Capitolo 48

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Scendo dall'aeroporto e l'aria di casa mi si butta addosso prepotente, mi abbraccia come un bentornato dopo che mancavi da tanto. Mi tiro giù gli occhiali da sole che portavo in testa e mi guardo intorno. Naxos è una delle isole Cicladi, la più grande. Ci sono molte spiagge, le più importanti si trovano sul lato occidentale dell'isola. La cosa che viene all'occhio subito è la Portara ovvero la porta del tempio di Apollo, quello in cui andavo sempre da bambino, voluto dall'ambizioso tiranno Ligdami intenzionato a costruire il più grande tempio della Grecia. In realtà, il tempio non fu mai terminato. La Portara si trova su un isolotto di nome Palatia, collegato all'isola da una striscia di terra. Uno dei migliori momenti per ammirare la Portara è al tramonto, quando il sole si getta nel mare passando dietro l'enorme arco.
Secondo il mito qui in questa isola venne abbandonata Arianna dopo che aveva aiutato Teseo ad abbattere il Minotauro, ma venne salvata dal dio Dioniso che volle sposarla, portandola via da un carro trainato da pantere.
Il mio posto qui però è la spiaggia di Alykó, è una spiaggia con una sola chiesetta, isolata, in tranquillità, non c'è mai nessuno perché pochi ne conoscono l'esistenza. Il mare è spettacolare e quando hai bisogno di pensare o semplicemente hai voglia della tua tranquillità, questo è il posto perfetto. Penso che ci passerò più tardi.
Mi guardo intorno e sparse per tutta l'isola ci sono le torri di Naxos che erano parte di un  sistema difensivo che comprendeva l'avvistamento delle navi nemiche che si avvicinavano all'isola e un sistema di comunicazione tramite segnali che venivano trasferiti di torre in torre in modo da diffondere le informazioni in ogni angolo dell'isola.
Mi addentro nella città e i fiori la fanno da padroni. È pieno di quei fiori rosa che non ricordo mai il nome. Le case bianche e blu riflettono il sole che picchia su di esse. Sento la mia lingua e mi sento di nuovo a casa, avevo nostalgia.
Non sarei tornato subito se non fosse andata così, però adesso mi sembra la cosa più giusta. Me la ricordo ancora la strada di casa di mia nonna, la percorrerei ad occhi chiusi. Prendo quella via che però facevo sempre al contrario perché abitavo dall'altra parte della strada. Mi fermo davanti e passo la mano sulle sbarre del cancello che è ancora incrostato al lato destro. Non lo abbiamo più pitturato. Suono e lei apre senza guardare ne chiedere chi fosse. La strilleró per questo. Ma non è ancora ora, entro di botto e la travolgo nel mio abbraccio, lasciando cadere delle piccole lacrime per l'emozione. La stringo e lei si accorge che sono io.
"Kostas.." mi sussurra. Il profumo di lavanda invade tutti i miei sensi, è come se lo potessi anche toccare. Le stringo la vestaglia, la annuso, me la respiro. Mi fa stare bene. Non vorrei staccarmi più da lei, mi passa la mano sulla schiena e poi mi tiro su. Mi asciuga le guance con le sue mani morbide ma piene di rughe per l'età ormai avanzata.
"Come mai questa visita? Non me lo aspettavo, una bella sorpresa amore.." mi dice.
"Mi mancavi.." le rispondo.
C’è da riflettere sulla parola mancare. Dicevamo "Mi manca" davanti alla figurina che ancora non avevamo nell’album, e "Ce l’ho" quando era una già incollata. Ecco quindi che forse è tutto lì, nell’incollarselo dentro, qualcuno, per non dire mai "Mi manchi", ma sempre "Ti ho". Ed io lei la porto dentro, mi manca si, ma ce l'ho, ovunque, dentro e fuori.
"Sbaglio o forse non è solo questo?" mi chiede sistemandomi i capelli. Ha ragione, non è solo quello c'è molto di più. Stacco l'abbraccio e ci andiamo a sedere al tavolo.
"C'è qualcosa che mi vuoi dire?" mi chiede. Sospiro. Ci sono tante cose che vorrei dirle. Così prendo coraggio e le racconto tutto, di come sto, di cosa è successo con Camilla, della mia voglia di andare via, del grande problema che sono io che non so tenermi nulla.
"Senti Kostas, non puoi fattene una colpa se qualcosa va male, ma non puoi stare neanche così, insomma. Ti vedo distrutto, in frantumi, ma lo sai che mi diceva sempre la mia mamma?" mi chiede e scuoto la testa "che cadere fa bene; innamorarsi della persona sbagliata andava bene; che piangere andava bene; non c'era niente di sbagliato nel fare errori, perché impariamo da loro, perché nessuno è nato sapendo e perché nessuno è perfetto. Ma arrendersi, mi ha detto, questo tesoro, è proibito." mi dice.
"Quindi cosa dovrei fare nonna? Farei bene ad andare via da lì?" chiedo con la testa appoggiata al tavolo.
"Se ti rende felice amore, puoi fare tutto. Certo dovrai riniziare tutto da capo, credi che potresti farcela?" mi da una tazza di caffè che dopo aver assaggiato quello italiano non è che mi piace molto.
"Credo di sì, una nuova città, nuova gente, tutto diverso, senza che rischi di incontrare di nuovo quella donna che nonna, ti giuro, mi fa male. Come se fossi caduto di nuovo in quel tunnel. Fa più male perché è la seconda volta capisci, la ferita è stata riaperta."
"Ti capisco Kostas, qualsiasi cosa tu sceglierai di fare io ti appoggeró sempre, perché se tu non sei felice non lo sono neanche io.. Vieni ti preparo qualcosa da mangiare che tu non mangi affatto li, sei dimagrito" mi dice e inizia a cucinare.
"Ma no nonna, non ti preoccupare certo che mangio"
"No non mi pare proprio, guardati sei pelle e ossa" sbuffa.
Mi guardo e non mi sembra essere una radiografia come dice lei, anzi. Si preoccupa però, come tutte le nonne del mondo. Non importa se stai male, o hai fallito in qualcosa lei troverà sempre il problema nel cibo. Non ti prende il cellulare? Per forza non mangi! Questa cosa mi fa sorridere. La guardo mentre cucina con la sua immancabile vestaglietta blu a fiori bianchi e i capelli grigi raccolti in un cipollotto, lo sguardo stanco di chi ha retto una intera famiglia da sola, ma quel sorriso che fa riscaldare il mondo e fa sorridere anche me.
Mi fa la miglior cena che potessi mangiare. Neanche al ristorante avrei mangiato così bene, giuro. Guardo il corridoio e penso a quando ero piccolo e mia nonna mi insegnava a camminare, ricordo che percorrevo il corridoio di casa con una pila di libri sulla testa, non erano libri qualsiasi ma i miei libri di favole preferiti. La nonna mi diceva che se abbassavo lo sguardo per vedermi i piedi la testa si muoveva, i libri perdevano l'equilibrio e cadendo a terra si ferivano gli angoli e loro, a differenza delle persone che guariscono, una volta rovinati rimangono feriti per sempre. Così mi ha insegnato a camminare a testa alta. Non sempre ce la faccio, alcune volte non ci riesco, poi ci penso e la tiro su, non devo vergognarmi di niente, non devo aver paura di niente, se lei è con me. Devo dire che questa visita mi ha fatto molto bene, non potevo fare scelta migliore.
Mi chiede se i miei sanno che sono qui in città e se ho voglia di andarli a trovare. Scuoto la testa. No, non ci andrò perché hanno sbagliato con me, nessuna chiamata, niente di niente. Sono venuto solo per lei. Mi guarda, lo vede che sono assente.
"Kostas, la gente ha paura di innamorarsi troppo, perché quando una cosa ti rende felice, se poi finisce, finisci anche un po tu.. Ma non per questo devi abbatterti e non provare più le stesse emozioni, anzi. Devi lottare ancora di più. Vedrai che un giorno, prima o poi, arriverà da solo. E quella sarà la miglior alba che tu abbia mai visto" mi dice. Le sorrido.
La aiuto a sparecchiare, lasciando da parte i discorsi seri, e prendendo quelli leggeri, vuole sapere ogni cosa sia successa in questi ultimi anni. Parlo con piacere e lei mi racconta gli ultimi scoop dei miei amici. Decidiamo di uscire un po'. Ho visto ragazzi vergognarsi ad uscire con i suoi nonni, non l'ho mai condiviso, io darei oro per portarmela a casa, con me. La prendo sotto braccio e camminiamo per le vie del quartiere sempre vicino casa perché potrebbe stancarsi. E durante questa lenta passeggiata mi accorgo che forse la mia metà l'ho sempre avuta al mio fianco, sotto braccio.

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