Nero.

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Non ho chiuso occhio questa notte. È stato orribile osservare tutto quel nero. Era come se mi inghiottisse. Quando ho visto le prime luci dell'alba, il cielo diventare chiaro, ho tirato un sospiro di sollievo.
Scendo dal letto e mi dirigo verso l'armadio, prendendo una tuta nera e una maglietta bianca. Oggi è un po' così, e nemmeno Liz col suo sorriso contagioso potrà fare nulla.
Esco dalla camera e mi dirigo velocemente nel bagno, lavandomi. Appena finisco mi vesto lì e poi entro nuovamente nella mia camera, prendendo lo zaino.
Apro la porta e mia madre esce di corsa dalla cucina. Sono stato abbastanza silenzioso, si dev'essere preoccupata. Mi guarda con un po' di dolore negli occhi, ma dopo poco passa. "Oggi ci vai a scuola o è tutta una finta?" La guardo impassibile. "Allora, non rispondi?" Picchietta un piede sul pavimento ed è terribilmente irritante.
Continuo a guardarla senza alcuna espressione. Apro la porta ed esco, udendo un sospiro da parte sua.
"Come stai, oggi, Mathias?" Chiedo scendendo le scale a due a due. "Nero!" Esclamo.
Apro il portone ed esso si richiude con un tonfo.
Nello zaino ancora il peso dei pochi libri di ieri. Neanche oggi andrò a scuola.
Nessuno mi può tirare su di morale, in giornate così. Il nero vige su tutto e se in questo momento sanguinassi il sangue sarebbe denso, violaceo.
A passo svelto sfreccio fra le vie della città. Centinaia di persone mi evitano, mi passano accanto e non fanno caso a me.
Tiro su il cappuccio della felpa, i capelli mi solleticano la fronte.
Entro in un bar e ordino un caffè. Lo bevo così come me lo danno: amaro e bollente. Sento il calore che scende piano piano fino ad arrivare alla bocca dello stomaco e la cosa un po' mi piace, anche se mi sono ustionato la lingua.
Esco di corsa lasciando qualche soldo sul bancone. "Tenga il resto." Le parole escono roche dalle mie labbra. Guardo l'ora sul mio orologio: 8:07.
Il telefono squilla più e più volte e così mi decido a tirarlo fuori dalla vasca.
"Dove cazzo stai."
"Mathias, non farmi preoccupare."
"Se ti prendo ti gonfio."
È semplicemente Liz. Il telefono mi squilla per l'ennesima volta e mi decido a rispondere. "Sei un imbecille! Porta il tuo culo di merda qui, e spera che mi passi perché sennò ti becchi un calcio nelle palle." Continua ad insultarmi per un tempo indefinito mentre io mi limito a stare in silenzio. Poi, si ferma. Di botto. Nel bel mezzo di un insulto. "Come stai, Mathias?"
"Nero." La mia voce è ancora roca e non mi spiego il perché. Forse il bagno di ieri mi ha portato un leggero raffreddore.
Silenzio dall'altro capo del telefono. "Dove sei?"
"No, Liz. Vai a scuola." Dico.
"Ti ho fatto una domanda."
"Sto per strada." Sorrido leggermente.
La posso immaginare mentre bestemmia fra i denti e si morde le labbra. "Mathias, smettila di fare il coglione o ti picchio appena ti trovo in questo cesso di città."
Alzo gli occhi al cielo, svolto a destra. "Liz, lasciami stare." Borbotto. "Ricordi? Nero!" Esclamo.
Sbuffa. "Ricordi? Ti conosco meglio di chiunque altro!" Dice.
"Che c'entra?" Aggrotto le sopracciglia.
"Girati, così ti posso picchiare." Mi immobilizzo e poi mi volto piano. Liz è a qualche metro da me, incazzata come non mai.
"Quando la smetterai di essere volgare?" Le chiedo.
"Quando la smetterai di essere un coglione." Mi risponde ed alzo gli occhi al cielo. "Oppure quando la smetterai di alzare gli occhi al cielo." Aggiunge.
"Che ci fai qui?" Le chiedo.
Liz mi guarda. "Mathias, non puoi fare così." Dice.
"Così come?!" Sbotto. "Sono stanco, Liz. Sono pieno di "non puoi", "non devi fare così", "cresci". Sono pieno di queste merdate qui, Liz. "Devi". Devo cosa? Mh?"
Liz resta in silenzio, le volto le spalle e inizio a camminare. Sento i suoi passi dietro di me, ma non mi giro. "Mathias." Mi chiama dopo qualche metro.
Mi giro. "Cosa c'è?"
Liz abbassa lo sguardo. "Di cosa sei stufo?" Dice a bassa voce.
"Di tutto." Dico senza rifletterci. Lei alza lo sguardo, e i suoi occhi multicolore sono addolorati, pieni di lacrime.
Tira su con il naso. Mi fissa ancora nei miei occhi marroni, che sono così cattivi a volte, così gelidi. "Anche di me, Mathias?" Lo dice fra i denti, lo sibila, sembra volermi uccidere con queste parole.
E forse ci riesce.
Io la guardo impassibile perché oggi non riesco a fare altro, perché oggi è nero. "Liz, io ti voglio bene."
"Dimostramelo."
"Te lo dimostro."
"Dimostramelo ora." Mi sfida.
Incrocia le braccia al petto, mi guarda e attende una risposta. "Liz, vattene." Dico.
Lei mi guarda, mi guarda con odio. "Non me lo stai dimostrando!" Urla.
Le persone ci passano accanto e ci guardano, perché siamo distanti pochi passi e ci stiamo ammazzando senza toccarci. Ma io e Liz siamo così, poi si risolve. Ci si urla contro e poi ci si abbraccia.
"Te lo sto dimostrando, invece." Dico sicuro. "Ho paura di farti male, Liz. Non fisico, ovviamente, non riuscirei mai - lo sai. Però magari ti tratto male e non mi va." Bofonchio.
Lei diventa rossa di rabbia. "Mathias, cazzo!" Urla.
È sempre così. Lei urla e io sussurro. Siamo ai poli opposti. "Mathias, non posso stare con te solo quando ti gira bene!" Sbraita. Inizia a fare avanti e indietro sul marciapiede. "Un'... amica-" Lo sputa con odio, con tanto odio che si deve fermare un attimo. "Un'amica c'è anche quando stai male. Soprattutto quando stai male."
Delle lacrime le si formano agli occhi e io non capisco perché soffra così tanto. Non lo capisco e non le chiedo nulla. Mi avvicino a lei e la abbraccio forte. "Stai tranquilla, Liz." Le dico.
Bofonchia qualcosa per poi stringermi ancora più forte. "Ti voglio bene." Dico.
Lei non mi risponde, mi prende la mano e mi porta con sé. Io mi lascio portare, la seguo. La seguirei anche in capo al mondo.
Forse è questo l'amore.
O forse non c'ho capito niente.

La teoria dei coloriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora