12 | Mi sorride

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accade dopo la terza stagione
( Domenica, 15 dicembre 1985 )

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Il telefono è incollato da quaranta minuti al mio orecchio e continuo a cambiare posizione, piegando prima una gamba e poi l'altra, mentre attorciglio il filo intorno all'indice. La voce di Carl arriva calma dall'altro capo e riesco ad immaginarlo con gli occhiali da sole, seduto a gambe incrociate davanti al balcone che gesticola. Il corpo è ruotato verso la finestra e il filo del telefono troppo corto per poter camminare quanto vorrebbe, durante la nostra solita chiacchierata. Infilo la mano nel colletto della mia felpa e lo tiro leggermente, quasi riuscendo a percepire il calore. Lo immagino sulla mia pelle per qualche secondo, nonostante il freddo dell'inverno.

«Lamentati ancora e ti faccio tornare qui con meno ottocento gradi» affermo prendendolo in giro «Non l'ho mai visitata l'Australia, in realtà non sono mai uscito dagli Stati Uniti»

«Questo perché non sei mai stato cacciato di casa, forse dovresti fare qualche cazzata, Will, ti aspetto a braccia aperte»

«No, forse perché non ho una zia single in Australia, si è già pentita?»

Prima della mia partenza verso l'Arizona, prima che tutto accadesse, Carl aveva ricevuto una lettera da sua zia, ricomparsa magicamente, con la quale suo padre, prima della sua morte, aveva perso i rapporti per via della sua dipendenza dall'alcool. Le serviva la sua firma per poter ipotecare la casa della madre, deceduta, che aveva avuto la brillante idea di lasciarla in eredità alla figlia e, in percentuale, al nipote. La firma di un diciottenne sconsiderato che aveva deciso di rigirare la cosa, egli pensava, a suo favore.

«Ah ah ah! Davvero simpatico, l'estate ti ha reso stronzetto e l'inverno ti ha gelato?»

«Non ne hai idea...» rispondo e, per un attimo, le immagini passano davanti ai miei occhi, come schiaffi contro un corpo paralizzato. Una folata di vento entra dalla finestra e rabbrividisco. L'inverno. Molte persone dicono di godersi l'inverno, ma è come se ghiacciasse i ricordi dandoti l'illusione di star bene, per poi scioglierli con un po' di calore, quando meno te l'aspetti. Magari quando stai allungando le mani verso il fuoco del camino, gli occhi che luccicano e le guance rosse, un pezzo ti si scioglie fra le mani, bloccandoti. Il cuore ti fa male e tu sei lì. Perso, che rielabori il passato. L'inverno è così, è come quel vinile rotto di mio fratello che si bloccava nel bel mezzo della canzone, per poi ricominciare. È sempre un ricominciare da capo, un ripercorrere. Vorrei farlo smettere.

«Ancora quel Mike, huh?» chiede, richiamandolo nei miei pensieri. Mike. Mike che mi manca terribilmente. Sento il battito accelerare. Anche il solo nome, pronunciato dagli altri, mi fa questo effetto. Dischiudo le labbra, ma non faccio in tempo a rispondere, poiché il viso di Eleven fa capolino dalla sua stanza, affacciata verso il corridoio.

«Posso usare il telefono?» chiede con la voce bassa, sorridendo. I capelli ricadono sulle spalle, mossi, e il braccio è a mezz'aria, per indicare la cornetta. Ha ragione, penso. È sempre così gentile con me, non so se sia il tono delicato che la contraddistingue, ma anche quando la mia chiamata raggiunge quasi un'ora, lei rimane pacata, nonostante io sia consapevole del fatto che muore dalla voglia di sentirlo. Io annuisco nervosamente a causa della piega che ha preso la conversazione con Carl.

«Scusa, devo riattaccare, Eleven deve fare una chiamata, ci sentiamo presto, giusto?»

«Ah, l'amore. Vada, faccia pure finta di non avermi fatto squagliare il telefono sull'orecchio parlando di Mike, la settimana scorsa, passale pure il telefono per parlare c-»

«C-COSA? MA CHE, NO SMETTILA, CIAO!» urlo riattaccando e poggiando il telefono con troppa forza. Riesco ad immaginare la risata di Carl, affacciato al balcone, la quale rimbomba per la strada. Sospiro, per poi voltarmi verso Eleven che mi osserva con un'espressione confusa in volto. Faccio un passo indietro, per farle capire che può andare e lei alza il pollice come le ha insegnato la mamma qualche settimana fa, dopo che le aveva chiesto il significato di tale gesto, e compone il numero, lentamente.
So che dovrei sbattere la porta della mia stanza e far azionare il giradischi, affinché non possa sentire la loro conversazione, ma a una piccola parte di me, probabilmente, non importa. Una piccola parte di me, desidera ascoltare le risposte di Eleven, per ipotizzare le parole di Mike, consapevole del fatto che non potranno mai essere indirizzate a nessun altro fuorché lei. Rimango, così, nascosto verso l'angolo del corridoio, le mani unite dietro la schiena e lo sguardo fisso verso il basso. Conoscete quel detto? 'Il resto del mondo scompare quando sono con te'? Credo che per Mike ed Eleven funzioni così, anche se distanti, quando il tempo delle loro giornate si incontra in un singolo momento che li vede protagonisti, tutto il resto scompare. Scompare mia madre che la chiama per la cena, scompare mio fratello che passa per il corridoio dopo il lavoro, scompare il rumore della caffettiera pronta, il flebile suono dei polpastrelli del vicino passati sulla chitarra, la pioggia che picchia sul vetro della finestra ed infine, scompaio anche io.

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