Capitolo 13 (parte 2)

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Lily armeggiò con la serratura, cercando di trovare la chiave giusta, e riuscì ad aprire la porta. La scansò con un calcio, poi si guardò intorno nella stanza. Doveva pensare e doveva farlo in fretta. 

Si affacciò alla finestra per controllare l'esterno e vide che non c'era nulla intorno a loro, solo pianura, la strada di fronte era sterrata. «Non osare abbandonarmi qui con quello psicopatico» proferì, guardando in direzione di Yael – Jona, Alexander o qualunque fosse il suo vero nome. 

Rovistò in alcuni cassetti, in cerca di qualcosa, qualsiasi cosa potesse servirle per immobilizzare l'altro e tenerlo buono fino all'arrivo dei soccorsi – che quella volta non avrebbe esitato di certo a chiamare una volta recuperato un cellulare.

«Io non posso tenere a lungo la luce, Lily. Non so se Yael riuscirà a prenderla prima di Alexander» rispose la personalità dell'albino. Si era circondato il busto con le braccia, spaventato quanto lei.

 Altri cinque minuti chiusa lì e avrebbe dato di matto. Riuscì a trovare una corda appesa a un vecchio e logoro appendiabiti. Cercò di srotolarla il più velocemente possibile, con l'ansia che ritornasse Alexander e mettesse a freno il suo piano, l'unica possibilità di salvezza che aveva.


«Jona, devi scusarmi, ma devo legarti prima che venga qualcun altro. Lo faccio per voi, e per me stessa. Siamo tutti in pericolo, se Alexander torna alla luce siamo tutti fottuti, mi segui?»


L'altro annuì, gli occhi sgranati e di un azzurro così chiaro da sembrare uno stupido filtro di Photoshop. Lo bloccò con le spalle attaccate all'appendiabiti, cercando di legargli prima le braccia, poi le gambe, e stringendo numerosi nodi. Si bruciò le dita con i filamenti sfilacciati della corda, ma continuò a stringerla con tutta la forza che aveva in corpo.


«Così riesci a muoverti?» chiese.


La luce tremolò, poi si spense. Yael scosse il capo, poi si bloccò, aveva visto i suoi occhi spalancarsi appena era arrivato il nero a ricoprire tutto. Lily capì che stava lasciando spazio a qualcun altro e che la luce aveva scelto il momento sbagliato per vacillare e lasciarli nell'oblio. 

Cercò l'interruttore lungo le pareti, trascinando le dita sui muri grigi e umidi.


«Non ne posso più di vedere solo il buio» disse Yael. La sua voce si era abbassata di qualche tono, aveva assunto un tono più dolce. Femminile, aveva pensato Lily.


Trovò l'interruttore, pigiandolo con la punta dell'indice.


«Tu chi sei?» chiese, attendendo che la luce ricominciasse a illuminare la stanza, rendendo le ombre più marcate lungo le pareti.


«Oh, ciao Lily. Sono Aika, una volta abbiamo parlato. Perché sono legata?» disse, guardandosi intorno smarrita, come se vedesse quel posto per la prima volta – e probabilmente era così.


Lily si portò le mani fra i capelli. Era uno psicopatico. Yael era lo psicopatico peggiore che avesse mai visto perché nemmeno in quei cazzo di film horror che guardava c'erano mostri simili. 

Proprio per questo non sapeva come comportarsi. Decise che aveva bisogno di sapere, di avere tutti i pezzi del puzzle davanti, chiari.


«Aika, dimmi una cosa» sospirò, tenendosi a distanza sebbene l'altra non potesse nuocerle – sebbene non sembrasse nemmeno interessata a farlo. «Yael... o qualcun altro di voi, fa l'insulina?»


Forse non era la domanda più importante, ma era un primo enigma come un altro che sentiva il bisogno di sfatare, doveva vederci chiaro. Era arrivata alla fine, no? C'era bisogno che tutti i nodi venissero tirati via dal pettine.

The ghost in your roomDove le storie prendono vita. Scoprilo ora