da parte di una persona. Mirko.

Non avevo nessuna voglia di avere a che fare con la sua vena ficcanaso e il suo improvviso bisogno di occuparsi per me. Volevo essere lasciata in pace e, per quel motivo, lo ignorai.

Quando scesi dall'auto di Luna, mi ricordarono che, se avessi avuto bisogno, sarebbero state a mia completa disposizione. Le ringraziai, chiusi lo sportello ed entrai dal cancelletto. Notai subito la macchina di mia mamma parcheggiata nel vialetto e mi preparai mentalmente ad una conversazione forzata.

I miei genitori si erano conosciuti lavorando ad uno stesso progetto. Mia madre si stava occupando di ravvivare l'immagine di un'azienda che aveva visto tempi migliori, e mio padre invece si stava impegnando nella ristrutturazione della palazzina principale.

La loro storia, nata fra le mura di un ufficio, si sviluppò in fretta. Forse fin troppo. Tanto che non rimase praticamente nulla del loro matrimonio, se non un cumulo di macerie sulle quali avevo basato gran parte delle mie paure e della mia adolescenza. 

Prima che potessi entrare in casa, mi ritrovai a dover rifiutare una telefonata da parte del ragazzo più insistente sulla faccia della Terra.

Arrivai a maledire il giorno in cui, due anni prima, Aurora aveva dovuto utilizzare il mio telefono per contattarlo poiché il suo era scarico.

Baciami ancoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora