Capitolo 13 (parte 1)

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[NdA: La fan-art all'inizio è stata realizzata sotto mia richiesta da un mio caro amico. Non ha Wattpad, ma se volete dare un'occhiata ai suoi disegni potete cercarlo su Instagram, il suo nickname è Moonsyke ♥
Inoltre, ora posterò un secondo capitolo per raccogliere tutte le fan-art della storia lì.
Siamo quasi alla fine, non uccidetemi per la svolta che prenderà la storia con questo capitolo. ♥] 



Lily non sapeva quanto tempo aveva trascorso nell'oblio dell'incoscienza, ma a giudicare dal dolore delle sue gambe intorpidite e dal bruciore allo stomaco, causato probabilmente da un'assenza prolungata di cibo, doveva esserne trascorso un bel po'.


Aprì gli occhi, portando le mani alle tempie che le pulsavano; si sentiva come se una miriade di coltelli le avesse trapassato il cranio da una parte all'altra. 

Si guardò intorno, notando una stanza spoglia, vuota. Le pareti grigie avevano gli angoli intaccati dalla muffa e sul pavimento c'era uno strato spesso di polvere. Abbassò gli occhi sul suo corpo, indossava ancora gli stessi abiti che aveva messo addosso la mattina in cui Yael si era precipitato a casa di Steve, comunicandole la sua morte e costringendola ad allontanarsi subito da lì e cancellare ogni traccia. Il tempo era trascorso velocemente, senza mettersi freni. Aveva dormito su una coperta di lana dall'aria logora, a quadri rossi e blu. 

Si alzò spaventata, cercando di capire dove diavolo si trovasse e, soprattutto, cosa ci facesse lì. Dov'era, l'ultima volta? Si sforzò di ricordare, oscillando sulle gambe inferme, e solo allora le tornò alla mente il colpo alla testa che l'aveva spenta. 


La camera era troppo buia e non riusciva a vedere granché. Camminò in avanti, allontanandosi dalla coperta. Era una stanza spoglia, senza nulla se non qualche mobile di legno qua e là lungo i muri, rovinato e dall'aria vecchia. Non c'erano finestre o porte. Si fermò solo quando finì per sbattere con le spalle a delle sbarre di metallo che attraversavano in verticale la stanza, dal soffitto al pavimento. Corrugò le sopracciglia, sforzandosi si trovare una via d'uscita, una qualunque, e senza ottenere nulla. Non riusciva a vedere niente aldilà delle sbarre. C'era una porta nel metallo, probabilmente la stessa da cui era entrata – incosciente, senza rendersene conto e senza poter lottare –, ma abbassando la maniglia rimaneva chiusa. Si sforzò di premerla verso il basso con forza e provò anche a colpirla con un paio di calci, nel tentativo di romperla, non facendosi troppo male solo grazie alle suole delle scarpe. 


Solo quando capì che non c'era modo di uscire da lì arrivò l'ansia. Impetuosa e irrefrenabile una volta che si è in trappola, si è stati fregati e non c'è alcun modo per venirne fuori.


Cercò di sforzarsi di mantenere la lucidità e di ragionare. Perché era lì? Chi l'aveva rinchiusa?


Non aveva nemmeno bisogno di formulare quelle domande, la sua mente c'era arrivata senza mettere su davvero quelle consapevolezze e formare delle frasi. Ma lo sapeva, Lily. Era palese che si trovasse lì per colpa di Alexander. Come fosse entrato in casa e l'avesse trascinata via non lo sapeva e nemmeno le importava. Avevano perso.
Che fine avesse fatto Yael non poteva saperlo.
Era morto? La stava cercando?
Avrebbe preferito la seconda opzione, eppure non le sembrava di potersi fidare della speranza.

Avevano fallito e Alexander li aveva trovati prima che loro potessero fare qualcosa per evitare di andare incontro alla morte. Se lui l'aveva portata lì il motivo era uno soltanto: voleva ucciderla, era arrivato il suo momento, erano arrivati alla fine. Dopo due lunghe ore di film, eccola arrivata all'epilogo. Avrebbe visto Alexander, avrebbe scoperto chi era. Lily sapeva che era arrivato il momento che aveva aspettato per tutta la durata della pellicola: l'incontro faccia a faccia con l'omicida, l'antagonista di quella che era la sua storia, e che sarebbe presto giunta al termine. 

The ghost in your roomDove le storie prendono vita. Scoprilo ora