01 | Dà qua!

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questa storia nasce come una long incentrata su will byers, per questo
il primo capitolo potrebbe risultare
più lento

( giovedì, 2 maggio 1985 )

━☣━

Mi sveglio di notte come sempre, da due anni a questa parte, in un bagno di sudore. L'ho fatto di nuovo. L'ho sognato nuovamente, nel sonno ho cominciato a stringere il lenzuolo fra le mani, mentre mi dimenavo nel letto per poi spalancare gli occhi, con il respiro affannato. Ho smesso di attraversare il corridoio e infilarmi nel letto di mia madre, ogni qual volta che ho un incubo, perché non voglio spaventarla, voglio solo che sia felice, spensierata e che non mi veda ancora come quel bambino scomparso o il contenitore rotto del mind flayer. Anche se io mi vedo ancora così. Come si può far sì che gli altri ti guardino in un modo, se neanche tu, davanti al tuo riflesso nello specchio, riesci a considerarti tale?

Per gli altri sembra più semplice andare avanti, intendo i miei amici. Forse si aggrappano a qualcosa che io non ho, o forse che non posso capire. Mi piace disegnare però, a volte, quando mia madre non mi guarda, mi disegno, ma non appena mi presta attenzione giro pagina. L'arte, anche se i miei sono solo i disegni di un ragazzino di quattordici anni, è un modo per parlare di sé stessi. Ed è l'unico modo per me, soprattutto quando nessuno sembra volerti ascoltare veramente, allora dei pastelli e un foglio di carta lo fanno al posto tuo. A volte disegno com'ero, prima del 6 novembre 1983, mi piace pensare a quel Will Byers, nonostante i problemi con il padre, le continue prese in giro a scuola, la mia vita poteva essere considerata quasi bella, in confronto a ciò che vivo. Ciò che ho vissuto per un periodo della mia adolescenza, ma che continuo a rivivere ogni volta che chiudo gli occhi, anche se non sono ancora caduto fra le braccia di morfeo, non appena tutto si fa buio, io sono di nuovo lì, solo, piegato in due, stanco anche di chiedere aiuto, di urlare. Mi sentivo intrappolato, mentre qualcun altro, qualcos'altro, mi utilizzava a suo piacimento, senza che io potessi oppormi.

Mi passo la mano sulla fronte e le punte della mia frangetta sono bagnate. Forse dovrei andare a darmi una rinfrescata in bagno. O forse no. La verità è che ho paura. A quattordici anni non è così assurdo avere paura del buio. Io credo di no. Ma dovrei veramente superarla. Oh, se Troy lo sapesse, sarebbe un altro motivo per prendermi in giro a scuola. Lo odio. Mi odio.

Mi infilo le ciabatte e attraverso il corridoio facendomi strada con la mano sul muro. La luce della stanza di Jonathan è accesa, lo si vede dalla fessura della soglia, mi chiedo cosa stia facendo. Che Nancy sia entrata di nuovo di soppiatto? Come se non passassero già troppo tempo insieme. Oh, forse non dovrei neanche pensarlo. Nancy mi piace in realtà, è gentile con me, ma a volte preferirei che i muri di questa casa fossero più spessi e la mia musica più alta. The Clash. Me li fece ascoltare per la prima volta Jonathan, anni fa, li utilizzò per coprire le urla dei miei genitori. Mi piacciono! Da allora li ascolto spesso, anche se i miei non vivono più insieme. L'altro giorno li ho fatti ascoltare a Mike, era venuto a trovarmi da solo, non c'era neanche Eleven, non che la sua mancanza sia stata il motivo della mia felicità, non fraintendermi, lei è forte. Vorrei esserlo anche io. Eleven sa spostare tante cose senza neanche toccarle, anche quelle più pesanti! Come un furgone, mi ha raccontato Mike. Come il demogorgone. E' solo che da quando ci sono le ragazze nessuno sembra essere più interessato a quel che facevamo prima e a me mancano terribilmente quei momenti, prima di tutto, prima che mi sentissi così fragile, prima che perdessi improvvisamente parte della mia adolescenza, un lasso di tempo che nessuno potrà più restituirmi. Ma pensavo di essere ancora in tempo... Mi sbagliavo.

Mike, quel venerdì mattina, era entrato nella mia stanza proprio mentre stavo disegnando, non so come io sia riuscito a nascondere il quaderno fra il cuscino e la spalliera del letto nel giro di pochi secondi «Che stavi facendo?» disse socchiudendo la porta, delicatamente, alle sue spalle e girandosi verso di me. Mi ero accorto di quanto la mia stanza fosse un disastro solamente in quel momento dopo chissà quante ore passate con la testa china sui fogli, avevo finalmente alzato lo sguardo e avrei preferito averlo fatto molto prima del suo arrivo. Il letto era un disastro, pieno di colori, fogli appallottolati, la coperta era finita ai piedi del letto, le lenzuola stropicciate a causa dei miei incubi con un lato scoperto, che lasciava la vista al vecchio materasso macchiato. Lo coprii velocemente, in imbarazzo. Mike è il mio migliore amico, non dovevo preoccuparmi così tanto di come la mia stanza appariva, eppure, mi importava. Era rimasto a pochi centimetri dalla porta, socchiusa alle sue spalle, con le mani dietro la schiena, in attesa di una risposta «Allora?» chiese. Indossava un maglioncino grigio a strisce blu che odiava, mi dà prurito sul collo mi aveva confessato, grattandosi proprio lì, qualche giorno prima, ma alla signora Wheeler piaceva perciò Mike gli aveva permesso di scegliere cosa indossare. La verità è che, credo, soffra, senza ammetterlo, della poca attenzione che i suoi genitori gli concedono, se non per sgridarlo e urlargli di affrettarsi ad arrivare a tavola. Non me ne ha mai parlato direttamente, ma nessuno sembra lamentarsi se sta spesso fuori casa, non credo neanche che sappiano dove è diretto ogni qual volta che mette piede fuori da casa e salta sulla sua bici. Lui la chiama fiducia, facendo spallucce, io non sono d'accordo.

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