.Capitolo 10.

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Max sentì la fastidiosa sveglia suonare e con un gesto pigro e scocciato la spense tornando a dormire, d'altronde era lunedì. Marcus, intento a preparare la colazione per il fratello, si accorse che Morfeo lo aveva ripreso con sé, così decise di andare a svegliarlo lui stesso. Non furono ben accolte né il buongiorno, nè l'apertura delle tende. Marcus rise quando vide quel fagotto di coperte che non aveva alcuna intenzione di svegliarsi, così andò da lui e cercò di svegliarlo con un po' di crecchi: «suuu dai è mattino, lo so che la scuola non è proprio la miglior ragione per svegliarsi, ma devi!». Max brontolò ma alla fine riuscì a tirarsi su a sedere anche se la sua testa era rimasta nel regno dei sogni. L'angelo sorride e gli diede un bacino sulla fronte: «bravo! Dai su che ti ho fatto la colazione e poi ti accompagno io in macchina stamattina!» Max si riprese un secondo dalla trance: «mi accompagni te? Ma sei sicuro cioè....», ma prima che potesse trovare una scusa per andare da solo si ritrovò trascinato in cucina con la colazione davanti e una carezza sul capo: «stai tranquillo, tanto ho il turno di mattina e pomeriggio oggi e in più devo andare da Lawrence in galleria, posso portarti io! ». Max sorrise ma in cuor suo stava già tremando....se lo avessero visto LORO?!?! Si mise a mangiare nascondendo abilmente quelle sue ansie, che però non passarono inosservate all'ipersensibilità del fratello. Marcus aveva già capito che qualcosa non andava, ma non voleva torturare Max per farsi dire una cosa che non si sentiva di condividere con lui, e alla fine decise di tenerlo d'occhio aspettando che fosse lui ad aprirsi. In meno di 30 minuti Max era già davanti a scuola, Marcus lo aveva spronato quasi all'esasperazione per farlo essere puntuale e infatti erano arrivati in tempo se non in anticipo. Max appariva sempre più turbato e preoccupò ancora si più Marcus quando si guardò intorno circospettoso prima di uscire dalla macchina con un "ciao" portato via dal vento. Marcus sapeva che c'era qualcosa sotto ma lasciò perdere e decise che avrebbe provato a farlo aprire, magari con un altro aneddoto sul suo passato.
Max camminò velocemente fino all'entrata senza voltarsi, e si mise appoggiato a una colonna come era solito fare. Frequentava il liceo classico, il peggiore tra tutti i licei, e ormai era il quinta ginnasio (2°anno per chi non sa come funzionano gli anni al classico). In quei due anni non si era fatto amici anzi, più nemici che altro, era stato escluso dal gruppo di classe, mai invitato a nessuna festa e soprattutto tormentato da LORO. Li si sentiva arrivare da 10 metri perché il puzzo di fumo che li appestava era insopportabile. Era un gruppo di ragazzi dell'ultimo anno di 19 anni, bocciati per 2 anni di seguito erano i bulli scampati all'itis per tanti voti abbonati dai prof. A capo del branco c'era Giordano, figlio del vicepreside, un ragazzo abbastanza alto dai capelli biondo platino tinti e un abbigliamento sempre inappropriato. Max appena li vide cercò di entrare subito nell'edificio ma uno dei ragazzi aveva fatto il giro della colonna a cui era appoggiato e lo prede alle spalle: «piccettino buongiorno! Allora da quando provi a scapparci?» e prendendolo per lo zaino se lo trascinò dietro portandolo in una zona chiusa del cortile. Max provò a divincolarsi ma la presa ferrea dei due scagnozzi di Giordano non lo lasciavano andare. Appena furono sul posto lo lanciarono malamente a terra, e Giordano parlò: «guarda guarda, il nostro maxwell è diventato frocio!». A quelle parole Max si rizzò in piedi e provò a smentire quell'affermazione: «io non sono frocio!» ma fu inutile perché una grassa risata del branco lo fermò. Giordano con un gesto della mano fece tacere tutti e poi disse: «beh chi sta con lo zoppo impara a zoppicare no? E allora visto che tuo fratello è frocio probabilmente ti avrà già chiesto di fargli un bel pompino». Max si trovava alle strette, circondato da ragazzi più grossi e numericamente superiori a lui, ma il suo orgoglio era troppo grande e infatti ribattè aggressivo sapendo che sarebbero state botte: «no guarda per pompino a mio fratello ci ha pensato tua mamma! Voleva provare cosa ad andare con una donna ma quando l'ha baciata ha detto che è stato uguale ad andare con un maschio perché sapeva di CAZZO!» appena finì la frase, Giordano si di buttò contro prendendolo a pugni sul petto. Max fu travolto e non poté difendersi più di tanto, cercò solo di ripararsi dalla pioggia incessante di colpi. Quando l'impeto d'ira fu terminato, Giordano lo tirò su per i capelli e lo trascinò dul retro della scuola dove stavano gli spogliatoi della palestra. Entrò in un bagno e gli affondò la faccia nell'acqua stagnante di un urinatoio rotto: «te lo do io il sapore di cazzo frocio!». Max cercò di ribellarsi puntando le mani sull'oggetto di ceramica ma fu tutto inutile, si sentì soffocare da quell'odore nauseabondo e fu a un passo dal non avere più fiato. Giordano lo lasciò lì fino a quando non fu a un passo dallo svenire e poi lo lanciò contro al muro, tanto forte dal rompere una mattonella. Max respirò avidamente l'aria fresca, e tramortito non riuscì a rialzarsi. Giordano fece un segno ai suoi che frugarono nelle tasche del ragazzino e gli presero i pochi soldi che aveva. Giordano lo avvisò prima di andarsene: «la prossima volta di faccio andare all'ospedale!» e lo lasciò lì per terra. Max non riuscì a rialzarsi, si limitò a rannicchiarsi e a piangere.
Marcus parcheggiò nella piazzetta segreta che avevano scoperto lui e Lawrence in una delle vie vicino alla galleria, era preoccupato come poche volte per Max, ma la sua testa venne subito occupata da un altro pensiero, ovvero alla vista delle luci accese in galleria capì che quello scemo del biondo aveva fatto le ore piccole pur di lavorare. Entrò e infatti lo vide sopra una tela a dipingere con dei pacchetti del cinese buttati sul pavimento, probabilmente la sua cena, e la macchinetta del caffè lì vicino con un pacco da dieci calde terminato. «ovviamente, dopo averle prese per non aver dormito due sere di seguito, rifai la stessa cosa...BRAVO!» disse Marcus che era entrato silenziosamente. Lawrence alzò lo sguardo e sorride stanco, aveva le occhiaie così incavate che sembrava uno scheletro: «scusa ma questo quadro è una commissione quindi dovevo terminarlo...» disse quasi per scusarsi Lawrence, dando un bacio a Marcus che si stava sedendo accanto a lui per terra: «bene allora oltre a non avermi ascoltato per quanto riguarda il non lavorare tutta la notte andando avanti a caffè hai anche procrastinato una commissione fino all'ultimo!» lo rimproverò Marcus con dolcezza. Lawrence diede l'ultimo colpo di pennello e poi si accasciò esausto sul grembo dell'angelo. Marcus sorride e gli diede un paio di carezze per farlo rilassare, per poi coricarselo sulle ginocchia e dargli due sculaccioni affettuosi: «questi sono solo un promemoria ora vai a dormire senza fare storie e io e te ne riparliamo appena sei riposato!» e detto ciò lo prese in braccio e lo portò in una stanzina dentro la galleria che prima era un magazzino e ora era diventato una stanzetta con una brandina dove spesso dormiva Lawrence se aveva molto da fare. Il biondo non ribattè e si prese i suo sculaccioni con un sorriso e si strinse a Marcus. Appena sul letto non lo lasciò andare: «dormi con me?» chiede assonnato ma bisognoso dell'angelo, che non poté resistere ai suoi occhioni azzurri e di coricò con Lawrence tra le braccia, che non ci mise molto ad addormentarsi. Marcus lo guardò dormire, quante volte era diventato un cuscino a causa delle pitture e creazioni notturne dell'artista. Gli diede una carezza e lo lasciò dormire, erano le 8:15, almeno fino alle 12 poteva farlo riposare. Infatti dopo un po' si liberò dalla presa del biondo e si preparò per andare in ospedale a fare un turno, ma lasciò la sua felpa su Lawrence così che sentisse la sua presenza nonostante la lontananza. Il turno fu tranquillo, sono un incidente grave ma alle 12 riuscì ad essere in galleria con il pranzo sia suo che del biondo. Appena entrato andò a svegliarlo con dolcezza per farlo mangiare, ormai sapeva il procedimento e i trucchi per evitare che si svegliasse male e nervoso (che poi alla fine sarebbero state botte). Marcus si sedette sul letto e si mise a fargli due coccole dietro la testa, sotto a codino, facendolo mugugnare di piacere. Continuò fino a quando non fu Lawrence ad alzarsi e da lì lo prese in braccio per farlo riprendere lentamente: «allora ce la fai? Testone... se dormissi come una persona normale e non come un vampiro magari non avresti sonno all'ora di pranzo!» lo rimproverò Marcus, facendolo sorridere. Lawrence dopo più di mezz'ora si stiracchiò e disse: «lo so! Ma fortunatamente ho te che mi fai da sveglia hehe» e diede un lungo bacio a Marcus come per ringraziarlo. L'angelo sorrise e lo prese in braccio per sedersi al tavolinetto basso stile giapponese che era nella stanzetta e accese una stufa piccola e moderna a gas, dove una fiamma riscaldava l'ambiente in mezzo a due vetri aperti. Lawrence si rintanò in un plaid e ripensò a un giorno in particolare: «ti ricordi quando....quando ci sfrattarono?» Marcus che era intento a riscaldare i due pasti mettendo la vaschetta di alluminio sulla sommità della stufa ci pensò: «hai ragione...stesse circostanze!» e rise per poi dare il farro con verdure e gamberi caldo al biondo che accettò felice. «lo sai vero che dopo ti tocca?» disse Marcus mangiando il suo riso venere. Lawrence sorrise e annuì: «si lo so lo so.....cerca di non andarci giù pensante devo stare seduto a sue aste oggi pomeriggio.» mangiarono tranquilli ma poi Lawrence cercò di filarsela per evitare la certa punizione che gli sarebbe toccata, ma Marcus lo acchiappò al volo e se lo coricò in spalla: «non ti azzardare a fuggire! Guarda che passo alla cintura prima della fine!!» Lawrence scalciò un po' giusto per fare scena fino a quando non si sentì messo sdraiato di pancia sul grembo dell'angelo. Marcus era solito prendersela con calma quando le dava a lui, preferiva una sculacciata lunga e dolorosa piuttosto che una sofferenza atroce intensa e corta. Lo strinse con un braccio intorno alla vita e si mise all'opera a suon di sberle: «quante volte ti ho detto di non lavorare di notte, o meglio, TUTTA LA NOTTE, a un'opera o a una tela! Già dormi poco di tuo perché vuoi fare tutto in una giornata e sei un maledetto bambino iperattivo! Infatti non sarei qui a sculacciarti come un marmocchio!!» e nel mentre la sua mano scandiva la metrica di quelle parole su quel sedere ormai arrossato sotto i pantaloni. Lawrence stringeva sia il lenzuolo della branda sia la mano di Marcus dolorante ma anche eccitato. Infatti quando Marcus per continuare a punirlo gli abbassò i pantaloni, liberò l'erezione che prima era costretta. L'angelo lo notò subito e ricominciò più forte a sculacciarlo e a rimproverarlo: «ma bravo il mio bimbo! Io ti sculaccio e tu ti ecciti, allora tranquillo a fartela passare ci penso io dopo, ora finiamo con questa faccenda...» e abbassando anche i boxer si tolse la cinta e riprese con le sculacciate, ora più forte di prima: «quante diamine di volte ti ho detto di NON ARRIVARE ALL'ULTIMO GIORNO CON UNA COMMISSIONE? Già mi arrabbio se lavori di notte, ci manca solo che procrastini il lavoro e siamo apposto.» Lawrence d'altro canto era già un fiume di lacrime ma non poteva ribattere alle giuste parole di Marcus. Dopo un po' fortunatamente la punizione ebbe fine. Lawrence rimase a piangere ancora per poco, fino a quando Marcus non lo tirò su e non lo baciò a lungo.

Per la Giusta Strada (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora