twelfth moment

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Parcheggiò  nel vialetto di quella casa in cui era cresciuta e sorrise nel vedere i suoi genitori uscire immediatamente fuori dal portone come se fossero li da chissà quanto tempo in attesa.
«gnogniii» Aleyda prese a urlarlo contenta mentre i suoi piedini sbattevano contenti sul sedile nella qualche Gwen stava ancora seduta.
Mathias guardava stupito,ancora, il tetto panoramico della macchina, catturato dalle gocce di acqua che si erano depositate nel tragitto da Torino a casa dei nonni.
Suo padre fu il primo ad arrivare alla portiera della macchina, la salutò con un veloce "ciao tesoro" e poi si chinò nell'abitacolo posteriore per slacciare le cinture con la quale i suoi figli erano tenuti saldi nei seggiolini omologati per i bambini.
«gnogno» Aleyda gli posò le mani in volto e si fece prendere per prima,impaziente di sgambettare felice in quella casa che per tratti le apparteneva.
Ad Aleyda apparteneva un po' tutto.
«ciao amore mio» suo padre se la strinse addosso, quando sapeva che i suoi nipoti sarebbero stati due giorni con lei e sua moglie, Marco prendeva le ferie e annullava qualsiasi altro impegno con il mondo.
Essere nonno era la cosa che più adorava, avrebbe detto che lo adorava persino più di quando era diventato padre ma avrebbe mentito per cui aveva messo le due cose sullo stesso piano.
Mathias chiaramente prese a piangere, spaventato che si fossero dimenticati di lui ma quando la mamma di Gwen gli accarezzò i capelli, il bimbo smise immediatamente e fu catturato dalla solita collana che Carlotta portava al collo, quel medaglione che custodiva un piccola foto di Gwen quando era una piccola bimba.
Entrarono dentro, Gwen lasciò le valigie nel corridoi all'ingresso e non fece in tempo nemmeno ad afferrare un pezzetto di torta alle mele che sua madre aveva cucinato la sera prima e che lei tanto avrebbe voluto mangiare.
«devo scappare a lavoro» salutò i suoi figli posandogli un bacio sulle loro piccole labbra da bambini e poi ripercorse l'autostrada al contrario, stavolta dirigendosi alla Continassa.
Quando arrivò nel suo parcheggio personale,si accorse che Andrea era in piedi davanti la porta d'ingresso e teneva uno di quei professionali ombrelli neri dalle dimensioni capienti e le andò incontro.
«Gwen,cara finalmente sei arrivata» il tono disperato con cui la salutò portandosela dietro sotto l'ombrello,come se fosse un bodyguard, la fece a tratti ridere a tratti preoccupare.
Andrea Agnelli viveva di ansia e aveva ansia di avere ansia, insomma una situazione difficile da gestire.
D'altronde un impero è troppo grande da gestire da soli.
«buongiorno Andrea, è successo qualcosa?» gli chiese
«è la notte di champions» la guardò come se le fosse spuntata una seconda testa, in realtà la guardò come se Gwen si fosse rincretinita improvvisamente ma alla giovane donna piacque credere che non fosse cosi.
«si?! Ma infatti ne sentivo parlare tra Paulo e Federico due sere fa, lo dicevo io che doveva esserci una partita di champions in questi giorni...ah, avevo prenotato un hotel per una squadra moscovita così, non si può sapere mai» il suo sarcasmo lo fece scoppiare a ridere e con gli occhi le chiese scusa.
«queste cose mi metto sotto stress» Gwen gli accarezzò la schiena qualche istante e gli sorrise in conforto.
«un bel respiro» gli consigliò e poi entrarono dentro.
Erano appena le nove del mattino, la colazione era stata già servita ma qualcuno dello staff stava ancora seduto lì, così Gwen prese il suo solito cornetto con la confettura all'albicocca e si sedette davanti alla sua tazzina di caffè ristretto ed amaro, accavallando le gambe dopo essersi seduta al suo tavolo, il posto di Paulo fu occupato dal suo capo con cui chiacchierò di fatti personali, tipo la caldaia che si era rotta all'improvviso due giorni fa, mentre lei era sotto il getto dell'acqua che era diventata gelata facendole cacciare un urlo contro Paulo.
Suo marito era solito aprire rubinetti e tirare lo sciacquone proprio mentre lei si trovava in doccia per cui l'aveva incolpato automaticamente salvo poi ricordarsi che Paulo non fosse a casa, almeno per quella volta.
Andrea rise così tanto che gli occhi gli diventarono ancora più piccoli del suo normale e mentre si sistemava la cravatta Paulo si schiarì la voce.
«ciao amore» esordì ma saluto Andrea per primo e Gwen gli schiacciò un occhiolino complice mentre inevitabilmente si alzò nell'aria un'altra risata.
«i veri amori non puoi nasconderli» lo provocò e Paulo stette al gioco posando le mani sulle spalle di Andrea ma puntandole lo sguardo addosso.
Gwen aveva caldo.
«va bene, io vado altrimenti Nedved crede che un buco nero mi abbia appena risucchiato. Non fare tardi Paulo, io conto su di te» salutò il gioiello tra i tuoi migliori giocatori e poi salutò Gwen.
Paulo si chinò su sua moglie e la baciò, per poi sospirare sul finale come se finalmente fosse tornato a respirare.
«buongiorno anche a te» Gwen fu sconvolta da tanta passione cosi pubblica.
«ogni buon marito che si rispetti cerca sempre di far capire come si tratta la propria moglie, ah te l'ho detto mai che io in genere marco sempre il mio territorio» poi si sedette al suo posto ed osservò le guance di Gwen imporporarsi vistosamente.
«i miei figli?» le domandò contento
«sono dai miei, Mat pomeriggio dice di volerci andare per prenderli e portarli al cinema ma sai com'è mio padre, sarà difficile che se ne separi» e Paulo rise, suo suocero era calamitato dai suoi figli.
«quindi stanotte siamo solo io e te» lo disse con una scioltezza tale che poteva sembrare una frase banale ma la colonna vertebrale di Gwen la percepì come una scia di benzina che le bagnò i tessuti della pelle.
Gwen si chinò sul tavolo per accorciare la distanza e poi con voce bassa gli sussurrò: «ti scoperò  ma prima devi mostrarmi il mancino, Paulo Dybala» e poi tirò indietro la sedia alzandosi e recuperando la giacca del suo tailleur rosso; lo salutò con le dita delle mani e poi sculettò andando via prima di girarsi a schiacciargli il secondo occhiolino di questa mattina.
Paulo rimase li, piacevolmente stordito e se avesse potuto vendere l'anima al diavolo l'avrebbe venduta, poi si rese conto che però la sua anima era già nelle del diavolo,il diavolo che vestiva rosso Prada.
La giovane torinese arrivò al suo ufficio mentre tutto era stato già sistemato e i suoi collaboratori le avevano fatto trovare le pratiche a cui avevano lavorato in settimana, cosi che lei gli desse l'ultima controllata e poi firmasse.
Si sedette sulla sua sedia di pelle e si tolse i tacchi sotto la scrivania, aveva tutta una giornata da affrontare, una conferenza stampa pre partita e un marito con cui rotolarsi felicemente tra le lenzuola profumate del loro letto matrimoniale.
Si legò i capelli, che teneva sciolti sulle spalle, sulla testa con una di quelle comode crocchie da ufficio fatte con le matite tra i capelli e poi indossò quegli occhiali che lasciava sul tavolo della sua scrivania, così non avrebbe rischiato di non averli a portata di mano proprio nel momento del bisogno.
Lavoro fino all'ora di pranzo, poi ordinò un bageal al salmone affumicato,avocado e Philadelphia e se lo fece portare nel suo ufficio, stava controllando le ultime manovre economiche che avevano fatto, Mandzukic aveva rifiutato qualsiasi offerta e il surplus che avevano pensato di recuperare non era stato recuperato e cosi Gwen stava provando a capire come avrebbero fatto .
Quando le arrivò il pranzo, ringraziò il ragazzo del bar per cotanta gentilezza e per essersi ricordato dell'acqua che invece lei aveva totalmente dimenticato; ritornò alla sua scrivania spostando le carte per fare spazio e apri la finestra cosi che il sul ufficio non avrebbe puzzato di cibo e poi si rimise al suo posto non spostando lo sguardo dall'ipad nella qualche stava leggendo delle importanti email di lavoro, una dietro l'altra, nemmeno per portarsi i pezzetti di beagel alla bocca.
Mentre stava per buttare il cartone nel cestino della differenziata, proprio all'inizio del corridoio del terzo piano, quello più alto e dove si trovava il suo ufficio accanto alla porta di quello di Andrea, un contento Douglas Costa la sorprese.
«che ci fai qui?» lo salutò contenta,prima di invitarlo a ritornare nel suo ufficio.
«sono passato per stare con i ragazzi ma tuo marito si chiedeva come mai non fossi scesa a pranzo, ha mandato me» Gwen alzò gli occhi al cielo.
Se solo Paulo avesse guardato il cellulare, avrebbe trovato il messaggio in cui Gwen lo aveva avvertito di non scendere al ristorante ma ovviamente Paulo si annullava per la partita quindi sorrise consapevole.
«avevo del lavoro che volevo completare oggi,cosi le cose noiose sono finite e posso tornare a fare le cose che mi piacciono. Tu, come sta andando il recupero?» Douglas si sedette sul divanetto di pelle e afferrò una rivista di vestiti che la Juventus aveva dato vita da due anni e alla quale Gwen aveva lavorato giorno e notte perché la trovava un'idea carina e per fortuna cosi era stato.
«bene, voglio già ritornare a giocare ma il mister e il mio fisioterapista non la pensano cosi» lo capiva, Paulo si comportava proprio allo stesso modo.
«datti tempo cosi quando ritorni, ritorni per rimanere» Douglas sembrò convincersi almeno per quel momento e poi rimase li a farle compagnia mentre Gwen continuò a lavorare fino alle tredici e trenta, quando la sveglia che si era messa suonò avvertendola di avere giusto un'ora scarsa per rinfrescarsi il trucco e per raggiungere l'Allianz cosi da andare in conferenza stampa .
Lasciò le chiavi del suo ufficio a Clarissa la nuova ragazza stagista che stava facendo tirocinio presso il suo ufficio, la salutò dicendole di lasciarle le chiavi nel vaso che stava sul tavolinetto all'ingresso del suo ufficio, tanto di quelle chiavi ne aveva una serie di copie.
Quando si mise in macchina, prima di uscire dal cancello, aspettò che il pullman della Juventus completasse le manovre e quando si mise in strada sembrò quasi che la sua vettura sapesse in che posto andare cosi guidò tranquillamente per circa una decina di minuti.
In fondo, lavorare allo Stadium le mancava per via di quella connessione che instaurava con il campo che aveva da sempre apprezzato ma poi, a ripensarci bene, l'idea di poter pranzare quasi sempre con suo marito la fece ricredere.
Quando arrivò dentro,i corridoi della struttura erano completamento intasati di gente dello staff Juventus, alcuni della sicurezza li conosceva ormai da anni altri invece avevano un volto nuovo per lei ma saluto velocemente lasciando la sua borsa alla sua segretaria e ringraziandola le diede la loro tipica caramella che per scherzo e per gioco si erano scambiate il primo giorno che Gwen aveva scoperto di dover avere una segretaria; le faceva così strano avere una persona a suo fianco che le sistemasse le proprie faccende cosi che lei potesse andare più spedita verso obiettivi più grandi ma alla fine si era dovuta abituare.
Mentre si sistemava la giacca sulle spalle e si metteva in bocca una mentina, una voce inconfondibile la salutò entrando dentro quella piccola sala d'attesa;si aspettava che fosse Bonucci a parlare ma a quanto pare il viterbese aveva volentieri lasciato il posto al portoghese numero sette cosi quando lo vide, lo salutò con la solita confidenza che avevano instaurato tra di loro e poi entrarono dentro nella solita sala delle conferenze stampa .
I posti dei giornalisti non erano stati, ancora, tutti occupati cosi Gwen stette li a chiacchierare un po' con Ronaldo chiedendogli che aria si respirasse nello spogliatoio e poi quando arrivò Sarri per completare la sua conferenza stampa,si disposero entrambi ognuno ai lati del mister che occupò la poltrona centrale.
Alle quattordici e quindici riprese la conferenza stampa di Maurizio Sarri per terminare, dopo una serie di domande tecniche, alle quattordici e quaranta.
Gwen e Ronaldo rimasero li ancora un'altra mezz'ora ,mentre le chiesero le solite domande che riguardavano più la società che la squadra e ormai, abituata a tutto questo, riuscì a cavarsela bene anche quando qualcuno provò a sollevare qualche domanda insidiosa.
«Gwen, come sta tuo marito?» fu la domanda che più le diede fastidio, perché suo marito era una questione che non riguardava nessuna cronaca sportiva eppure lei respirò e pensò bene che alla fine avrebbe potuto rispondere con garbo ed educazione e cosi aveva fatto.
Era uscita da li con la testa che in parte le faceva male ma l'inevitabile eccitazione per il match aveva comunque ovattato qualsiasi altra cosa.
Si sentiva del chiasso provenire da fuori, segno che alcuni tifosi fossero già arrivati, l'istinto la spinse verso l'ingresso sul campo e quando arrivò di fronte quel prato verde,si guardò intorno e respirò a pieni polmoni.
Quel campo, quegli spalti e quelle luci avevano in qualche modo creato la sua famiglia, non c'era Paulo senza tutto questo e allora sorrise contenta strizzando gli occhi e udendo il boato, quell'innalzarsi vigoroso di voci e quel Dybala che rimbombava nel suo petto,nella tasca in alto a sinistra.
«è bello eh?» Giorgio la sorprese
«è immenso» le uscì spontaneo, non precisando se si riferisse allo stadio o all'amore che provava per Paulo.
Rimasero qualche altro minuto a parlare, nulla di importante, le solite chiacchiere tra amici e poi quando tornarono dentro quasi tutta la dirigenza era già arrivata.
Chiamò sua madre per avere notizie dei suoi figli, parlò per un po' al telefono con Aleyda che le chiese perché ancora non fosse andata a prenderla ma appena le riferì che lo zio Mat stesse per arrivare,ogni pianto all'orizzonte scomparve.
Quando mise giù la chiamata, fu velocemente distratta dalle urla che si alzarono velocemente e quando guardò il suo orologio da polso segnava le diciotto in punto , segno che il pullman doveva essere per forza arrivato.
Entrò dentro verso l'angolo bar, le serviva un bicchiere d'acqua e cosi si diresse spedita al bancone per chiederne uno, subito dopo fu affiancata da Fabio e Pavel.
Lavorare con loro era stato molto più facile di quello che aveva pensato, ognuno con le proprie idee ma la disponibilità di ascoltarsi e supportarsi non era mai mancata, anche quando alcune scelte e alcune idee sembravano più azzardate di altre.
«dove eri finito?» Pavel lo chiese ad Andrea che li aveva appena raggiunti.
«ho accompagnato mia moglie nel nostro box, aveva un leggero mal di testa e ho chiesto a Virginia di recuperare un analgesico dall' infermieria, mi sono perso qualcosa?» domandò lecitamente avendoli trovati tutti e tre insieme, sembrava quasi una delle loro tipiche riunioni che facevano a giorni alterni per tenersi sempre al corrente di tutto.
«no, io stavo prendendo un bicchiere...ora vado a mettermi bella comoda nel box di mio marito...oggi niente bambini» effettivamente era strano non vedere i piccoli Dybala tra quelle mura; Paulo era stato uno di quei padri che aveva portato i suoi figli a qualsiasi evento della Juventus junior e poi Gwen aveva sempre preferito , tranne quando erano veramente piccoli, portarseli nel box a guardare loro padre fare la cosa che più gli piaceva, poi era già relativamente poco il tempo che trascorrevano insieme quindi anche quello era un modo per poter stare tutti insieme come famiglia.
Stasera però, avrebbero fatto davvero tardi e Aleyda l'indomani sarebbe dovuta andare a scuola per la recita dell'autunno quindi non poteva andare a letto tardi cosi Gwen e Paulo erano stati costretti a ricadere sull'optione nonni.
«poveri nonni» Fabio assunse un finto tono grave, alla fine conosceva la piccola Aleyda e sapeva che fosse una vera e propria miniatura di Paulo al femminile e immaginava che fosse così tanto vispa che di certo in sua compagnia non potevi annoiarti.
Gwen rise e poi li salutò dirigendosi verso quel piccolo quadrato confortevole, dove sarebbe potuta essere semplicemente Gwen ,svestendo i panni da direttore immagine della Juventus e indossando semplicemente quelli comodi e confortanti da moglie di Paulo Dybala.
Quando entrò dentro, sorrise vedendoli e chiuse la porta...amava Paulo talmente tanto che credeva un giorno il suo cuore sarebbe potuto scoppiare da un momento all'altro.
Accarezzò i petali di quel bel mazzo di girasoli e poi subito dopo la foto di loro quattro che era stata messa li quando ancora Mathias aveva poco più di tre mesi di vita.
Chiuse le tende oscuranti e si spogliò del tuo tailleur per indossare abiti più comodi, quel paio di skinny jeans che le piaceva molto per come le fasciavano le gambe, una semplice maglia per tenerla al caldo e poi rigorosamente la maglia dieci di suo marito.
Quella che molte volte era stata testimone della loro promessa d'amore.
Si guardò allo specchio sistemandosi i capelli ed indossando quel paio di occhiali riposanti che portava sul ponte del naso più per il fatto che le piacessero come le stessero che per reale bisogno.
Si sentì realizzata, innamorata come la prima volta e piena di amore e desiderio verso quell'uomo.
Il suo uomo.
C'era la valigia di Paulo con il suo cambio che avrebbe indossato subito dopo il match per tornare a casa, lo rimosse temporaneamente per potervi mettere sotto i suoi abiti e poi richiuse la valigia.
Alcuni dei disegni di Aleyda e dei scarabocchi di Mathias erano appesi alle pareti e questo la fece sorridere perche sapeva quanto a Paulo piacesse ricreare l'intimità di casa in ogni posto che dovesse abitare per più di due giorni.
Dal frigo bar prese dell'arancia già sbucciata e messa su un comodo piattino di porcellana e ne afferrò due spicchi portandoseli alla bocca.
Quando aprì nuovamente la tenda lo stadio era del tutto occupato dai tifosi, mancavano poco meno di dieci minuti all'inizio della partita e per questo si sbrigò ad indossare il suo paio di stivaletti dottor martens che la facevano sembrare ancora più giovane di quello che fosse e poi si sedette sul seggiolino pronta per gustarsi il match.
Quando lo vide entrare, con quel suo portamento virile e quel sorriso sempre rivolto ai suoi tifosi, le venne voglia di ridacchiare perché vederlo giocare era da sempre stato il suo momento preferito.
Paulo era nato per giocare a pallone e non lo diceva solo perché era suo marito, il padre dei suoi figli e il suo amore più grande ma lo diceva perché era così e basta, perché vederlo giocare a calcio le dava adrenalina e la faceva sentire viva .
Quando inizio il match non comprese bene perché suo marito fosse finito a giocare in centro campo e non sulla trequarti e che al suo posto ci fosse invece Rodrigo Bentancur ma ancora non conosceva bene il gioco di Maurizio Sarri quindi se ne stette ad osservare attentamente il gioco, ad osservare Paulo.
Le si inorgogliva sempre il cuore ogni volta che Paulo si rendeva protagonista di uno di quei bei passaggi che le ricordavano il calcio di un tempo, quello di quando ancora c'era Alessandro del Piero. Al minuto uno e quarantasei, praticamente quasi a ridosso dell'inizio del match, Paulo aveva già tirato nello specchio della porta con uno di quei suoi tiri cosi eleganti che però non avevano sfondato la rete a causa di una deviazione.
Gwen era felice, era cosi contenta perché Paulo era finalmente ritornato a splendere come un tempo e non era stato facile per loro due attraversare quel periodo no in cui a Gwen non erano serviti soltanto la pazienza e l'amore ma aveva dovuto annullare un po' di se stessa per dimostrare a suo marito che niente di lui era andato perso.
Era stato uno dei periodi più difficili della loro vita di coppia ma lo avrebbero ricordato anche come uno dei più belli perché neppure un giorno avevano smesso di cercarsi.
Purtroppo però il primo goal segnato fu dalla squadra avversaria al minuto ventinove e questo l'aveva infastidita ma non era preoccupata, conosceva suo marito e lo stava aspettando, lo stava aspettando dietro quel confine verso qui Paulo si stava muovendo.
Il primo tempo fu cosi strano che a Gwen rimase un sapore incomprensibile in bocca, le sembrava come se qualcosa sul finire stonasse ma comunque fu distratta dai suoi pensieri dalle foto che il suo migliore amico le inoltrò.
I suoi figli erano in ottime mani e a giudicare dai loro sorrisi si stavano parecchio divertendo ma questo Gwen lo sapeva, con Mat il divertimento era sempre assicurato a partire dal fatto che lasciava loro la possibilità di fare qualsiasi cosa da bambini.
"La fantasia dei bambini va assecondata Gwen, non va mai repressa" si era giustificato quella volta che si era lasciato colorare le federe dei divani del salotto. Il fatto che avesse sposato uno psicologo, Federico appunto, aveva mitigato qualsiasi cosa e alla fine era affascinante il loro modo di vivere la vita.
Quando riprese il match, il suo cuore era certamente più tranquillo perché i suoi figli stavano bene, si accorse che il suo Pipita si stesse riscaldando in campo ed insieme a lui anche Federico.
A due minuti del secondo tempo, con un dribbling di Ronaldo che vira la palla verso Pjanic che la alza per Paulo, che la gira ma è alta.
Sentiva i tifosi, che le stavano attorno, lamentarsi infastiditi ma non da Paulo, anche loro erano stati una grande componente per la ripresa di Paulo e questo Gwen non l'avrebbe mai potuto dimenticare.
All'ingresso di Gonzalo per Sami Khedira,inutile negare che sospirò di sollievo, la partita sapeva che avrebbe preso una nuova piega e cosi fu, il gioco diventò più interessante e Miralem era più libero si poter giocare la palla.
Al settantaduesimo Gwen inizia a trattenere il respiro, sa che da adesso in poi si deve tirare in porta per far goal e cosi quando vide suo marito con la palla tra i piedi che la passa a Gonzalo, spera quasi che il pipita faccia una delle sue magie ma purtroppo la palla non entra in porta per poco.
Sente i crampi allo stomaco per l'ansia ma sa che Paulo non si arrenderà così senza lottare fino all'ultimo e allora Gwen si deve mettere in piedi, qualche tifoso la saluta riconoscendola e lei fa altrettanto, loro ad esempio non sono mai stati scortesi nei suoi confronti e l'hanno sempre rispettata cosi come hanno rispettato il loro matrimonio e la loro famiglia.
In quel preciso istante Gwen sa di aver bisogno di confondersi insieme a loro, di far in modo che tutti ci credano con la
stessa forza e se inizia un coro di "Dybala" urlati senza un preciso ritmo è solo qualcosa che somiglia ad un segreto che sanno tutti.
Al settantaseiesimo, lo vede, in qualche modo sa che è il momento giusto e non appena si accorge che Paulo cerca i soliti passaggi fatti bene con Quadrado per avvicinarsi alla porta, si guarda con un signore che stava in piedi poco distante dal suo seggiolino e gli sorride.
È il momento e lo sanno entrambi.
Quadrado, Rabiot, Quadrado e poi Paulo che la palleggia con un colpo da campione e la mette in rete.
Gwen urla e sorrise,sorridere come una ragazzetta alla prima cotta e forse è cosi...lo ama come quella volta, come quegli amori adolescenziali che ti fanno venire i nodi allo stomaco. Paulo rimane li, non si allontana dalla porta, sua moglie lo guarda mentre ancora sta in piedi con quella maglia che le sta addosso come se fosse stata cucita di proposito per lei e poi al settantottesimo la seconda magia di quel sinistro.

E allora Gwen non fa altro che lasciarsi andare alle risate da ragazzetta svampita proprio mentre suo marito si inginocchia sul prato verde in un impeto di goliardia, la cerca con lo sguardo la trova e poi si tocca la maglia per indicarle quel dieci alla quale entrambi si sono aggrappati,sulla quale anche il sogno da bambino di Paulo si è aggrappato con i piedi,con le mani e con i denti.
Poco dopo Sarri lo sostituisce e Paulo non è arrabbiato, sa che ha fatto quello che doveva, ha fatto sognare la squadra e mentre Gwen viene tramortita dalle urla di un'intero stadio, gli arriva la foto dei suoi figli altrettanto contenti per il loro papà e il suo cuore traboccò d'amore.
Quando fu fischiato il calcio di fine, quasi corse per il corridoio e lo trovò a metà strada, segno che anche Paulo le stesse per raggiungere.
«quindi, hai visto o no il mio mancino?» le chiese mentre se la strinse attorno ai fianchi.
Gwen gli baciò il volto infischiandone se fosse letteralmente grondante di sudore, gli baciò le labbra mentre qualcuno fischiava e rise immersa in quel paio di occhi verdi che le facevano vibrare persino l'anima.
Voleva fare l'amore con lui, voleva ricongiungersi con  la sua parte migliore e il semplice tocco delle sue mani l'avevano incendiata e Paulo lo capì, lo capi da quel respiro mozzato in gola, da quelle labbra così rosse da sembrare fuoco vivo.
Chiuse la porta del box mentre le mani di sue moglie gli stringevano le nuca e si aggrappavano ai suoi capelli, non avrebbe mai voluto altra donna che Gwen.
Era uragano, l'urgano dei suoi sentimenti che gli mettevano sottosopra tutto eppure lo lasciavano sempre con la forza di lasciarsi tramortire ancora ed ancora.
Gwen era la sua forza.
La spogliò su quel divanetto, impaziente di amarla come tutte le volte che si ricongiungevamo e mentre la schiena nuda della sua donna fini sui suoi palmi mentre le mani di lei gli accarezzavano la testa stretta sui suoi seni, Paulo sorrise perché la vita gli stava sorridendo, perché per questo, per lei ed il suo sorriso avrebbe giocato mille e mille altre notti come questa.










Tadaaaan.
Un altro capitolo in meno di ventiquattro ore, se non è volervi bene questo allora non so cosa significhi volervi bene.
Hahahaha, sto scherzando.
Anyway volevo solamente dirvi che questo capitolo è come un univo respiro e mi piace per questo motivo perche Paulo e Gwen ieri notte sono stati quelli di un tempo, quei due ragazzi che mi fanno battere il cuore.
Spero vi piaccia, fatemelo sapere qui sotto se vi va.
♥️♥️

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