Capitolo 7.

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È passato ormai troppo tempo, devo tornare a casa e smetterla di scappare.
Vorrei rimanere qui ancora qualche settimana, ma mia madre continua a chiamare sempre più insistentemente e soprattutto mi manca mia figlia.

Saluto tutti e moto in auto fingendo di essere felice di arrivare alla mia meta.

[...]

Finalmente sono in città.
Prima andare a casa mia passo da Colette.
Busso alla porta e, dopo una breve attesa, mi si presenta lei con in braccio una neonata.

- Guarda chi si vede.
- Colette! Ma quando hai partorito?
- Cinque giorni fa, lei è Katie.
Dice posandomi tra le braccia una bellissima e biondissima bambina.

- È stupenda, sei stata brava.
- Dici che assomiglia a nostra figlia?
- Un po', Amanda era più cicciottella.
- È vero, come dimenticarla.
Ridacchia.
- Senti, posso vederla?
- Certo, entra.

Appena metto piede in casa la mia bellissima principessa mi corre incontro e mi stringe una gamba per abbracciarmi. La prendo in braccio e la stringo forte a me; sembra ieri che l'ho vista per la prima volta, invece ha già un anno.

- Jo, ti fermi per cena?
- Non posso, casa mia ha bisogno di una bella sistemata.
- Oh, a proposito, ma con Dylan?
- Ancora lui? Non me ne frega niente.
- Jonathan, non far cazzate.
- L'ha fatta lui la cazzata.

Esco e rimonto in macchina diretto finalmente a casa mia.

Mi fa così arrabbiare tutta questa situazione. Lui mi ha tradito, non io. Io ho sempre avuto progetti per noi, tanti obiettivi e traguardi che stavamo raggiungendo insieme.
Evidentemente per lui non bastavo ed ha cercato di meglio, tutto qui.

Giro la chiave nella serratura ed entro, per poi barricarmi in casa.
Non voglio vedere nessuno, anzi, tutto quello che sto per fare è sprofondare sul divano mangiando popcorn e guardando qualche programma tv demenziale.

Mi levo le vans e la giacca e mi dirigo in salotto. Sto per sedermi, quando sul tavolino noto una busta bianca.
Credendo che si tratti di una bolletta dell'acqua o di altro, la apro.
Mi ci vuole solo uno sguardo per capire che quella è una lettera scritta dalla grafia di Dylan.

Inizialmente penso che non meriti che lo stia a sentire, poi però la curiosità è troppa e decido di leggerla:

Jo, non so nemmeno da dove iniziare.
Sono una merda lo so, ho sbagliato e non lo nego, ma ti sto scrivendo per chiederti scusa e per farti sapere che i miei sentimenti per te non si sono mai affievoliti, anzi, solo aumentati.
Non rientrare in questa casa dopo il lavoro, non vederti più impanicato perché non sai cucinare nulla senza bruciarlo, non sentirti più pronunciare un noi; tutto questo mi fa capire che ti amo anche più di quanto immaginassi.
Avevamo tanti progetti: comprare una casa, viaggiare in India e in Fracia, persino adottare un figlio ed essere per lui i genitori migliori del mondo.
Ora l'ho capito, ho distrutto ogni cosa ma intendo rimediare se e quando lo vorrai.

Con amore, tuo Dy.

Vorrei trovare la forza di restare indifferente, di dirmi che è solo un pezzo di carta scritto da uno stronzo che mi ha fatto del male, ma non ci riesco.

Dylan per me è stato troppo in poco tempo e forse anch'io non ho saputo gestire tante cose.
Non posso chiamarlo, non se lo merita. Mi limiterò a rispondergli se sarà lui a volermi cercare.

RESTA IIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora