Sole, Aghi e Donne.

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Giacevo ormai su un terreno umido e scuro, gli alberi profumavano e gli aghi di pino mi solleticavano la schiena. Le mie pupille strette e piccole facevano si che i miei occhi si socchiudessero leggermente, un fascio di luce arancione, calda e ospitale mi percorreva il volto.
Mi trovai in un bosco, cercai di girare leggermente il collo per osservare al meglio ciò che mi circondava, ma ne fui incapace, l'osso mi faceva davvero male. Alzai le braccia, cercando di riconoscere il mio corpo, ma quel corpo non è mio, o almeno non lo era più. Qualcuno lo aveva fatto suo, senza che io volessi.

Non so da quanto tempo mi trovavo in quel bosco, ma non ricordai niente. Dopo un monologo dei miei pensieri, qualcuno di alto si avvicinò a me, mi guardò compiaciuto, e mi appoggiò una mano sul viso, accarezzandolo, dopodiché sussurrò che ero bellissima.

Ero impaurita, e in quello stesso istante mi accorsi che avevo tutti e due i femori rotti, mi misi a piangere, non potevo scappare da quella situazione.

Il sole divenne cenere e gli aghi di pino si trasformarono in veri e propri aghi, affilati e appuntiti.

Mi sfilò i pantaloni ed entrò dentro di me, lui godeva, io sanguinavo e piangevo.
Non sentivo più nulla.
Ero rotta, fuori e dentro.
Quando finì, prese una stecca di acciaio e me la tirò in testa, con tutta la forza che aveva in corpo.
Non vidi più nulla.

L'uomo che prima era sopra di me, adesso lo vedevo accanto al corpo di una ragazza, forse, appena maggiorenne, forse, era il mio corpo. Continuava a darle bastonate sulla testa, nonostante lei se ne fosse andata da un po'.
Il cranio cedette e la materia grigia uscì all'esterno. Mi resi conto che non potevo fare niente, ormai non esistevo più.

Lo conoscevo quell'uomo, lo riconobbi dallo sguardo, quello sguardo che mi bruciava la pelle non appena si posava su di me.
Dopo venti minuti di calci ad un corpo freddo ed esanime, appiccò un fuoco su di esso, poi fuggì e scomparve per sempre; esattamente come ha fatto con me poco prima, solo che lui poteva ancora respirare, poteva ancora assaporare il suo piatto preferito, e poteva ancora sentire su di sé il vento freddo che gli premeva la pelle.

Mi sentivo più vuota di quando ero viva, ma non mi riusciva piangere.
Mi mancava la mamma, volevo che lei sapesse ciò che mi è capitato, speravo che riuscissero a trovarmi.

Rimasi accanto a me stessa per tre, o forse quattro mesi.
Nessuno arrivò, e il mio corpo non c'era più. Era diventato cenere e la pioggia e il vento se lo sono trascinato con sè, lasciandomi più vuota di prima.

Speravo in una luce divina, ma ciò che mi restava era il sole grigio e freddo, e gli alberi, tanti alberi, alcuni spogli, alcuni colmi di aghi.

25 Novembre.

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