26 Novembre, 1870

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per tutta la mattina non feci altro che rigirarmi nel letto, a pensare.

Non mi piace andare ai gala o alle feste. È pieno di persone superficiali, che credono di essere i capi del mondo.
Eppure, devo farlo per lavoro.

Con riluttanza, mi alzai dal letto e mi vestii. Una semplice camicia bianca, dei pantaloni color marrone scuro e un maglione dell'ennesimo colore.

Scesi le scale, salutando i domestici che facevano avanti e indietro per tutta la casa.
Appena arrivato in cucina, mia cugina mi fulminò con lo sguardo.

"È mezzogiorno, tra sette ore dovrai essere al gala e" mi guardò dalla testa ai piedi "questo" mi indicò "non è accettabile".

Alzai gli occhi al cielo "non ho intenzione di presentarmi a casa Malik vestito così, cugina, non preoccuparti".

Lei sbuffò "non sto parlando dei vestiti, cialtrone, parlo del tuo aspetto. Capelli troppo lunghi e barba trascurata. Hai delle occhiaie che potrebbero fare invidia a me quando rimango in piedi a studiare e, per finire" indicò tutto me "puzzi".

Rimasi immobile per qualche secondo, poi mi svegliai e la guardai male "non puzzo. E, anche se fosse come dici tu, ho ancora un sacco di tempo per".

Scosse la testa "il tempo passa più velocemente di quanto tu te ne accorga. Se vuoi l'aiuto di Malik, devi essere impeccabile, devi pur fare una buona impressione".

Mi morsi il labbro guardando il pavimento. Non ha tutti i torti, la famiglia Malik tiene molto all'immagine.

Hazel si esibì in un sorriso a trentadue denti "vedo che hai capito" mi prese il braccio e mi fece sedere "inizieremo dai capelli".

Spalancai gli occhi "non hai intenzione di tagliarli, vero?".

Sbuffò una risata, muovendo una mano "ma ti pare. Sei uscito pazzo?".

Feci un sospiro di sollievo, per poi vedere una domestica munita di forbici e spazzola.

"Non lo farò mica io, potrei combinare casini" disse poi Hazel.

Guardai la mia immagine allo specchio, accarezzando i miei capelli corti.
Hazel mi guarda con approvazione, annuendo tra se e se.

Sbuffai "non mi stavano male prima".

"Erano trascurati" disse "sembravi un barbone".

Mi guardai di nuovo allo specchio, soffermandomi sulla barba "almeno ho ancora la mia barba".

Hazel scoppiò a ridere "come se ti facessi tenere quel mostro sulla faccia. Non se ne parla nemmeno".

Mi portai le mani in faccia, coprendo i peli troppo cresciuti "non se ne parla".

Scosse la testa "tra due ore scendi in cucina per farti tagliare quella..." indicò la barba "cosa".

Aprì la porta e uscì dalla stanza, lasciandomi solo.

Sospirai e mi buttai sul letto, ritrovandomi a fissare il soffitto completamente perso nei miei pensieri.
Ogni tanto mi ritrovo a pensare, e quando succede, penso troppo a troppe cose.
Non è una bella sensazione, ogni volta mi ritrovo col mal di testa e le guance bagnate. Hazel c'è sempre stata per me, anche quando non volevo parlarle per delle nostre discussioni.
Lei è la mia famiglia, ma non posso definirla come "casa".

La differenza tra "ho una casa" e "sei la mia casa" è piuttosto semplice da capire.

Si definisce una persona come casa quando con essa ti senti sicuro, tranquillo.

E io in questo momento sono un senza tetto.

Mi sento così vulnerabile, un essere con un cuore che batte ma con un'anima assente.

Immortal [l.s]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora