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I don’t think I can ever imagine you being a bad guy

“Cinque, sei, sette, otto.”

Jimin muoveva i suoi piedi sul pavimento grazioso come sempre, le scarpe di tela salde sulla pelle sotto di essi. Le braccia si muovevano come le ali spiegate di un pettirosso, così disinvolte e precise. Sentiva la musica risuonargli in ogni cellula del corpo. Il bruciore dei piedi lo spingeva ad andare avanti mentre tentava di rendere i suoi movimenti il più precisi possibile. La musica si fermò all’improvviso e una voce stridula familiare rimbombò in tutta la stanza. Se la voce fosse stata un po’ più forte, Jimin era sicuro che lo specchio che si estendeva per tutta la lunghezza del muro si sarebbe frantumato.

“Park Jimin! Sei uno dei nostri migliori studenti. Mi aspetto di più da te! Dov’è la tua energia?”

Jimin si asciugò il sudore dalle sopracciglia e si guardò i piedi. Si odiava così tanto in quel momento. La danza era un qualcosa che aveva fatto parte di lui fin da quando riusciva a ricordare. E il non riuscire a perfezionarla lo portava ad odiarsi.

“Mi dispiace. Mi impegnerò di più.”

L’insegnante socchiuse gli occhi guardandolo e fece ripartire la musica e questa volta i suoi occhi da falco erano concentrati solo su Jimin invece che su tutti gli altri studenti nella stanza. “Farai meglio ad andare bene. Sei qui grazie ad una borsa di studio perché pensiamo che tu sia bravo.”

Jimin fissò il suo riflesso allo specchio e ricominciò. Questa volta però era forse passato il primo minuto quando la musica si fermò ancora.

“Cos’hai oggi?” L’insegnante chiese disperata, facendo sì che tutti gli altri studenti si fermassero a guardare Jimin con occhi preoccupati. “Resta qui ed esercitati per un’ora. Capito? Gli altri possono andarsene.”

Mentre le persone lasciavano la stanza una ad una, Jimin chiuse gli occhi e si abbracciò. Non capiva perché l’insegnante fosse così severa con lui. I piedi gli facevano male e si lamentavano, le mani bruciavano, la testa gli faceva male per essersi esercitato più di quanto le sue capacità gli permettessero. Tuttavia continuò, i suoi passi non erano esitanti e la sua determinazione non indebolita. Non fece nemmeno caso al tempo. Continuò finché non sentì le ginocchia arrendersi e cadde a terra. Guardò l’orologio appeso al muro e notò che erano passate due ore. Il suo corpo protestò quando si alzò e inciampò andando verso il suo zaino per raccogliere le sue cose. Avrebbe dovuto correre, altrimenti sarebbe arrivato tardi a lavoro. Si sedette e si accasciò contro il muro quando si tolse le scarpe di tela. Un gemito di dolore gli scappò dalla bocca alla vista della pelle graffiata e irritata e dei lividi verdi lungo il tallone.

Fortunatamente Jimin giunse al bar in orario ma i piedi gli facevano male e minacciavano di cedere ad ogni passo. Il cassiere era tornato a lavoro quindi Jimin dovette tornare a prendere ordini e pulire tavoli, cosa che consumò ogni traccia di energia rimastagli e lo lasciò prosciugato fino all’osso. 

La campanella suonò quando un ragazzo dai capelli nero corvino entrò, mantenendo la promessa di recarsi al bar ogni giorno. Si sedette allo stesso tavolo dell’ultima volta e si guardò intorno cercando Jimin con gli occhi scintillanti quando si accorsero del ragazzo che camminava verso il suo tavolo con il block-notes in mano. 

“Hey,” Jungkook mormorò, notando l’aspetto di Jimin. Per qualche motivo sembrava spossato e stanco, sembrava che il vento potesse portarlo via al minimo soffio. Jungkook notò anche che stava zoppicando, o forse era solo una sua impressione.

“Ciao,” una voce dolce lo salutò ma Jungkook riuscì a sentire il lieve sforzo nascosto dietro di essa. “Stesso ordine dell’ultima volta?”

strawberries and cigarettes // jikookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora