Capitolo 18.

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Si può certamente immaginare come mi senta.
Delusa.
Lacerata.
Non so se esista termine più intenso.
L'ultima volta che ho provato un qualcosa del genere, non ci ho impiegato un secondo a sbattere mia madre fuori dalla mia vita.
Le lacrime mi appannano gli occhi. Le mani mi fanno un male cane per come stringono il volante.
I singhiozzi non tardano a venire. Basta.
Non permetteró più a nessuno di farmi questo. Di giocare con la mia fragilità.
Arrivata a casa, salgo velocemente in camera.
Preparo uno zaino.
Da sotto il letto recupero tutti i soldi conservati durante gli anni dentro un barattolo di vetro. Con le mance al ristorante ha iniziato a straripare.
Per adesso non mi porto via niente di che, torneró in un secondo momento per svuotare la stanza. Solo lo stretto indispensabile. Non so nemmeno quale sarà la mia meta.
Sofia, avendo notato il trambusto, si accosta alla porta spalancata.
«Vai via?»
Isso lo zaino su una spalla e mi inginocchio ai suoi piedi.
«Sì, piccola. Ma ti prometto che torno presto, questione di giorni. Il tempo di sistemarmi e tornerò immediatamente a prenderti. Non so come, ma lo farò.»
Usa le sue manine per asciugarmi le guance e gli occhi bagnati.
Da dietro la tasca degli jeans, sfila il suo foulard e me lo porge.
«No, è tuo, ti serve!», dico spingendolo via.
«Ora non più.»
Prima che possa scoppiare a piangere, la stritolo in un abbraccio. È tutto ciò che mi rimane.
«Sarò presto di ritorno. È una promessa.»
Mi infilo il foulard nella tasca del parka e vado via.

Ho spento il cellulare, così che nessuno mi possa rintracciare. Seduta sulla panchina della stazione, osservo i tabelloni delle partenze. Non mi resta che aspettare e scegliere una delle tante.
Prendo il foulard di Sofia tra le mani. Lo stringo.
All'improvviso una folata di vento fa si che mi sfugga.
Cerco di afferrarlo fin quando non si blocca tra le gambe di una ragazza poco più grande di me che, essendosene accorta, si affretta a recuperarlo.
Lo osserva intensamente.
«Scusami. Mi è volato via. Ti dispiace restutuirmelo?»
Alza gli occhi su di me. Mi ricorda qualcuno.
«Che buffo. Da più giovane ne avevo uno uguale. Dove lo hai preso?»
Me lo consegna.
«È sempre stato mio.»
«Oh.»
Sembra delusa.
Trovandomi qui, mi siedo in una delle panchine presenti. Non so perché, ma lei fa lo stesso.
«Per un attimo pensavo... Ma no, che sciocca che sono.»
Ride fra sé e sé.
Ma che ha questa tipa?
«Sei in fuga? Almeno così sembra.», dice indicando il mio zaino strapieno.
«Sì. Qualcosa del genere.»
«Hai riflettuto su ciò che lasci? Ricordati di non sprecare mai il tuo tempo, se qui hai qualcosa in sospeso.»
Le parole mi colpiscono fin dentro le ossa.
Lei continua a fissare l'oggetto fra le mie mani.
«Posso chiederti perché sei tanto interessata a questo foulard?»
Non so perché glielo chiedo, ma sento che prima o poi sarebbe stata stesso lei di sua spontanea volontà a dirmelo.
«Oh, non voglio ammorbarti con la mia triste storia. Ma ti posso dire che fino all'età di 17 anni ne avevo uno identico. Solo che all'interno di una stella c'era scritto il mio nome. Mi è stato portato via con mia figlia.
Ma mi sono resa subito conto che saresti troppo grande per essere lei.»
Aspetta un momento.
Inizio a cercare in tutte le stelle.
«Daniela?»
Mi guarda meravigliata.
«Mi sa che devo fare una telefonata.»

Quando rispondo ad una delle sue sessanta chiamate circa, Ada per poco non scoppia a piangere.
Le comunico dove mi trovo e le dico di raggiungermi il prima possibile.
Mi aspetto il peggio.
Ciò che ottengo è un abbraccio di una mamma preoccupata e disperata.
«Faremo i conti più tardi!»
Ed eccola ritornata in sé.
«Hai un buon motivo per cui mi hai fatto lasciare i bambini ad una babysitter?»
«Più che buono.»
Mi sposto su di un lato, presentandole Daniela.
«Prima che inizi a parlare, ti chiedo una sola cosa. Se c'è una minima possibilità, anche piccola che possa già oggi venire a casa con noi, ti prego, fa che ció accada.»
Adesso è ancora più disorientata, ma presto capirà.

Sofia era già all'ingresso sapendo che di lì a poco saremmo rientrate.
Inizialmente facciamo scendere solo Daniela. Non sa chi sia.
La ragazza si porta una mano alla bocca commossa e si avvicina con cautela.
Sofia non si muove.
Aspetta.
Le mette al collo quel foulard che inconsapevolmente hanno condiviso in anni differenti.
«Dopo tanta attesa, finalmente sono scesa da questa macchina.»
Non ci crede.
Le salta con le braccia al collo e Daniela è pronta a sollevarla su di sé.
Sono in lacrime.
Io ed Ada siamo in lacrime.
Mi afferra una mano e me la stringe. Mi volto a guardarla negli occhi.
«Ti voglio bene Ada.», dico spontaneamente.
Dopo parecchio, sono io che abbraccio lei e non voglio più lasciarla andare. Non ho bisogno di scappare.
La mia famiglia è qui, con lei, con i bambini.
Lo è sempre stata.

Il mio posto fuori dal mondo. [Completa] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora