Mathias e Clayd

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"Mathias!" Urla Clayd entrando in casa. In casa mia e di Arina, mai sua. Nemmeno fra mille anni.
Non lo degno nemmeno di uno sguardo, cambio i canali del televisore annoiato. "Non saluti il tuo babbo, eh?" Ride istericamente. "Amore," si rivolge al mio amore, a mia madre, la prima donna che ha creduto in me, la prima ad avermi abbracciato e sostenuto.
"Amore a chi?" Ringhio. "Non la guardare nemmeno." Le cingo le spalle con un braccio, lo guardo storto. Lui fa un sorriso tiraro.
"Sei cresciuto molto, eh." Dice. "Ti prendi cura del mio tesoro?"
Mi guardo in torno. "Non hai lasciato soldi, Clayd, mi dispiace."
Clayd ride. Trova tutto questo una fottuta barzelletta. "Ma quali soldi, Mathy!" Esclama. "Il tesoro è la mia bellissima moglie!"
Assottiglio gli occhi. "Devi aver perso la mappa, Clayd. Non torni a casa da... fammi pensare..." ruoto gli occhi. "Da quanto, mamma?" Volto il viso verso la sua direzione, lei mi guarda con occhi stanchi.
"Da quando avevi sei anni, Mathias." Dice con voce piccola.
"Oh, sì, ora ricordo!" Colpisco leggermente la mia fronte con il palmo della mano. "Che smemorato!" Esclamo sorridendo.
Clayd mi guarda titubante. "Devi aver affrontato un viaggio molto lungo, papà." Posso sentire il suo cuore battere più velocemente al suono di quella parola uscita dalle mie labbra con cotanto disprezzo. "Sempre se posso chiamarti così." Sputo.
"Mathias.." La voce di mia madre mi tranquillizza, spegne un po' della mia rabbia repressa.
"Che ci fai qui?" Chiedo.
Clayd si gratta la testa riccia, mi guarda negli occhi e distolgo lo sguardo. Sono così simile a lui che mi fa schifo. "Mi mancavate." Dice dopo un po', in un sospiro.
Prendo un respiro. "Ti sei svegliato troppo tardi, Clayd!" Urlo. Mi allontano da mia madre, che indietreggia di qualche passo, mi guarda con gli occhi lucidi. "Dodici fottuti anni," sibilo. "tu non lo sai le giornate che passavo attaccato ai pantaloni di mamma, a chiederle quando cazzo tornavi!" Urlo.
Clayd abbassa lo sguardo, colpevole. "Dove cazzo sei stato?" Chiedo. "Dove cazzo eri ai miei compleanni? Quando ho organizzato la mia prima vera festa? Dove cazzo stavi quando mi sono innamorato per la prima volta? Quando mi sono fatto la barba per la prima volta? Ti sei perso tutto, Clayd." Dico.
Boccheggia un po'. "Ho passato dodici bellissimi compleanni senza di te, ho amato senza di te, ho imparato a farmi la barba senza di te." Sputo.
"Mi dispiace, Mathias." Osservo la valigia che tiene nella mano destra.
"Non ti vogliamo qui. Non ci servi, non più." Sento mia madre singhiozzare e magari sto piangendo anch'io, ma non m'importa, deve andarsene.
Clayd fa un piccolo sorriso. "Mi sbagliavo, Mathias. Non sei cresciuto, sei diventato un uomo." Dice.
Lo guardo duramente, lui continua a sorridere. "Volevo solo vedere questo." Dice piano. "Volevo vedere se eri diventato un uomo."
Mi avvicino a lui, "Sono un uomo, Clayd. Ho diciassette anni e sono un uomo, ma ero un uomo già a dieci anni." picchietto l'indice contro il suo petto, "E anche a dieci anni ero un uomo migliore di te." finisco.
Mi spintona. "Ho sbagliato, Mathias, lo riconosco, ma non serve a nulla rinfacciarmelo." Dice arrabbiato.
"Serve a me, Clayd!" Questa volta sento le calde lacrime appiccicose sul mio viso. Sento come scendono, come fanno schifo. Fanno schifo perché le ha provocate lui. "Dodici anni! Abbandonato per dodici anni!" Urlo. "Serve a me, a liberarmi dalla rabbia repressa, dai pensieri, dalle notti che ho passato a girarmi nel letto alle ricerca delle risposte!"
Clayd abbassa la testa. Mi asciugo le lacrime con la manica della maglietta che indosso, "Ora basta fare le femminucce. Esci da casa mia." dico aggrottando le sopracciglia e assumo un'espressione incazzata.
Clayd mi guarda con gli occhi pieni di lacrime ma non batto ciglio. Ci poteva pensare dodici anni fa.
"Non ti voglio più vedere né sentire. Non ti avvicinare più alla mamma o a me in nessun modo o ti denuncio." La mia voce è tagliente, cattiva.
"Sappi, Mathy, che non ho smesso di pensarvi nemmeno per un secondo." Dice Clayd. Mia madre singhiozza e io mi giro, le lancio uno sguardo compassionevole. Arina scivola lungo il muro con una mano premuta sulle labbra per non far sentire i singhiozzi, per non far vedere che trema. Le lacrime le scendono sulle guance e poi sulla mano, c'è un silenzio disarmante.
"No, Clayd, ti sbagli." Dico girandomi verso di lui. "Hai smesso di pensarci quando sei scappato a gambe levate."
Gli chiudo la porta in faccia, scivolo contro di essa e piango, piango lacrime vecchie di dodici anni, lacrime che puzzano di morto, di mancanze.

La teoria dei coloriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora