capitolo 7: L'amicizia di Chicco

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- Chicco!

- So come mi chiamo, vorrei piuttosto sapere come si chiama quel tizio.

Intanto Lukas si è allontanato, si è avvicinato ai gemelli e sta parlando con Giacchy.

- E' lo zio dei gemelli, il fratello di Grazia. È in visita.

- il nome grazie.

- Lukas!

- ... e mi spieghi perché stava per baciarti?

Non ce la posso fare ad affrontare anche Chicco, non è il momento per raccontargli tutto quello che mi è successo nelle ultime ventiquattro ore anche perché io stessa ci sto capendo ben poco.

- Ma va... che diavolo ti salta in mente! Mi è entrato qualcosa in un occhio e gli ho chiesto di controllare, è pieno di moscerini e avevo paura che uno di quei cosi si fosse appiccicato al mio occhio. Anzi, mi sembra di sentirlo ancora. Prova a guardarci tu.

Mi allungo verso di lui e con l'indice apro l'occhio fino a sfigurarlo, so di essere buffa e spero che sia sufficiente per distrarlo. Funziona. Chicco scoppia a ridere, la sua meravigliosa risata contagiosa, quella che da un anno ad oggi mi ha regalato pochissime volte. Strano che proprio in questa occasione, con un perfetto estraneo a pochi metri, riesca a liberarsi di quelle barriere sottili, ma invincibili che ha costruito dopo l'incidente per tenermi a distanza. Mi appago di questo suono, mi fa tornare indietro nel tempo, a prima di tutta questa confusione, quando liberi e legati da un'amicizia che solo noi capivamo appieno passeggiavamo per la città e parlavamo per ore intere senza aver nulla da dirci, ma senza mai smettere. Confidenze, segreti, gossip, cavolate, tutto quello che ci passava per la testa, senza censure e senza paure. Non tutti comprendevano la nostra amicizia, qualcuno malignava sospettando che sotto sotto fossimo amanti o qualcosa del genere, alcuni addirittura avendoci visto insieme da sempre pensava che il nostro rapporto avesse qualcosa di incestuoso. Ma noi li lasciavamo parlare, noi sapevamo la verità e non ci importavano quelle dicerie. Siamo sempre stati l'uno l'ossigeno dell'altro. Quel giorno cambiò tutto. Quel giorno, una distrazione inaccettabile, ma pur sempre un'incidente cambiò la mia vita, ma anche la sua.

Eravamo appena tornati da un pomeriggio piuttosto impegnativo. Era sabato e non un sabato qualunque, ma un sabato organizzato da mesi. Era il nostro reciproco regalo per i diciassette anni e lo avevamo atteso con ansia e desiderio fin da quando avevamo solo dieci anni. Il volo in parapendio. Ero certa sarebbe stato meraviglioso liberarsi nell'aria e sentirsi padroni del mondo, almeno per quell'istante in cui le membra si liberano della forza di gravità, ma andò molto diversamente. Prima di tutto mi assalì l'ansia perché compresi che non sarei scesa con Chicco, ma con un estraneo, sebbene un esperto istruttore necessario per evitare di schiantarmi al suolo. A quel punto è subentrata la delusione, se non potevo scendere con Chicco, per lo meno speravo di farlo da sola, ma ovviamente per lo stesso motivo per il quale non potevo volare con Chicco, non potevo farlo nemmeno da sola. Mi rassegnai e seguii tutte le direttive, quando fui pronta e ben legata alla guida ci lanciammo. Ero certa avrei provato gioia, libertà, potere. Al contrario subito mi aggredì la paura, il terrore, sentivo i piedi che cercavano disperatamente la terra, volevo il suolo, l'erba, il terreno, tutto quanto mi facesse risentire viva, lì in aria mi sentivo morire. Cercai di dirlo all'istruttore, volevo chiedergli di portarmi giù, ma non riuscivo quasi a respirare, tanto meno avrei potuto parlare. Il panico stava prendendo il sopravvento, il cuore voleva saettare fuori dal torace per cercare un luogo dove sentirsi al sicuro e la vista si annebbiò fino a mostrarmi solo piccole scie luminose e vibranti, stavo perdendo i sensi. Poi qualcosa mi ridestò, sentii una vibrazione, una sorta di sollecito delicato sotto la pianta dei piedi, come aria compatta che premeva e mi permetteva di sentirmi sorretta o comunque appoggiata. Grazie a quel piccolo sostegno mi sentii meglio. Poi un altro fremito intorno ai polpacci, questa volta la sensazione fu diversa, venni avvolta da una morbida coperta accogliente fatta d'aria tiepida. Ripresi a respirare regolarmente, il cuore frenò la sua pazza corsa e il panico perse il dominio sul mio corpo e sulla mente. Tra le braccia dell'aria più che dell'istruttore riuscii a godermi quella bella esperienza. Non ho mai capito cosa sia successo veramente, ma comincio a credere che esista un collegamento tra tutti gli avvenimenti strani che mi sono capitati nell'ultimo anno. Tra le nuvole il tempo passò velocemente e mi ritrovai con i piedi a terra più in fretta di quanto pensassi. Chicco era già atterrato da qualche minuto e mi corse incontro saltellando come un grillo. Agitava le braccia in aria ed emetteva urletti di gioia, aveva amato quell'esperienza più di qualsiasi altra cosa avesse mai provato. Era quasi isterico, le frasi sconclusionate e la voce stridula ed alterata dall'eccitazione. Mai gli raccontai del mio panico iniziale, mi sentivo imbarazzata per aver provato tanta paura, era stato il nostro sogno, ma per me per qualche attimo si era trasformato in un incubo. Lui non era solo entusiasta, era elettrizzato e dalle sue parole capii che per la prima volta nella nostra vita avevamo qualcosa che ci divideva diametralmente, oltre ai gusti per i libri. Io sono fatta per stare ancorata alla Terra, lui in Aria. Tornando a casa in moto percepii ancora di più il suo desiderio di tornare lassù, alzava la testa sollazzandosi del vento sul viso e allargava le braccia lasciando il manubrio incustodito. Continuavo a dargli colpetti sui fianchi per farlo tornare alla realtà, ma mi ignorava quasi sotto un incantesimo. Anche a casa l'euforia non pareva voler allentare la presa. Entrambi eravamo affamati, piombai in cucina e cominciai a rovistare in frigorifero. Siamo cresciuti tra casa mia e casa sua, nessuno di noi due ha mai provato imbarazzo o timidezza nella famiglia altrui o nella casa altrui e anche i nostri genitori in questo senso ci hanno lasciati liberi di muoverci sentendoci in famiglia in entrambe le case. Preparai due panini con prosciutto e formaggio, un thè caldo al limone e trovai in forno ben nascoste due fette di crostata alla marmellata. Niente paura, siamo sempre stati abituati a trangugiare dolce e salato alternativamente senza problemi. Chicco nel frattempo era andato in camera sua per cambiarsi, nell'eccitazione del volo aveva strappato la manica della maglia. Visto che tardava a tornare in cucina andai vicino alle scale per chiamarlo, ma niente, allora salii e udii un rumore provenire dalla stanza delle armi, la stanza dove il padre di Chicco tiene tutti i suoi fucili. È una guardia forestale e ha una vera e propria passione per le armi, ha una collezione di fucili da caccia davvero impressionante. Io odio le armi, ma avendo vissuto in casa sua tanto quanto nella mia, mi sono abituata ad averle intorno, non tanto per quella stanza che è sempre stata rigorosamente chiusa a chiave, piuttosto perché il papà di Chicco che ce le mostrò più volte rendendoci così consapevoli della loro minaccia.

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