Capitolo 3.

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In una frazione di secondo gli prendo la mano e inizio a stringerla. Forte.
Il cuore batte così velocemente da martellarmi nelle orecchie.
Con gentilezza allenta la presa spostando un dito dopo l'altro. Sto tremando.
Chiude la mia mano per degli istanti fra le sue. Riesco a percepire la preoccupazione che sale anche in lui.
«Se ti caccia fuori, diró tutta la verità.», dico in modo che mi senta solo lui.
"Andrà tutto bene.", mi sussurra.
Non può fare aspettare troppo e contro voglia lascia la stanza. È tormentato. Ancor di più perché mi sta lasciando in queste condizioni.
Rimasta sola mi affanno a prendere aria, avendola trattenuta fino ad ora. La confusione mi invade la testa. Il cuore mi esplode.
Non so con che forza mi affretto a raggiungere la porta d'ingresso.
Non voglio farmi notare ma devo capire cosa succederà.
I bambini sono sul pianerottolo e aspettano che la macchina si metta in moto.
Mi fermo dietro di loro ed eccolo lì. Con Ada.
La conversazione non sembra essere molto animata. Il che può essere sia un buon segno e sia negativo.
Dal suo volto non riesco a capire che piega stia prendendo.
Attendo e basta.
Si salutano stringedosi la mano.
Da quando si salutano in questo modo?
Si gira a salutare sbracciando e sorridendo ai bambini e mi nota fra loro. Mi fa un cenno con la mano, con un'espressione abbattuta.
No!
Corro su in camera mia. Ada si infurierebbe se solo mi incrociasse, così continuo a seguirlo appoggiando le mani sul vetro della mia finestra.
Ti prego girati!
Ti prego girati!
Ti prego girati!
Non lo fa.

Okay, non so cosa fare.
Adesso Dario è con Fabio, non mi risponderebbe neanche per messaggio.
Forse dovrei parlare con Ada.
O forse non sarebbe il caso.
Potrei piangere da un momento all'altro, ma se decidessi di scendere da lei, non posso farmi trovare in lacrime.
Okay non ci vado. Aspetto notizie di Dario.
Mi siedo decisa sul letto.
Mi rialzo.
Vado spedita da Ada.
Entro senza far rumore in cucina, dove so che sta preparando la cena. In effetti è impegnata a tagliare qualcosa.
Oh oh. Mai provocarla quando è con un coltello in mano.
E poi che stupida che sono, non ho pensato neanche a cosa dire.
Sono tentata di rinchiudermi in camera ma so per certo che ha già percepito che sono lì.
Metto le mani dietro la schiena e ciondolo sui talloni, come sempre facevo quando ero più piccola.
«Ehm, volevo parlarti... cioè chiederti... o meglio sapere...»
«La situazione di Dario ti sarà esposta a tavola ad ora di cena. Fino ad allora, non mi pronunceró. Chiaro?»
E con il suo solito sguardo gelido chiude la conversazione.
Senza se e senza ma.
È sempre stato inutile ribattere con lei. Puoi essere alto un metro e trenta o camminare con un bastone. Inutile. Soprattutto a quel segnale specifico.
Me ne vado con un va bene detto tanto per, perché niente va bene.
Mi chiudo in stanza e stavolta definitivamente.
Scivolo lungo la porta e mi siedo sul pavimento. Non sono intenzionata ad unirmi a loro per mangiare.
Da quattro anni non sono obbligata a far nulla. Ovviamente nei limiti di tutti i ragazzi che sono diventati maggiorenni e vivono sotto il tetto dei loro genitori.
In questo caso lei non è mia mamma, ma ho scelto io di rimanere in questa casa, quindi più o meno la cosa è uguale.
Che se la tenesse per lei l'informazione, non mi cambia.
Non mi cambia affatto.
Inizio a tremare, ma stavolta piango per davvero. Le lacrime mi scendono fin sul collo e la testa mi fa un male tremendo. È un pianto di delusione, di rabbia.
Dopo anni è riuscito a riaprire quei rubinetti che pensavo ormai fossero in disuso. Da quando ha messo piede qui dentro. Perché sì, è capitato altre volte che riuscisse a strapparmi qualche lacrima ma, delle quali, poche a causa sua.

Sembra sia passata un'eternità, ma effettivamente sarà stato solo qualche ora.
Nessuno si è interessato del perché non mi sia fatta viva. Probabilmente Ada avrà consigliato di lasciarmi stare.
E ha fatto bene.
Mi alzo a prendere il cellulare che ho abbandonato a vibrare sul letto, su cui mi lascio cadere.
Sono le 22:30.
Entro su Whatsapp.
Non controllo nessuno dei messaggi che mi sono arrivati e clicco direttamente sulla chat nominata "Coso", con un fantasmino.
Perché ho scelto questo nome?
Non c'è un motivo. Mi andava così e basta.
Non bisogna cercare di dare una spiegazione a tutto.
Mi altero subito. Ha tolto il suo ultimo accesso. Lo fa apposta e sempre quando sa che è la prima cosa che faccio, soprattutto quando sa di essere cercato.
Premo il tasto per mandargli un audio.
"Dove cazzo sei finito brutto coglione?"
Ne invio un altro.
"In qualsiasi modo sia andata a finire, giuro che appena ti vedo, ti spezzo un braccio!"
Fatto il mio dovere, controllo il resto delle chat.
Gruppo di lavoro.
Gruppo colleghi dove non si parla di lavoro.
Sottogruppo di sole colleghe donne.
Chiacchiero un po' con la mia collega/amica Arianna. Non le racconto di cosa sta succedendo. Glielo diró domani. Mi lascia la buonanotte e va a dormire.
Trovo del tempo per scrollare qualche storia di Instagram, ma in quel modo disinteressato che clicchi col dito per inerzia.
Dopo una mezz'oretta, tra le notifiche a tendina esce Coso. Apro.
Ha mandato un audio.
"Guarda, non perdo neanche il tempo ad ascoltare che sicuramente è pieno di offese nei miei confronti."
Subito dopo arriva un messaggio con scritto: "Comunque tutto okay."
TUTTO OKAY??
Lo chiamo.
«Sí?»
«Tu secondo me sei completamente tutto scemo! Sono qui con l'ansia che mi uccide e mi dici "comunque tutto okay". No ma parliamone!»
In risposta ricevo una grossa risata. Continuo a dirgliene di santa ragione e ci vado giù pesante. Dopo un po' mi stufo.
«Allora, ridi fin quando è di tuo gradimento e poi possiamo portare avanti una conversazione. Prego, continua.»
«Ci vediamo tra mezz'ora al parchetto.»
«Ma mi ascolti quando parlo?!»
Butta giù. Ritorno sulla sua chat.
"Portami da mangiare, bastardo, che a causa tua non ho manco cenato!"
Audio inviato. Mi vado a vestire.

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