15 | Una stradina di ciottoli

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( Lunedì, 24 dicembre 1985 )

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Una stradina di ciottoli affianca la casa di Dustin, dalla quale proviene la sua voce acuta, intenta ad urlare, probabilmente, verso sua madre. Un gatto bianco sosta sull'uscio della porta in mogano, mi lancia uno sguardo e miagola, strusciando la coda lunga contro il tappetino.

Io me ne sto sul ciglio di quella stessa via, le gambe piegate e la schiena curvata verso il terreno irregolare e bagnato, causato dalla pioggia incessante della sera prima. Le poche ore di sonno si fanno sentire e la mia testa sembra costantemente schiacciata dai pensieri della notte.

Allungo la mano per toccare un ciottolo per qualche secondo e una goccia rimane sul dito. In quel momento, Dustin fa capolino dalla porta, sorridente, mentre infila i ricci nel suo cappellino.

«Via!» urla verso il gatto, facendo la voce grossa «Dopo Mews, nessun gatto vale la pena per me» aggiunge puntando il dito verso l'uscita.

Mi ricompongo, alzando il braccio verso Dustin e scuotendo la mano in un saluto. Percepisco un brivido lì dove la goccia scivola, e si infila nelle maniche del mio giubbotto. Dustin si volta e corre verso di me.

«Ma da quanto stavi aspettando in mezzo alla strada? Potevi entrare!» afferma poggiando una mano sulla mia spalla.

Mi gratto il capo «Umh, da poco, tranquillo»

La verità? Avevo aspettato per due quarti d'ora, ma quando la mente corre, non ti accorgi del tempo che passa, in particolare quando in tutta la vita non hai fatto altro che aspettare, a quel punto viene naturale.

Aspettare il divorzio dei tuoi genitori, anche se doloroso, aspettare di poter scoprire l'amicizia mentre le tue gambe spingono verso l'alto, seduto sull'altalena, aspettare tua madre davanti all'uscita di scuola finché non sei l'unico rimasto e hai seguito con la coda dell'occhio tutti i tuoi compagni, mano nella mano, tornare a casa. Aspettare la prima cotta alle elementari, come i tuoi amici, ma non vederla arrivare da nessun angolo, se non al tuo fianco. E urlare nel cuscino senza riuscire a capire neanche te stesso. Aspettare che qualcuno ti trovi, mentre sei nascosto, aspettare che qualcuno ti faccia quella domanda, perché da solo non riusciresti. Aspettare finché il tempo di un ricordo si fa così lontano da iniziare a vederlo sgretolarsi anno dopo anno. Il desiderio di dimenticare.

«Per ripagarti allora... » Dustin lascia scivolare la bretella dello zaino, appoggiandolo con un tonfo a terra, sulla stradina ancora bagnata dalla pioggia «Porca puttana é bagnato!» impreca contro sé stesso, subito dopo essersene reso conto. Il viso si contrae in una smorfia che sembra durare solo pochi secondi.

Dustin alza il capo verso di me e mi sorride. Senza che io possa controllarlo, sorrido di rimando, felice di averlo lì con me. Dopodiché infila le mani nel suo zaino e lo osservo tirar fuori tutto fuorché, sembrerebbe, ciò che cerca.

«Ma che hai lì dentro?» chiedo sporgendomi, mentre lui sembra impegnato nella ricerca. Barrette intere di cioccolato, strisce di liquirizia, cioccolatini, il suo zaino sembra il ripostiglio della befana.

«Per sicurezza, Will, è tutto per la tutela delle mie energie» risponde tirando fuori una manciata di caramelle alla menta.

Una risata sincera fuoriesce dalla mia bocca e per qualche secondo, sembro veramente dimenticarmi di tutto, in compagnia di Dustin «Quindi pensi che la signora Wheeler ci farà morire di fame la vigilia di Natale?»

«Ah non lo so, ma cenare tardi non fa per me!» risponde porgendo dalla mano le stesse caramelle alla menta, verso di me. Improvvisamente ricordo e sono grato di averlo lì con me.

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