«Circa due decimi, in verità.» Arturo Campanini si guardava i piedi, ora visibili grazie agli spessi occhiali che era tornato a indossare. Intorno a lui, i rumori e le grida di una sagra di paese in pieno svolgimento. Davanti a lui, Geraldina Fabbri, sgomenta. Tra le sue dita, una piccola lampada araba, premio di consolazione che il basso ometto del tiro al bersaglio gli aveva concesso, dopo aver rimarcato ridendo che nessuno mai era riuscito a mancare così tante paperelle. Paperelle che Arturo avrebbe centrato, se non fosse stato costretto a scambiare i suoi occhiali tondi con degli orrendi, e neutri, occhialoni protettivi. Ma non aveva potuto rifiutarsi, non senza perderci la faccia e rivelare il segreto. Non che avesse più importanza, oramai.
«Quindi non sono un omaggio a Gramsci. Davvero non ci vedi.»
Arturo scosse la testa.
«Cieco, e pure cazzaro.»
Arturo rimase in silenzio, sopportando stoicamente il sarcasmo corrosivo e crudele. Sentì montare l'impulso del pianto, ma lo trattenne. Erano solo parole, e finché non guardava quelle labbra pronunciarle, non potevano toccarlo.
«E non è forse quello, che sono i grandi attori?» riuscì a mormorare dopo qualche tempo. «Ciechi per vedere Giulietta in cima al balcone, e non un'odiata collega, tollerata solo per il suo gran talento. E cazzari anche, o come potrebbero mai vestire i panni di Romeo e pronunciare con convinzione la sua promessa di morte e amore...»
Gli era venuto fuori un buon pezzo, tutto sommato. Quando rialzò lo sguardo però, si rese conto di aver parlato al nulla.
«Oh, come desidero che le donne soccombano al mio fascino» disse, ancora profondamente amareggiato ma già deciso a far tesoro dell'esperienza, magari per costruire un monologo comico.
«Sarà fatto» disse una voce, stranamente chiara e potente tra il frastuono della sagra.
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