Capitolo 2.

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Non riesco a stare calma, ma ora devo pensare a mia sorella.
Busso alla porta semi aperta dell'aula studio. Non ricevendo nessuna risposta, mi affaccio all'interno.
«Ehi, Sofi...»
Me la trovo di spalle, seduta alla scrivania e con la fronte appoggiata al tavolo.
«Lasciatemi sola!»
Ovviamente non la sto a sentire e punto alla sedia alla sua destra.
«Cosa ti dico sempre? I problemi non si risolvono piangendo.»
«Io odio la matematica!»
Urla, mostrandomi finalmente il suo visino ed è ricoperto di lacrime.
Il quaderno è tutto impiastricciato.
Mi avvicino di più a lei.
«Adesso vediamo insieme come fare, d'accordo?»
Le asciugo le guanciotte e annuisce più volte tirando su col naso.
Vado in una nuova pagina del quaderno e sto per prendere il libro, quando sentiamo bussare.
Si volta e senza darmi il tempo di capire chi fosse, scatta alla porta.
Non c'è neanche bisogno di guardare.
«Ehi!»
Dario, sorpreso, si china per accoglierla nel suo abbraccio. Si rialza tenendola a sé e lei si mantiene aggrappata con le braccia al collo e le gambe avvolte alla vita.
Le sue spalle iniziano a tremare e affonda sempre di più il viso nel suo collo.
Ancora non riesce a comprendere, ma la culla cercando di confortarla e le massaggia la schiena delicatamente.
«Ehi cucciola, è tutto okay.»
Le dice un po' di paroline dolci, facendole scappare qualche risatina.
Quando percepisce che si è quasi ripresa del tutto, l'appoggia con accortezza sul tavolo, per averla più o meno al suo livello.
Si abbassa fino a trovarsi faccia a faccia.
«Non voglio vederti più piangere singorinella. In particolare se ci sono io in giro. Ci siamo intesi?»
Dice puntandole un dito contro.
«Ma io ti voglio sempre in giro, Dario»
La sua vocetta.
Chiudo gli occhi e scuoto la testa.
La capisco perfettamente.
«Anche io lo vorrei, Sofia. Lo vorrei tanto. Ma sai che io ci sono sempre, magari non fisicamente, ma basta che chiedi a tua sorella di chiamarmi e io posso parlare ore con te. Te l'ho sempre detto.»
Nello sguardo di Dario e in quello di Sofia, c'è tanta tristezza. Proviamo tutti e tre la stessa sensazione. Anche lui non è in grado di nascondere quanto sia difficile stare lontani.
«Ma adesso sono qui. Non sprechiamo il nostro tempo.»
La aiuta a scendere e si unisce a noi nella grande sfida contro il mostro Matematica.
Dal fondo del quaderno, stacca due fogli, di cui uno spetta a me.
«Direi che è il momento di giocare a "chi finisce prima le operazioni vince!"»
«E cosa si vince?»
Lo fissa gioiosa con gli occhietti ancora umidi.
«Che gusto c'è se te lo dicessi ora?»
Le fa un occhiolino.
Sofia prende velocemente un penna e inizia a controllare gli esercizi sul libro.
«Ehi, furbacchiona, non ho dato il via!»
Per tutto il tempo Dario esclama "cavolo, ho sbagliato!", "non ci riesco...", facendo cancellature su cancellature.
Fa finta di sbirciare sul foglio di mia sorella e lei lo copre. Lo ammonisce di non imbrogliare e lui alza le mani a sua difesa.
"Che asino!", commenta lei e noi due ridiamo sotto i baffi scambiandoci uno sguardo di intesa.
Quando ha completato tutto, Sofia alza le braccia al cielo ed esulta come se avesse vinto le olimpiadi. Dario si lascia andare sulla sedia sconfitto, sbuffando e lamentandosi ed io porto le mani al viso ridendo della situazione come una scema.
«Premio, premio!»
«Non così in fretta, signorina! Devono essere prima corretti!», dice smontandole tutta la felicità.
Si accascia sulla sedia in attesa dell'esito.
Lui prende il quaderno e dopo aver controllato qualche secondo, lo fa strisciare davanti a me.
Alzo gli occhi al cielo e do un'occhiata.
All'ultima divisione, schiarisco la gola e incrocio le mani sul tavolo.
«Direi che abbiamo una vincitrice.»
Lei esulta ancora più forte, alzandosi e saltellando per tutta la stanza, scatenando le nostre risa.
«Ora che dici perdente?»
Si pone difronte a lui con le braccia ai fianchi e aria di sfida.
«Oh, non posso che accettare questa umiliante sconfitta.»
Porta una mano al petto chinando il capo, ma subito la prende in braccio facendola sorridere.
«Sei stata bravissima! Va da Fabio e dí che Dario ti ha concesso il "regalo speciale".»
Lo ringrazia e gli dà un bacio sulla guancia.
Mentre raccoglie velocemente le sue cose, si sofferma sul mio foglio.
«Ma non hai scritto niente! Non volevi vincere il "regalo speciale"?»
Sì, è vero. Mi ha scoperta. È quasi completamente bianco. Anche Dario è meravigliato.
L'unico motivo è che mi sono lasciata prendere dalla visione di loro due.
Di come Dario abbia svoltato la situazione con un semplice giochino. E di come Sofia si stesse impegnando a raggiungere l'obiettivo.
Ho lasciato andare la penna e sono rimasta lì ad osservare in silenzio.
Ma non sono stata molto brava a nasconderlo.
«A quanto pare sono un po' imbranata, tesoro. Mi rifaró la prossima volta.»
Sa perfettamente che sto dicendo una cavolata. Compreso Dario che mi fissa come a dire "ma dai!".
Senza soffermarsi troppo, fa spallucce e corre via.

Dario si sposta sulla sedia su cui era seduta Sofia per trovarsi accanto a me. Sento una brutta sensazione allo stomaco e l'irritazione, che per un attimo pensavo mi fosse passata, man mano comincia a farsi risentire.
Guarda fisso il tavolo ed è meglio così perché io non voglio incrociare i suoi occhi. Ha la capacità di farmi cambiare umore con un semplice sguardo ma stavolta non lo permetteró.
«Stai calma.»
Scuoto la testa. No. No. Sta rischiando troppo stavolta. No.
Mi ripete di stare calma e alza definitivamente lo sguardo su di me.
Vorrei tanto prenderlo a pugni. Fargli male. Fargli capire come mi sento in questo momento. Non voglio l'ennesima ferita.
«Credi che io non sia preoccupato? Che non mi senta come se tutto questo mi possa essere tolto?»
Cazzo! Lo sa eccome come mi sento!
«Le conseguenze sarebbero state peggio per te, Clara.»
Sta per dire altro, quando Fabio entra bussando.
«Una volta bussare serviva a chiedere il permesso.»
Dario lo dice in modo scherzoso ma so che non gli piace essere disturbato. In qualsiasi situazione.
A Fabio non sembra toccare, anzi.
«Scusate ragazzi, ma dobbiamo andare.»
Ecco la cosa brutta di potersi vedere solo due ore a settimana: lasciare le conversazioni in sospeso o quantomeno non poter continuare da vicino.
«Ah, Dario. Passa da Ada, vuole parlarti.»


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