07 | Vinili e pregiudizi

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( martedì, 18 giugno 1985 )

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Più tempo passo in compagnia di Carl, più mi rendo conto di quanto la sua amicizia mi faccia stare bene, poter parlare liberamente e ascoltarlo fare dell'ironia, che spesso inserisce nel bel mezzo delle conversazioni. Da come l'impressione di alleggerire tutto, non sento il peso dei nostri discorsi e mi sento bene. E oggi è una giornata di quelle, a casa mia, entrambi con la schiena sulla spalliera in legno del mio letto. Non fumiamo, perché c'è mia madre in casa ma, probabilmente, se fossimo a casa sua, ci saremmo già smezzati qualche sigaretta tra una frase e l'altra. Lei non sembra aver nessun problema al riguardo, Carl le piace, dice che è uno strambo simpatico, che a primo impatto può non dare una buona impressione, ma che in realtà, sotto quella prudenza nei confronti degli altri, risiede un ragazzo gentile. E pensandoci bene, non ha tutti i torti.

Carl è seduto accanto a me, le gambe distese lungo il letto, gesticola mentre mi racconta delle scorse serate. Ha gli occhi vispi oggi, sembra aver dormito, o per lo meno, essersi riposato quanto basta. Io lo ascolto con un cuscino fra le braccia, giocherellando con un filo che fuoriesce dalla cucitura. A dividerci, una ciotola di patatine portate da mia madre, qualche minuto fa, interrompendo, proprio sul più bello, il discorso.

«... E niente, poi ci siamo baciati fuori dal locale» dice portando i palmi delle mani rivolti verso l'alto, per farmi capire di essere arrivato alla fine del racconto. Io alzo le sopracciglia, sorpreso: è così facile? Come fa ad accorgersene? Continuo a pensare. Per Carl sembra così facile, trovare qualcuno che lo ricambi anche per una sola notte, per qualche minuto, il tempo di un bacio fuori dalla discoteca. Le labbra di un estraneo a contatto con le sue.

«Come diamine hai fatto a capirlo?» chiedo dopo qualche minuto di silenzio. Carl si volta verso di me e aggrotta le sopracciglia. Stringo il cuscino verso il petto, in attesa di una sua risposta.

«Che gli piacevo intendi?» guarda verso l'alto e dopo aver fatto spallucce, continua «Boh, credo... Che lo percepisci? Si nota da come ti guarda e oh- poi, insomma, chiaro che se gli fai l'occhiolino e questo ti segue fuori dal locale un motivo ci deve essere, se non per picchiarti» aggiunge sorridendo e infilando una manciata di patatine in bocca. Sussulto

«T-ti hanno mai picchiato per questo?» chiedo abbassando lo sguardo e sentendomi improvvisamente così piccolo. Potrebbero avergli fatto del male per il semplice fatto di essere sé stesso, senza filtri, senza maschere. Dovrei forse avere paura? Ma Carl non risponde, continua a sorridermi, evitando la domanda, quasi facendo finta di non averla neanche ascoltata o presa in considerazione. Mentre fruga nella ciotola, quasi vuota, mi proferisce nuovamente parola, cambiando discorso.

«Tu non lo capisci se piaci a qualcuno? Oh, andiamo, Byers!» chiede dandomi una gomitata e incitandomi a parlare. A quel punto spalanco gli occhi e faccio per prendere, anche io, una manciata di patatine. Carl da un colpo alla mia mano, afferrando l'intera ciotola e posizionandola fra le sue gambe. I capelli cadono sui suoi occhi mentre se ne infila qualcuna in bocca «Fputa il rofpo!»

Rimango con la mano a mezz'aria e scoppio a ridere. Che stronzo. Scuoto il capo mentre sorrido e tiro un sospiro «No» rispondo attorcigliando il filo del cuscino attorno all'indice. Dopo qualche secondo di pausa, fra il ruminare di Carl, lascio la presa, liberando il dito, ormai rosso a causa della mancata circolazione.

«Dannazione, Carl! No! Ti giuro che non lo capisco proprio» alzo la voce, agitandomi. Carl spalanca gli occhi, sorpreso dal mio tono di voce, perciò respiro profondamente, cercando di calmarmi.

«Cazzo, ti piace proprio questo Mike» commenta il moro e per poco non faccio per strozzarmi con la mia stessa saliva. Deglutisco e rimango a bocca aperta. Non gliel'ho mai detto, penso fra me e me. Non gliel'ho mai detto ma l'ha capito.

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